Da paradiso della libertà a paradiso fiscale, Rizzo Sergio e Stella Gian Antonio, Corriere della Sera

Da paradiso della libertà a paradiso fiscale, Rizzo Sergio e Stella Gian Antonio, Corriere della Sera

Corriere della Sera
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Da paradiso della libertà a paradiso fiscale
Paolo VI ha definito i sammarinesi «un piccolo popolo che parla ai grandi». E la Cina ha concesso loro l’ ingresso senza vistoIn 61 chilometri quadrati di territorio ci sono dodici banche e una settantina di società finanziarie e fiduciariePer secoli i perseguitati, compresi i patrioti in fuga dalle galere dell’ assolutismo, si sono rifugiati nel mini Stato. Ora Tremonti cerca un altro tipo di evasore

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Rizzo Sergio e Stella Gian Antonio
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N on c’ è pirata della finanza, a San Marino, che sia stato mai mandato alle «Seychelles». Direte: ci mancherebbe altro! No: le «Seychelles» sul monte Titano sono le «sei celle» del piccolo carcere. Dove sono stati ospiti un rarissimo omicida nella notte dei tempi, un pedofilo presto evaso, un marocchino che aveva compiuto un furtarello… Roba così. Ma mai, a memoria d’ uomo, un bucaniere economico. Non che da queste parti ci vadano tradizionalmente leggeri, con la galera. Basti ricordare i supplizi inflitti nel vicino forte di San Leo al suo «ospite» più illustre e cioè, come registrò l’ atto di morte, «Giuseppe Balsamo, detto conte di Cagliostro, battezzato come cristiano ma tristemente celebre come eretico e miscredente» che nell’ agosto del 1795, «dopo aver sopportato, perseverando nei suoi errori, le sofferenze della prigione per quattro anni, quattro mesi e cinque giorni, è morto senza aver manifestato alcun segno di pentimento». Quattro anni e passa murato vivo in una cella che era una tomba, senza porta, collegato al resto del mondo solo da una finestrella. Non si sa manco dove sia sepolto, Cagliostro. Anni fa due «maghi», un torinese e un veneziano, trascinarono decine di giornalisti sui terreni della Giovanna Carlini, che aveva la casa a cavallo tra l’ Italia e San Marino col confine che passava tra il letto e il comodino, giurando che l’ alchimista fosse sepolto lì. Scavarono e scavarono: niente. «Strano…», borbottò perplesso il mago Noel, «l’ ultima volta che ci ho parlato, sabato sera, mi aveva confermato di essere proprio qui…». Fu quella, ammiccano i critici, l’ ultima volta che scavarono sul serio alla ricerca d’ un avventuriero. Sennò, ciao: da queste parti agli avventurieri spalancano le porte. Un’ accusa che dà sempre più fastidio non solo alle autorità della Serenissima Repubblica, ma ai suoi cittadini. Lo dice, ad esempio, una lettera su La tribuna, uno dei tre quotidiani che saziano i 31.434 abitanti: «Saremo mai abbastanza trasparenti per i nostri amici italiani?». Per ora no, risponde Giulio Tremonti. Certo, dei passi avanti ci sono stati. E così «innovativi e virtuosi» che le autorità sammarinesi hanno convocato martedì i giornalisti in piazza Montecitorio sparando a zero contro le diffidenze italiane. Antonella Mularoni, la segretaria di Stato agli Esteri, è sbottata: «In 17 secoli non abbiamo mai dichiarato guerra a nessuno e non lo faremo con l’ Italia. Ma San Marino esiste da 1709 anni e se qualcuno lo vuol trasformare in un protettorato non ci riuscirà». Il giorno dopo, «L’ informazione di San Marino» riprendendo un’ inchiesta ustionante de l’ Unità, confermava l’ esistenza di una società che, a dispetto della svolta, continua a vendere online a tutti i furbi del pianeta la possibilità di avere una casella postale (100 euro) o un indirizzo stradale (200 euro) tra le accoglienti colline sammarinesi. Titolone: «Aprire un indirizzo fittizio sul Titano è semplicissimo anche via Internet». Spiega www.mailbox.sm: «Questo è il modo più completo per ricevere e spedire posta, pacchi, corrieri e piccoli pacchi a e da San Marino! La posta viene lavorata ogni giorno nel momento in cui arriva in tre modi diversi: 1) Scansioniamo la vostra posta e carichiamo i file sul vostro pannello di controllo. 