14° Congresso Confederale CDLS sintesi relazione di apertura

14° Congresso Confederale CDLS sintesi relazione di apertura

14° Congresso Confederale CDLS  sintesi relazione di apertura
Referendum contro la crisi
Segretario CDLS Tura: “La crisi ha cambiato tutto, per salvare gli stipendi serve la scala mobile”
SAN MARINO 22 MARZO 2012 – Un Referendum per salvare gli stipendi di chi lavora, per rilanciare i consumi interni, per ridare fiducia al sistema San Marino. E’ questa la proposta-chiave che emerge dalla relazione del segretario uscente, Marco Tura, nella serata di apertura del 14° Congresso della Confederazione Democratica.
“Stiamo navigando a vista dentro un cambiamento epocale”. Davanti alla platea riunita al Palace Hotel di Serravalle, Marco Tura, ripercorre le tappe di una crisi che in questi ultimi tre anni ha travolto l’economia globale e che ha colpito duramente anche San Marino, “con l’aggravante che alla frenata dell’economia reale si è sommata la paralisi politico diplomatica con l’Italia e l’irrisolta questione della black-list pesa come un macigno sull’operatività delle nostre imprese”.

“Emergenza contratti”. Dentro questo cambiamento epocale Tura sottolinea che ci troviamo di fronte ad una situazione completamente inedita: quest’anno tutti i lavoratori della Repubblica, pubblici e privati, sono con i contratti scaduti, mentre nel settore industriale l’ultimo accordo risale addirittura al 2005. “Una lunga situazione di stallo che ha come snodo emblematico il fallimento del tavolo tripartito: tavolo istituito nel 2009 dal Governo dove, tra le priorità, furono individuati i termini economici e normativi per chiudere i contratti allora scaduti. L’intesa finale fu sottoscritta da tutti, ma è mancata la firma dell’ANIS”.

 

