Casalesi in Romagna e San Marino. La Repubblica

Casalesi in Romagna e San Marino. La Repubblica

Si tratta di uomini legati a diversi clan campani che si
erano saldati per operare  tra Rimini, Riccione e la Repubblica di San
Marino. Emettevano prestiti a usura ai danni di numerosi imprenditori locali

La riviera romagnola come terreno di conquista per la
criminalità organizzata campana, anche quella legata ai clan dei Casalesi. E,
forse per la prima volta in Emilia-Romagna, le vittime non sono imprenditori
originari delle aree di provenienza dei clan poi trapiantati al nord, ma sono
della zona: ad essere presi di mira erano imprenditori della Romagna.

E’ questo lo scenario dell’operazione “Vulcanò” condotta dai
carabinieri del Ros e della Dda (direzione distrettuale antimafia) di Bologna
che ha portato ai decreti di fermo nei confronti dieci persone indiziate di
estorsione aggravata dal metodo mafioso, appartenenti a tre diversi clan
campani che si erano saldati in Romagna, appunto, per compiere estorsioni tra
Rimini, Riccione e San Marino, e fare prestiti a tassi usurari ai danni di
numerosi imprenditori locali.

Per svolgere la loro attività in Romagna i clan avevano esportato anche i
metodi: i pestaggi innanzitutto. Ad esempio per convincere pienamente un
imprenditore a pagare, lo hanno portato in un capannone ad assistere al
pestaggio di un’altra persona – un usuraio vittima di estorsione – entrata nel
mirino dei campani. In un’altra occasione, sempre per essere convincenti, hanno
minacciato il rapimento del figlio. “La capacità di intimidazione è forte
anche in aree diverse da quelle di origine”, hanno spiegato i militari del
Ros.

In pratica – secondo le indagini coordinate dal Pm della Dda Enrico Cieri – si
sono saldate le attività di tre clan diversi: quello dei Vallefuoco, quello dei
Mariniello di Acerra, e quello dei Casalesi, frazione Schiavone. I tre gruppi
criminali si sarebbero fronteggiati minacciando il ricorso alle armi, ma i capi
campani avrebbero raggiunto accordi pacificatori per la ripartizione a tre dei
proventi delle estorsioni in Romagna.

“La zona è terreno di conquista per le attività di estorsione dei clan
campani”, sostiene  il procuratore capo di Bologna e vertice della
Dda, Roberto Alfonso. “L’inchiesta ha confermato il tentativo di
infiltrazione in regione della criminalità organizzata di diverse zone del sud”.

Nessuno degli imprenditori taglieggiati (e sarebbero nell’ordine di decine)
aveva presentato denuncia. Sono stati i carabinieri del Ros, che indagavano dal
2008 sui campani, ad accorgersi di quello che stava accadendo. Sono stati messi
davanti al fatto compiuto e loro hanno confermato.

Gli uomini dei clan avrebbero agito più o meno nello stesso modo: avvicinavano
imprenditori che sapevano con qualche difficoltà economica ma che avevano dei
crediti da recuperare. Riuscivano a farsi affidare il recupero dei crediti, ma
alla fine esigevano più denaro dell’ammontare del credito recuperato. Così
facevano entrare l’imprenditore in un giro vizioso con l’obiettivo finale di
farsi cedere l’attività, anche per lavare denaro sporco.

Per compiere questa operazione c’era sempre un emissario del clan che diventava
inizialmente amico dell’imprenditore e anche della sua famiglia (in alcuni casi
le rispettive mogli andavano a fare shopping insieme). Lo portava a cena fuori,
offrendo lui. Poi gli faceva da consulente e finto mediatore con i clan nelle
fasi dell’estorsione.

In particolare a essere stati presi di mira dai camorristi sono stati un
imprenditore edile con società a San Marino e la moglie titolare di una
boutique a Riccione e un altro imprenditore, del settore abbigliamento, di Rimini.
La coppia avrebbe ceduto tra beni e denaro circa 200 mila euro.

Secondo gli investigatori gli indagati erano in procinto di costringere le
vittime a cedere imprese ed immobili e imporre la forzata sottoscrizione di una
polizia vita, il cui premio sarebbe stato poi incassato dai camorristi in caso
di morte.
Nel quadro si inserisce anche una finanziaria, la Fincapital di San
Marino, che interagiva anche con il clan dei Vallefuoco. E che nell’estate
scorsa è diventata oggetto di interesse pure dei Casalesi, che però non sono
riusciti a rilevarla perché le autorità sammarinese l’hanno commissariata.

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