2) Vi informiamo via email del solo arrivo della posta restando in attesa di vostre istruzioni. 3) Rispediamo immediatamente tutta la posta al vostro indirizzo principale». Cosa può pretendere di più, chi vuole fare affari in clandestinità? Questo è il nodo. Le mosse virtuose dell’ antica Repubblica a cavallo fra la Romagna e le Marche, lamentano gli italiani, sono vanificate ancora da troppe «opacità e incoerenze». Prendiamo il segreto bancario: formalmente non esiste più. Ma quando poi si chiedono informazioni alle banche, è il muro di gomma. Le rogatorie poi, per gli italiani, sarebbero praticamente impossibili. E le società anonime? A fine 2010 le dovrebbero mettere al bando: lo dice la legge. Ma il collega del Corriere Mario Gerevini ha appena provato a telefonare alla Banca Sammarinese di investimento chiedendo l’ elenco dei soci. «Scherza?». Idem, ha scritto Gerevini, succede se si fa la stessa domanda a una qualsiasi delle tante società fiduciarie. Proprio quelle che una volta abolito formalmente l’ anonimato societario potranno fare da comodo schermo agli azionisti. Come sia «opaco» il sistema l’ hanno sperimentato anche gli uomini della Banca d’ Italia. I quali sono riusciti a concordare un «Memorandum of understanding» (accordo che consente ispezioni incrociate nelle filiali all’ estero) perfino con la Svizzera, ma non con San Marino. «L’ Italia chiede, noi diciamo di sì, ma a quel punto si alza di nuovo l’ asticella. Non basta mai», sospira Antonella Mularoni. E porta il caso della doppia imposizione: lì sarebbe stato negoziato un accordo, bloccato però da Roma che vuole lo scambio automatico dei dati del Fisco. Ahi ahi… Incomprensioni, sospetti, veleni. E, come nella «prodigiosa macchinetta» del Mondo Nuovo di Goldoni che «anche le mosche fa parer cavalli», ogni dettaglio viene ingigantito. Come l’ incidente di 5 mezzi dell’ esercito italiano che a maggio hanno varcato per sbaglio i confini sammarinesi. Un’ «invasione» involontaria. Ma seguita da un duro scambio diplomatico. E da un crescendo di prese di posizione sfociate nei titoli sui giornali locali di questi giorni: «L’ ira di San Marino: “L’ Italia vuole l’ embargo”», «San Marino è stufa dei silenzi italiani» «Ora fra i due Stati è vera guerra». I rapporti con Roma sembrano tornati indietro di un paio di secoli. Ai tempi in cui la Città Eterna era la capitale dello Stato Pontificio e un «libello» di chiara marca vaticana (citato dallo scrittore Verter Casali nel volume “Il delitto Bonelli”) descriveva nel 1823 l’ antichissima Repubblica fondata dall’ eremita San Marino nel 301 d.C. come un «nido di perversi fuggiaschi delittuosi e ribelli; salvezza di rei, che pagano la locale autorità; perenne disordine nell’ amministrazione pubblica; ove altro non trovasi che la miscredenza e l’ irreligione; ove covansi gli odi, le frodi e il malcostume; ove l’ insubordinazione è la guida dei prepotenti cittadini, che sotto simbolo d’ indipendenza tramandano l’ uno all’ altro il comando…». Una lettura rovesciata rispetto a quella, ad esempio, di Napoleone. Il quale ironizzava sul segretario di Stato sammarinese Arturo Onofri che era bassotto e portava alla cintola uno spadino esagerato («ha lo spadino che gli esce dal territorio», rise) ma rispettò quella piccola Repubblica capace di resistere per secoli indipendente, senza sognarsi di minarne l’ integrità. Fu per questo che Garibaldi in fuga da Roma verso la Venezia di Daniele Manin, braccato dagli austriaci, trovò naturale chiedere asilo qui. E per questo Giosuè Carducci, nel suo discorso «La libertà perpetua di San