Bangladesh di Epifanio Troina

Bangladesh di Epifanio Troina

E’ doveroso cominciare con il cordoglio alle famiglie delle vittime colpite nell’attentato terroristico nel ristorante Holey Artisan Bakery a Dhaka, in Bangladesh. Vittime innocenti, com’era una vittima innocente Valeria Solesin morta lo scorso 13 novembre nell’attentato al Bataclan nella notte in cui a Parigi furono assassinate 130 persone, com’erano vittime innocenti Antonella Sesino, Francesco Caldara, Giuseppina Biella e Orazio Conte che morirono al Museo del Bardo a Tunisi lo scorso 18 marzo 2015, Patrizia Rizzo a Bruxelles il 23 marzo 2015, Michel Santomenna a Ouagadougou, Salvatore Failla e Fausto Piano a Sabrata in Libia e tanti altri in Somalia così come all’aeroporto di Istanbul. Oggi ci sentiamo colpiti perché abbiamo visto morire, in un ristorante del quartiere diplomatico di Dacca, persone “colpevoli” di essere degli Occidentali. Torna dunque lo sconcerto, torna il dolore ma non dobbiamo mai dimenticare la follia dell’estremismo fondamentalista islamico che ha dichiarato guerra ai “miscredenti” ovvero a chiunque non accetti la lettura oscurantista sunnita salafita della Sharia, musulmani non allineati compresi.

Ma cosa facevano quelle persone a Dhaka? Operavano principalmente nel settore tessile. E allora mi sovviene una documentazione fotografica di Claudio Montesano Cassillas che corredava un’inchiesta in cui migliaia di bambini in Bangladesh sono costretti a lavorare per ore e ore in fabbriche tessili irregolari, dove si occupano di cucire i jeans e gli altri abiti che indossiamo abitualmente. Il reportage documentava lo sfruttamento del lavoro minorile nell’industria dell’abbigliamento nei laboratori di Keraniganj (Dhaka). In Bangladesh circa 7000 fabbriche non sono soggette a controlli di sicurezza. Le fotografie mostravano edifici senza uscita d’emergenza e senza estintori. Le fabbriche irregolari producono abbigliamento che verrà messo in vendita a livello locale ma anche capi per le grandi marche internazionali, attraverso subappalti che rendono davvero difficile capire quale sia la reale provenienza dei prodotti.

Visitando queste fabbriche del Bangladesh, il fotografo Claudio Montesano Cassillas aveva rilevato condizioni di sicurezza inesistenti. In una sola stanza potevano essere presenti fino a 15 macchine da cucire. Qui i bambini, di età compresa tra i 10 e i 14 anni, che sono obbligati a lavorare e che dunque non possono frequentare la scuola, sono oltre il milione (dato Unicef) e si occupano di compiti di ogni tipo, dall’applicazione delle paillettes alla pulizia dei macchinari. Si lavora tutti i giorni dall’alba al tramonto. Nelle fabbriche ufficiali, interessate dai controlli da parte delle autorità, le condizioni di sicurezza sarebbero migliori. Un discorso che non vale per le fabbriche clandestine, proprio quelle dove avviene il maggior sfruttamento minorile.

Gli imprenditori del tessile in Bangladesh hanno un peso politico rilevante perché finanziano generosamente le forze politiche ma è bene che lavoratrici e lavoratori percepiscano stipendi da fame e lavorino in ambienti fatiscenti ?

Benetton Group e Piazza Italia, sono due tra le aziende italiane che si riforniscono da ditte di trading che acquistano merci realizzate nei laboratori in cui la manodopera costa poco, le t-shirt niente e la vita umana ancora meno. Sono certo in buona compagnia, insieme con la britannica Primark, la francese Camaieu, la tedesca Kik Textilien, la canadese Loblaw e ancora H&M, Inditex, PVH, Tchibo, Tesco, C&A, Hess Natur….

Non posso tacere sull’orrore che si nasconde “dietro ai nostri jeans” e sulla schiavitù a cui sono sottoposti i bambini in Bangladesh.

(foto di Claudio Montesano Cassillas)



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