Antonio Fabbri: L’informazione: Societa’ sammarinese fa causa alla Only Italia della Pivetti per 116mila euro

Antonio Fabbri: L’informazione: Societa’ sammarinese fa causa alla Only Italia della Pivetti per 116mila euro

Antonio Fabbri: L’informazione (venerdì 29 maggio 2015): Societa’ sammarinese fa causa alla
Only Italia della Pivetti per 116mila euro

Sarà stata pure presentata tra le “Storie di successo”, quella di Irene Pivetti, intervistata da Michele Cucuzza nel salotto di Asset Banca. Ma quando poi la storia della ex presidente della Camera è stata rilanciata dal giornale di proprietà della banca, La Tribuna, e dalla televisione di Stato, a qualcuno, che quella della Only Italia srl venisse fatta passare come una storia di successo, proprio non è andata proprio giù. Soprattutto perché dalla società della Pivetti rivendica la bellezza di 116mila euro circa.

Questo qualcuno è una società sammarinese, la Joice srl di Dogana, che opera nel settore dell’abbigliamento e che nei confronti della Only Italia srl ha intentato causa presso il tribunale di Roma, intimando il pagamento di quanto dovuto.

“Circa un anno fa – racconta Antonio Amatucci della Joice – abbiamo stipulato un accordo con l’azienda Only Italia srl della signora Pivetti per la fornitura di materiali di abbigliamento per il mercato cinese. Noi siamo produttori e proprietari del marchio Bellissima By Raffaella Rai. Secondo l’accordo con Only Italia si trattava di forniture a un grosso centro denominato Ballettown del gruppo cinese China Infrastructure Group. Dentro questo centro si trovava la struttura Only Italia che doveva riunire marchi italiani di abbigliamento. Circa 70-80 marchi hanno aderito a questa operazione, compresi noi. Only Italia ha fatto l’ordine, ci ha dato un anticipo del 30% e siamo andati in produzione”.

Fin qui tutto pareva filare liscio. Quando però è stato il momento di ritirare la merce si è bloccato tutto. “La commessa doveva essere ritirata a settembre 2014. Stiamo parlando di un lavoro svolto da 189mila euro di merce. Invece la Only Italia non ha ritirato nulla, praticamente dicendo che i cinesi non avevano pagato la fornitura e che loro non avevano disponibilità finanziarie per pagare. Siamo andati avanti fino marzo 2015 con promesse di pagamento, rinvii e rassicurazioni. Poi, tre settimane fa, ho avuto un incontro a Roma dove hanno proposto, come a molti altri, di chiudere la vertenza pagando il 30%”, racconta Amatucci.

“Il problema – aggiunge – è che la signora Pivetti è partita con un progetto coinvolgendo tantissimi marchi, anche importanti e di prestigio, senza avere delle garanzie da parte di questo soggetto cinese”.

Un progetto che, riportava il Sole24Ore di marzo 2014 parlando dell’accordo tra Only Italia e Balletown, doveva riguardare abbigliamento, design, gioielli, cosmetici e cibo. “Con questo accordo Only Italia diventa un canale di distribuzione diretto per le Pmi italiane che vogliono esportare i loro prodotti in Cina”, spiegava la Pivetti a marzo 2014. L’obiettivo era quello di puntare sul Made in Italy.

Ma a settembre il progetto era già naufragato. Peccato che le imprese avessero già investito e prodotto.

“Non si possono tirare in ballo tantissime aziende e per importi così ingenti senza avere certezze, garanzie, fidejussioni da parte del partner col quale si stipulano accordi – aggiunge Anastasia Sidorova, legale rappresentante della Joice – ed è qui che non c’è stata serietà e competenza da parte di Only Italia”

Inevitabile, a questo punto, la causa nei confronti della società della Pivetti unita all’indignazione, aumentata dal fatto che la “Storia di successo” presentata. ha trascurato di descrivere l’insuccesso che ha messo in difficoltà diverse aziende tra cui quella sammarinese.

“La signora Pivetti – riprende Amatucci – dice che la Only Italia aiuta le aziende ad entrare nel mercato cinese. Per ora ha messo in difficoltà piccole medie imprese come la mia. La Only Italia e la signora Pivetti si sono giustificate affermando che non essendo state pagate non riescono a onorare gli impegni presi, ma era compito loro prendere le adeguate garanzie prima di coinvolgere le imprese”.

L’azienda sammarinese è quindi stata costretta a ricorrere alle vie legali.

 

 

 

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