A San Marino soldi anche dei Cirillo. Domenico Marino, Gazzetta del sud ONLINE

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Gazzetta del sud ONLINE

Il boss con conti cifrati a San Marino e Dubai

 Ha raccontato pure del tranello teso a “Giravite”
e delle alleanze dei cassanesi con vibonesi e reggini

Domenico
Marino

Cosenza

 

Affari,
alleanze e tranelli di ‘ndrangheta raccontati ai magistrati della Direzione
distrettuale antimafia di Catanzaro dall’ex boss di Castrovillari, poi
collaboratore di giustizia a credibilità variabile, Antonio Di Dieco. Riempiono
pagine e pagine di verbali le dichiarazioni rese a Vincenzo Luberto, magistrato
in prima linea nella notte ai potenti clan della Sibaritide e del Pollino. Il
sostituto procuratore della Dda, affiancato da due investigatori del Gico di
Catanzaro e dello Scico di Roma, lo ha ascoltato per ore l’11 settembre del
2010, poco meno di due mesi dopo l’operazione “Santa Tecla” che il 21
luglio aveva portato in carcere una sessantina di presunti boss e picciotti
della criminalità organizzata dominante a Corigliano Calabro e nel resto della
piana. Tra loro anche Antonio Di Dieco, difeso dall’avvocato Claudia Conidi,
rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia dove gli inquirenti calabresi si sono
recati per ascoltarlo dopo una sua specifica richiesta in questo senso.

Affari
stupefacenti.
L’ex “uomo di
rispetto” racconta anzitutto dei suoi rapporti di vecchia data, sin dal
2001, con un broker che maneggiava fiumi di sostanze stupefacenti ed era legato
alla famiglia degli Ascione di Torre Annunziata. I quali, a sentire Di Dieco,
tramite un intermediario, rifornivano molti gruppi della Calabria
settentrionale, a cominciare dagli Abbruzzese di Cassano e da Salvatore Mollo
di Corigliano, che a parere dell’ex boss era non solo amico degli Abbruzzese,
ma anche fornitore dei castrovillaresi e dei fratelli Chirillo di Paterno
Calabro.

Il
summit all’Eur.
Di Dieco racconta che nel
2004, quando era già da tempo collaboratore di giustizia e si trovava ai
domiciliari con la possibilità di fruire di permessi, ebbe un appuntamento con
il suocero Giuseppe Cirillo. Il summit si sarebbe svolto in un bar vicino al
palazzo dei congressi a Roma. Don Peppino Cirillo, spiega il genero, arrivò
assieme a Nicola Rende e Federico Faillace di Cassano, Fabio Paduano di
Castrovillari, Vittorio Principe. C’era anche un nipote degli Ascione, detto
“Peppe ‘o Nivoro”.

Salvare
i Forastefano.
In quella occasione il
suocero avrebbe chiesto a Di Dieco di non accusare i Forastefano, i quali
proprio grazie al suo intervento avevano aperto un “locale” nel
Cassanese che era derivazione del “locale” di Sibari fondato dallo
stesso Cirillo. L’ex boss d’origini campane sarebbe intervenuto con le famiglie
reggine dei Crucitti e dei Tripodi-Zoccari affinché i Forastefano fossero
riconosciuti. Il via libera per i Cassanesi sarebbe arrivato nel 2004.

I
legami coi Vibonesi.
Grazie
all’intercessione dei Tripodi-Zoccari i Forastefano avrebbero stretto legami
con i clan delle Serre vibonesi, le quali, secondo Di Dieco, avevano messo a
loro disposizione due o tre persone che utilizzavano come azionisti.

La
vendita dei terreni.
«Cirillo continuava –
è riportato nei verbali – dicendomi che aveva affidato a Ciccio Costa, Nicola
Rende e al fratello di quest’ultimo, la vendita di molti suoi terreni che erano
intestati a prestanome». Altri fondi, sistemati nell’area della foce del Crati,
tra Cassano e Corigliano, erano intestati a delle società e dovevano essere
difficilmente liquidabili poiché gravati da pignoramenti. Invece si stavano
vendendo.

Conti
cifrati a San Marino e Dubai.
Il suocero
gli avrebbe inoltre svelato che tutte le sue movimentazioni economiche erano
gestite dal figlio Luigi, il quale aveva aperto una serie di conti correnti in
filiali di San Marino del Credito Romagnolo, della Cassa di risparmio
Sanmarinese, dell’Istituto di Credito Sanmarinese. Lo stesso figlio ne avrebbe
accesi altri al caldo di Dubai.

I
soldi ad Ancona.
Durante il colloquio con
il pm antimafia Vincenzo Luberto l’ex capobastone di Castrovillari ha insistito
molto sugli affari del suocero, anch’egli pentito dopo anni di pane e
‘ndrangheta, morto nel giugno 2007 durante un’udienza. A esempio, ha raccontato
come, durante il soggiorno obbligato di Cirillo ad Ancona, Nicola Rende,
Giuseppe Rende, il notaio Placco, Gino Lanzillotta e Aldo Caporale gli
avrebbero portato enormi quantità di denaro in contanti.

Le
ritorsioni dei Coriglianesi.
L’ex
presidente del Rosarno Calcio, Mimmo Varrà, sempre a sentire la versione di Di
Dieco, lo avrebbe avvicinato per avvisarlo della possibilità di ritorsioni dei
Coriglianesi nei confronti dei suoi famigliari. L’astio sarebbe stato generato
da dichiarazioni rese nel 2006 alla stessa Dda da Cosimo Alfonso Scaglione, poi
pubblicate dalla “Gazzetta”, il quale tra l’altro affermava che Di
Dieco aveva cominciato a collaborare con la giustizia per vendicare Cirillo,
colpendo quanti ne avevano determinato l’allontanamento dalla Calabria.

La
trappola per “Giravite”.
Durante
un incontro il coriglianese Maurizio Barilari, che rappresentava gli
Abbruzzese, avrebbe chiesto ad alcuni castrovillaresi inseriti nel gruppo di Di
Dieco, di tendere un tranello a Tonino Bruno, inteso come “Giravite”,
convocandolo per una riunione di ‘ndrangheta a Castrovillari.

Zoom

Il
pentito tentenneAntonio Di Dieco, collaboratore di giustizia dal 2002, negli
anni ha alternato racconti densi di informazioni importanti a testimonianze
poco chiare e soprattutto in contrapposizione a quanto svelato in precedenza. È
stato lui stesso, quando ha deciso di riprendere a collaborare con la giustizia
dopo un periodo di blocco, a chiarire d’avere fornito versioni contrastanti in
merito ad alcuni episodi per intorbidire le acque investigative e frenare il
lavoro della magistratura inquirente.

La
condannaLo scorso novembre l’ex boss di Castrovillari è stato condannato a
quindici anni di reclusione per la strage di Strongoli.

Il
gradoAntonio Di Dieco in passato ha chiarito d’avere ricoperto il grado più
alto della gerarchia ‘ndranghetistica: Diritto e medaglione
.

 

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