Marino» del 1894, si lasciò travolgere dall’ ammirazione: «Al basso il caos barbarico muggiva informe e selvaggio: quassù la poca superstite gente latina faceva o rifaceva pianamente i gradi per cui da Dio viensi all’ uomo, dalla visione alla legge, dal paradiso alla repubblica…». E la merita davvero, San Marino, l’ ammirazione del pianeta. Come disse Paolo VI, la sua è la storia di «un piccolo popolo che parla ai grandi». Grandi che hanno talora gesti formidabili fino all’ eccentricità. Come la Cina che anni fa firmò un trattato bilaterale in base al quale i cittadini del Titano (la cosa era reciproca, si capisce) avevano diritto ad andare a Pechino senza il visto. Guai a sottovalutarli, i sammarinesi. Ne sanno qualcosa gli inglesi. Che saltarono i mondiali di calcio 1994 a causa di un pallone scagliato da Davide Gualtieri nella porta di David Seaman 8 secondi dopo l’ inizio della partita delle qualificazioni San Marino-Inghilterra a Bologna. La squadra britannica, certo, aveva poi dilagato: 7-1. Ma sarebbe rimasta a casa per differenza reti. Un gol. Quello di Gualtieri. Vale la pena, si chiedono molti sammarinesi, di sporcare una luminosa storia di 17 secoli con la macchia infamante di «staterello canaglia» dovuta all’ ingordigia che ha spalancato le porte, con leggi troppo permissive, a soldi di dubbia provenienza e bucanieri di dubbia moralità? Enzo Mularoni, antico presidente dell’ associazione industriali, ridacchiava: «La produzione sammarinese si divide in due tronconi: il manifatturiero e il fatturiero». Cioè la produzione di fatture taroccate. Raccontava Giorgio Gandola sul Giornale, che scomparivano «più mandrie qui che a ovest del Pecos negli anni di Billy Kid». E proseguiva: «Mucche, migliaia di mucche svaniscono nel nulla mentre salgono sul monte Titano verso le fattorie di San Marino». Tutto virtuale. Tutto finto: «Quintali di carta in entrata, non un solo foglio protocollo in uscita: secondo le statistiche del fabbisogno di carne, ogni abitante della piccola Repubblica mangia quattro bistecche al giorno». Ci hanno giocato per anni, i sammarinesi, su queste cose. Fino a ieri. Lo dimostrano le 106 persone indagate e le tre arrestate giovedì (compresa la vicepresidente del San Marino calcio) per l’ evasione delle imposte su un miliardo e mezzo di euro di merci: un miliardo e mezzo. Un’ economia taroccata che ha affiancato quella reale. Le fabbrichette di ceramica o di mobili tipiche del dorsale adriatico. Il turismo, che vede l’ arrivo di circa due milioni di visitatori l’ anno, sia pure incursori «mordi e fuggi» che salgono dalle spiagge romagnole. Ma soprattutto l’ apparato che ruota intorno allo Stato. Una macchina imponente: 4500 dipendenti pubblici. Pari a uno ogni 7 abitanti. Come se in Italia ne avessimo 9 milioni. Con dettagli irresistibili, quali l’ obesità del comitato olimpico locale: ottanta addetti. «Eh sì, siamo più ricchi degli emiliani che sono tra i più ricchi degli italiani», ammiccavano tempo fa dei sammarinesi a Libération. Ma quale Stato al mondo può permettersi di dare uno stipendio a un cittadino su sette? Il sistema ha tenuto solo grazie allo spropositato afflusso di capitali. Pochi dati dicono tutto. Nel suo fazzoletto di 61 chilometri quadrati, San Marino ospita 12 banche: una ogni 2.619 abitanti. In Italia ce n’ è una ogni 73.600. Per non parlare di una settantina fra finanziarie e società fiduciarie. Nei serenissimi forzieri erano custoditi 13 miliardi 611 milioni di euro: 433.844 a sammarinese. Ventuno volte di più del deposito pro capite di gente ricca quali gli aostani, ventitré più dei trentini. «Erano» custoditi: a causa dello scudo fiscale anche i sammarinesi, come gli svizzeri, hanno avuto una botta. Una mazzata da quattro miliardi 753 milioni di euro, poco meno del 35% di tutti i soldi parcheggiati. Certo, non tutti i denari sono materialmente usciti