Il segretario CDLS lo definisce “un solitario dietrofront”, che ha cambiato in “senso negativo” le relazioni industriali. Tant’è che il negoziato è proseguito “lungo un percorso altalenante”, fino ad ipotizzare l’idea di un contratto-ponte di sei, otto anni basato su due punti chiave: l’adeguamento delle retribuzioni in base all’inflazione e l’aumento dell’orario di lavoro a 39 ore, aumento in parte pagato e in parte destinato a finanziare un fondo a sostegno del lavoro. “Purtroppo anche questa proposta si è arenata”. E tutto è bloccato anche sul fronte contrattuale pubblico: “in questo caso il Governo ha archiviato la pratica imponendo con la Legge Finanziaria il blocco biennale delle retribuzioni dei dipendenti pubblici”.
Al punto che Marco Tura solleva un interrogativo di fondo: “A San Marino esistono ancora gli spazi per fare contrattazione?”. E aggiunge: “Badate bene che questo interrogativo non è di poco conto, perché significa dare una risposta su chi deve pagare di più i costi di questa crisi, su come vengono distribuiti i sacrifici tra i diversi blocchi sociali”.
Referendum, una strada obbligata. E quindi avverte: “Se si vogliono mettere con le spalle al muro venti mila lavoratori, il sindacato ha il dovere di reagire”. E con la paralisi della contrattazione le alternative sul tappeto sono davvero poche: “Subire impotenti l’arretramento del mondo del lavoro, imboccare una deriva protestataria dagli esiti incerti e con ripercussioni negative per l’intero Paese, oppure introdurre per legge un automatismo che agganci le buste paga alla dinamica dell’inflazione”. In altre parole, “per mettere in sicurezza le retribuzioni dei lavoratori e quindi i redditi delle famiglie la strada da intraprendere è obbligata: un nuovo referendum sulla scala mobile”.
“Non vogliamo certo alzare una bandiera ideologica”, precisa con forza il segretario CDLS. “La scelta referendaria è squisitamente pragmatica, ancorata ad una San Marino completamente cambiata dallo spartiacque della crisi”. Una San Marino dove nel giro di tre anni “la perdita secca del potere di acquisto di salari e stipendi è stata del 4,5% e la dinamica dei prezzi nei prossimi anni è destinata a restare su valori significativi”. Dove “l’inedita pressione fiscale sta erodendo le retribuzioni: l’elenco parte dall’addizionale IGR, per passare all’aumento delle tariffe di acqua, luce e gas, al taglio delle indennità del pubblico impiego, all’introduzione della patrimoniale, arrivando all’aumento nei prossimi anni dei contributi pensionistici del 3,5%”, senza dimenticare le tasse indirette “che incidono in modo invisibile ma pesante sui bilanci familiari, come la tassa del 3% sui servizi e la miriade di aumenti su bolli, patenti, certificati”.
Marco Tura si lascia alle spalle le polemiche referendarie del 2008, quando la CDLS si schierò contro la scala mobile: “E’ evidente che da allora non sono passati quattro anni bensì un’era geologica”. Quindi si rivolge alla platea chiedendo formalmente ai delegati “un chiaro mandato” ad avviare le procedure per “giungere ad un referendum che colga l’obiettivo di difendere gli stipendi”.
In oltre un’ora di relazione, il segretario uscente ha poi affrontato i principali temi cerchiati in rosso nell’agenda economico-sindacale: lavoro, pubblica amministrazione, fisco.
Il fallimentare incantesimo della precarietà. “Irrealistico pensare ad una riforma del mercato occupazionale partendo dal Decreto Lavoro approvato l’autunno scorso, perché se la flessibilità si trasforma in patologica precarietà perdono i lavoratori, perdono le imprese, perde l’economia, perde il Paese”. Quindi Tura osserva: “A San Marino temo che ancora in troppi siano sotto l’effetto del fallimentare incantesimo della precarietà. Ricordo infatti che su questo tema non siamo all’anno zero poiché i livelli di flessibilità nostrana non hanno confronti con molti paesi europei: basti pensare che il solo utilizzo dei lavoratori frontalieri assicura alle imprese un potenziale 50% di assunzioni a tempo determinato”. Tre i punti indicati al tavolo della riforma: fissare una quota massima del 50% di contratti a termine, precisi obblighi formativi-lavorativi per giovani diplomati e laureati, funzioni di collocamento e controllo di esclusiva competenza dell’Ufficio del Lavoro.
Amministrazione Pubblica e ricette demagogiche. “Da troppi anni assistiamo ad un approccio ideologico che si basa sull’equazione ‘PA uguale spesa corrente’, con l’inevitabile corollario di luoghi comuni: tagliare, privatizzare, smantellare. Ma guardiamo da vicino quali sono i grandi aggregati della spesa pubblica: scuola e sanità, ovvero due settori fondamentali e addirittura decisivi per la crescita di questo Paese. Creare infatti eccellenza nella formazione delle giovani generazioni e nei servizi sanitari è strategico per il futuro del nostro sistema. Appare dunque superficiale l’idea che una vera crescita passi attraverso il ridimensionamento dei servizi pubblici”.
Quanto alla riforma della PA, il segretario CDLS parla di un processo lungo e incerto: “Ci troviamo di fronte all’ennesima legge di indirizzo che per il momento non si è tradotta in concreti cambiamenti. L’unica cosa certa è l’istituzione della Direzione Generale della Funzione Pubblica, mentre ci saremmo aspettati almeno un colpo di acceleratore per l’avvio di una stagione di concorsi pubblici orientata a sostituire le figure chiave della PA”. E sul nodo del precariato afferma: “Quando si intravede la possibilità di regolarizzare centinaia di precari pubblici, la controparte impone nuove richieste sempre tese a scaricare i costi della stabilizzazione sugli altri dipendenti. Questo eccesso di tatticismo, che si incrocia con un inaccettabile gioco al ribasso, sta mortificando i sacrosanti diritti di tanti lavoratori che da anni vivono le incertezze di essere precari”.
Riforma tributaria, snodo fondamentale. “Deve essere per tutti evidente che la riforma tributaria rappresenta il paradigma del cambiamento. Prima della linea di demarcazione segnata dalla crisi, il nostro sistema fiscale funzionava così: su 6.500 soggetti economici, 2050 dichiaravano redditi inferiori a zero, mentre circa mille redditi dichiaravano da zero a 5mila Euro. Di fronte a questi dati niente facile demagogia, moralismi o caccia alle streghe, ma la semplice presa d’atto che con queste cifre il sistema si affossa da solo, indipendentemente dalla crisi economica o dagli effetti della black list”. L’appello di Tura è dunque chiaro: “chiediamo con forza che il progetto di riforma venga rimesso enza indugi al centro dell’agenda di governo. Nuovi ritardi rischiano di provocare contraccolpi gravi nell’azione di risanamento dei conti pubblici e ulteriori slittamenti si spiegherebbero solo con le difficoltà politiche a rimuovere interessi, privilegi e vantaggi a favore di lobby e corporazioni”. Ritardi, insiste, “pagati con una pressione fiscale che sta pesando soprattutto sui redditi da lavoro dipendente”.
Emblematico il caso dell’articolo 56 per i frontalieri. “L’introduzione di una penalizzazione riservata ai soli lavoratori frontalieri è un provvedimento inaccettabile che scarica una fetta del debito pubblico sui lavoratori di oltre confine, sottraendo loro circa 200 Euro ogni mese dalle buste paga”. Una manovra che ha rappresentato anche un “autogol diplomatico con l’Italia sollevando contrarietà e proteste da parte della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, delle Assemblee Regionali di Emilia Romagna e Marche, delle istituzioni provinciali e comunali limitrofe e di numerosi parlamentari”. Inascoltata, rammenta Marco Tura, persino l’esortazione di Papa Benedetto XVI durante la visita dello scorso giugno. “Per questo serve un nuovo sistema fiscale che metta tutti i lavoratori sulla stesso piano”.

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