Come San Marino si è salvato nel Risorgimento, Sergio Romano

Come San Marino si è salvato nel Risorgimento, Sergio Romano

CORRIERE DELLA SERA
La lettera del giorno |Domenica 5 Luglio 2009

IL MITO DI SAN MARINO

Ho sempre avuto una
curiosità. Perché al momento dell’unità d’Italia i Savoia, che andarono abbastanza per le spicce con i governi esistenti sul territorio, risparmiarono alla Repubblica di San Marino l’annessione? Perché questa scelta venne mantenuta dal fascismo?

Mario Scaranzi, mario.scarinzi@fastwebnet.it


Risposta di Sergio Romano

Caro Scaranzi,

Forse conviene fare un ulteriore
passo indietro nel tempo e cercare di comprendere perché l’indipendenza della piccola repubblica sia stata rispettata da conquistatori molto più spicci e brutali di Vittorio Emanuele II.
Quando calarono in Italia nel 1797, i francesi di Napoleone Bonaparte trattarono San Marino come una sorta di preziosa reliquia storica. Era la più vecchia delle repubbliche europee. Non era appetibile come la Repubblica di Venezia. Aveva antiche e austere istituzioni che i suoi potenti vicini, fra cui lo Stato pontificio, non erano riusciti ad abbattere.

Poteva quindi considerarsi un anziano modello delle nuove repubbliche che la Francia rivoluzionaria stava creando nel corso della marcia vittoriosa dei suoi soldati attraverso l’Europa. In un libro pubblicato nel 1994 dal Centro di studi storici sammarinesi, Paola Magnarelli ricorda che fra quei francesi vi era un grande matematico, Gaspard Monge, scelto da Bonaparte per una commissione di studiosi che lo accompagnò in Italia e, più tardi, in Egitto. In una lettera alla moglie Monge scrisse: «Nei confronti delle repubbliche, mia cara amica, ci comportiamo come quei nonni che provano un grande piacere quando si perdono a rimirare i loro nipotini.

D’altra parte le giovani repubbliche sono tutte belle, proprio come i nipoti». In altre lettere Monge, con qualche forzatura, si spinse addirittura sino a sostenere che «la costituzione di questo minuscolo Stato si differenzia molto poco da quella francese».

La realtà era meno esaltante.

San Marino aveva un regime oligarchico retto da poche famiglie, viveva di contrabbando ed era, secondo un viaggiatore inglese, «un vero vivaio di briganti ». Ma il mito della fiera repubblica, sfuggita per secoli all’ingordigia papale, sopravvisse e permise a San Marino di attraversare senza troppi danni la fase turbolenta delle guerre napoleoniche.

Più tardi, durante i moti del 1848 e del 1849, la repubblica contribuì con parecchi volontari ai movimenti risorgimentali e protesse Garibaldi durante la sua fuga da Roma.

Al momento della formazione del Regno, quindi, San Marino era l’unico Stato della penisola che non fosse «reazionario», come quelli del Papa e dei Borboni, o dominato da dinastie straniere.

I governi della Destra storica ne riconobbero l’indipendenza e stipularono con i suoi Reggenti la convenzione del 22 marzo 1862. E la sinistra mazziniana trattò la repubblica del Titano come il modello in piccolo formato dell’Italia che avevano sognato. Alla fine di un discorso a San Marino, Carducci disse: «Avevo bisogno di parlare al modo antico, repubblicano; perché io sono repubblicano di sentimenti (…) che non trovo nelle altre repubbliche odierne, e trovo qui».

Da allora, caro Scaranzi, la Repubblica di San Marino è stata un microcosmo italiano con partiti politici, da quello fascista a quelli dell’Italia repubblicana, che imitano in piccolo le storie dei loro cugini italiani.

Le sue maggiori entrate di bilancio sono state i francobolli, la fabbricazione di carte da gioco, il turismo, la concessione di titoli nobiliari e l’ingresso di capitali attratti da qualche privilegio fiscale. Ma ha anche una buona università e una eccellente scuola di alti studi frequentata da ottimi studiosi. Ed è, non dimentichiamolo, la più vecchia repubblica europea.

Nel museo della storia d’Italia c’è una bacheca intitolata a San Marino. Sarebbe sciocco, oltre che inutile, eliminarla.

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