dalle casseforti della Repubblica. Una parte è stata solo «regolarizzata». Ma la fetta più consistente se n’ è andata per rientrare in Italia: due miliardi 774 milioni. Una emorragia tale da far vacillare molte certezze costruite a partire dagli anni Ottanta, quando banche e finanziarie avevano cominciato a crescere come panna montata. Attirando sempre più imprese nostrane. Richiamate da una tassazione che manco il Cavaliere si è mai sognato di promettere: il 17%. Che scende fino al 12 nell’ Irpef per gli stipendi più bassi. Cosa che fa lievitare lo stipendio di un maestro, un postino o un gendarme (uno ogni 149 persone sul Titano, uno ogni 298 da noi) verso vette cui nessun dipendente pubblico italiano può aspirare. Reddito pro capite 2008: 41.446 euro (ottomila più di quello lombardo) contro una media italiana di 26.277. Un paradiso. «Fiscale», precisa Tremonti. Che per San Marino è diventato negli anni una specie di bestia nera nonostante la torta più famosa del Titano sia la «Tre Monti» e nonostante la Serenissima Repubblica abbia oggi un governo di destra. La svolta è cominciata al G20 di Londra, appunto, sui paradisi fiscali un paio d’ anni fa. Da allora, niente è più lo stesso. Nelle riunioni delle commissioni miste Roma non si stanca di sottolineare l’ odore di presenze criminali ai margini della piccola Repubblica. Ed è iniziato il giro di vite. Culminato con una norma introdotta nel «decreto incentivi»: su chi fattura più di 5 mila euro con San Marino il Fisco vuole sapere vita, morte e miracoli. Una tagliola feroce, dicono nella Repubblica, studiata apposta per far scappare le imprese italiane: «E’ un embargo». Per non parlare poi della minaccia di schiaffare il Titano nella lista nera dei paradisi fiscali. Quella spada di Damocle è sempre sospesa sulla testa dei due Capitani reggenti. Non sono servite le affettuosità di Renato Brunetta, arrivato a proclamarsi «l’ agente all’ Avana» di San Marino. Né quelle di Claudio Scajola, ricambiato con l’ onorificenza di «Cavaliere di Gran Croce dell’ ordine equestre di Sant’ Agata» poco prima di doversi dimettere per il famigerato «aiutino» per la casa al Colosseo proveniente «a sua insaputa» dalla Cricca. Cricca che, come è noto, proprio a San Marino aveva alcune casseforti. Il governo del Titano giura oggi d’ avere svoltato da tempo. Abolendo ad esempio (anche se è tutto fermo perché manca il regolamento d’ attuazione) il divieto di ogni intercettazione. Sarà. Ma ancora non si è assestato il terremoto che ha investito la Banca centrale. Dove il capo della Vigilanza Stefano Caringi, ex ispettore della Banca d’ Italia, è stato rimosso dal Consiglio direttivo. In pratica, visto che la decisione è stata presa scavalcando il presidente (italiano) Biagio Bossone e il direttore generale (italiano) Luca Papi, dal governo. Antonella Mularoni dice che era venuto meno il rapporto di fiducia. La tesi italiana è che Caringi aveva ficcato il naso dove non doveva. Negli affari della «Banca Partner» del potente immobiliarista locale Mario Grandoni? Chissà. C’ è chi scommette che il «rapporto di fiducia» sia andato in crisi quando il dirigente ha accettato di rispondere al magistrato forlivese Fabio Di Vizio. Fatto sta che dopo il repulisti, Bossone e Papi si sono dimessi con una lettera messa in rete prima di essere spedita ai Capitani reggenti. Dentro, affermazioni pesanti. Una rottura traumatica. Che ha lasciato la Banca centrale senza vertici. E ha impedito al «ficcanaso» licenziato di godersi lui pure, chissà, la concessione del titolo di «Cavaliere di Gran Croce dell’ ordine equestre di Sant’ Agata». Un peccato. L’ onorificenza pare sia agognata, dagli italiani. Per informazioni, chiedere a Cosimo D’ Arrigo. Comandante della nostra Guardia di Finanza. Quella che a San Marino fa le pulci. Curioso, no?

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