Macina sul referendum per il ripristino della scala mobile

Macina sul referendum per il ripristino della scala mobile

Il problema della tutela degli stipendi dalla inflazione con il referendum per reintrodurre uno strumento certo di adeguamento delle retribuzioni potrebbe essere affrontato in modo positivo (di Gian Luigi Macina, legale rappresentante del comitato referendario in materia)

In questi giorni di apertura della campagna referendaria, sono rimasto molto stupito dall’atteggiamento sul quesito referendario che intende reintrodurre uno strumento certo di tutela dall’inflazione per gli stipendi dei lavoratori dipendenti. Infatti da più parti, si è sentito parlare sulla questione più per slogan che altro sostenendo che si tratta addirittura di un sistema antiquato e superato dalla modernità dei tempi e soprattutto dalla notevole efficacia della contrattazione collettiva di questi ultimi quindici anni. Mi venuto anche il dubbio che non si sia compreso lo strumento proposto ovvero si faccia finta di non voler capire magari per strumentalizzare, ingiustamente, questo referendum. Vediamo di dimostrare come queste affermazioni non corrispondano assolutamente al vero e sono in realtà più funzionali a chi vuole mantenere gli stipendi di chi lavora in una condizione di incertezza e non di adeguata salvaguardia (o forse favorire una sorta di “impoverimento”?).

Perché questo il sistema proposto dal Referendum non è antiquato e superato. Innanzitutto il quesito propone un meccanismo di recupero a posteriori dell’inflazione che, a differenza di strumenti simili utilizzati in passato, non genera a sua volta inflazione, ma si limita a consentire un adeguamento di quanto in realtà nell’anno precedente il lavoratore ha perso in termini di potere di acquisto. Pertanto non è vero che questo strumento genera inflazione perché il suo scopo è di agire in recupero. Inoltre, uno strumento simile a San Marino non è mai stato utilizzato e pertanto anche da questo punto di vista è palesemente non vero formulare certe dichiarazioni.


Sul fatto, fortemente sostenuto in particolare dal sindacato, che la contrattazione collettiva in Repubblica abbia generato aumento superiori all’inflazione prendendo a riferimento i dati ISTAT (e cioè l’Istituto Italiano di Statistica), vi sono molte obiezioni da sollevare. In particolare sono arcinote le ripetute contestazioni delle associazioni dei consumatori (che il più delle volte è un lavoratore dipendente o pensionato, quindi persona con reddito di fatto fisso e certo). Inoltre questi dati si scontrano anche con la sensibilità di chi acquista, quanti di noi in questi anni pensano di essersi effettivamente avvantaggiati rispetto al consto della vita reale? Inoltre da più parti si sono sollevati molti dubbi sui dati forniti dall’ISTAT in questi ultimi 10 anni poiché questo Ente Pubblico italiano sarebbe stato influenzato dall’Esecutivo al fine di facilitare il raggiungimento ed il mantenimento dei parametri del trattato di Maastricht che è alla base dell’istituzione dell’Euro. Per brevità ci si limita a riportare tre esempi dei vari che sono emersi circa l’inadeguatezza delle rilevazioni ISTAT: 1) nei calcoli dell’ISTAT hanno troppo peso gli acquisti dei beni durevoli (autovetture, elettrodomestici, ecc.) che in realtà il consumatore acquista il più delle volte una volta ogni tanti anni e non invece i beni di diretto consumo come alimentari, energia ecc. 2) I dati ISTAT sono stati fortemente contestati ed in modo documentato in particolare dall’EURISPES che è un Ente di ricerche economiche indipendente finanziato anche dall’Unione Europea. Questo Ente nel 2006 per il periodo 2001-2005 ha calcolato che l’inflazione italiana è stata pari al del 23,7% con una perdita effettiva del potere di acquisto medio fra operai, impiegati e quadri e dirigenti pari a circa l’11%. Mentre il dato medio per il biennio 2006/2007 è pari al 5% contro il 2,9% dichiarato dall’ISTAT per il 2007. Pertanto le tabelle elaborate dal sindacato non sono da considerare come un punto di riferimento.

Inoltre a favore del referendum, vi è da rilevare che se passerà il SI, come sperano gli oltre 600 concittadini che hanno sottoscritto il quesito, si sancirà con certezza un diritto minimo e non vi sarà più bisogno di scioperare per il mantenimento del potere d’acquisto (cosa questa che a me pare una specie di assurdità). Si creeranno anche le condizioni per maggiore pace sociale ed inoltre, non saranno più possibili rinnovi contrattuali di fatto a “costo zero” come è avvenuto nel Settore Pubblico evitando così che possa ripetersi questa situazione o magari crearsi in altri ove non è ancora accaduta.


Inoltre, se passerà il SI’, vi sarà una sorta di parità di trattamento fra i lavoratori dipendenti attivi e quelli collocati a riposo in pensione che, giustamente ad avviso del Comitato Promotore, beneficiano di sistemi di adeguamento previsti per legge. E’ anche necessario evidenziare la corrispondenza del referendum con la Dichiarazione Dei Diritti del 1974, la quale all’art.9 prescrive che la “la legge assicura al lavoratore l’equa retribuzione” e se passerà il SI’ sarà possibile colmare una parziale lacuna del nostro ordinamento non essendoci alcuna norma che fornisca garanzie in materia o contrattazione collettiva che attualmente sia in grado di reggere il passo dell’inflazione come è stato illustrato.

Non è certo volontà del Comitato promotore inficiare l’attività contrattuale posta in essere dai soggetti sociali abilitati dalla legge 1961 n.7. Infatti se il quesito diverrà legge è previsto che decorrerà alla scadenza dei vigenti contratti collettivi in corso ed inoltre alle parti sociali si mantengono comunque rilevanti e notevoli spazi di contrattazione, si pensi agli aspetti normativi, ovvero a quelli economici sia a livello aziendale che generale che possono comportare anche aumenti retributivi maggiori di quelli che si potranno garantire con lo strumento proposto dal comitato referendario da me presieduto che interviene, come illustrato, al solo scopo di colmare l’attuale grave lacuna del vigente sistema contrattuale. Inoltre, se necessario, sarà comunque contrattualmente possibile favorire le categorie più basse con aumenti diversificati.

In conclusione, se il Referendum fosse già stato approvato chi lavora avrebbe avuto in busta paga a Gennaio 2008 aumenti del 4% anziché del 2,5 medi ed una differenza dell’1,5% non mi pare poco.
Ultimo aspetto: il corpo elettorale almeno per quanto riguarda i residenti è fatto di 17mila lavoratori attivi e di questi ben 15mila sono dipendenti e pertanto non è affatto vero, come pare sostenga il sindacato, che vi siano gravi rischi nei referendum circa le materie del lavoro poiché si potrebbero esprimere anche gli imprenditori che sono evidentemente un numero inferiore di 7,5 volte e poi non è detto che su queste materie questi soggetti non siano in grado di esprimersi con correttezza ed equilibrio.

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