Quattro “no” ragionati sui Referendum del 16 marzo
Si è riunito ieri sera il Gruppo di Coordinamento del Movimento dei Democratici di Centro per esaminare i quattro quesiti referendari sui quali gli elettori saranno chiamati ad esprimersi il prossimo 16 marzo. Il Coordinamento, pur sottolineando la rilevanza del referendum quale istituto di democrazia diretta, ha svolto una riflessione che ha condotto a intravedere il rischio che questo strumento possa essere ulteriormente impoverito ogniqualvolta esso venga utilizzato dalle dirigenze di partito, o comunque da organizzazioni di parte, per il raggiungimento dei loro obiettivi e non degli interessi generali della Repubblica.
In particolare la scelta di invitare i sammarinesi ad esprimersi con un “no” su tutti i quesiti trova le proprie motivazioni nella constatazione che:
l’abrogazione degli articoli 17 (1° quesito) e 18 (2° quesito) della “Legge per la promozione, il sostegno e lo sviluppo dell’occupazione e della formazione” del 29 settembre 2005, relativi, rispettivamente, al contratto di lavoro temporaneo e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, rappresenterebbe un’involuzione rispetto alle condizioni determinate dalla stessa legge, perché si presenterebbe la minaccia di un ritorno a forme di illegalità e di una ripresa del precariato, sceso, in questi ultimi due anni, da 500 a 130 unità, così come, con la nuova normativa, sono diminuiti da 1.000 a 130 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
l’eventuale reintroduzione della vecchia “scala mobile” (3° quesito) indebolirebbe, senza ombra di dubbio, la contrattazione sindacale per effetto di un automatismo arcaico e desueto, che danneggerebbe gli stessi lavoratori e neppure ristabilirebbe il potere di acquisto degli stipendi e delle pensioni, ridotto dall’introduzione dell’euro;
la riduzione da 3 a 1 delle preferenze da esprimere in sede di elezioni politiche (4° quesito) è voluta, di fatto, dal Nuovo Partito Socialista e da qualche convertito dell’ultima ora, con la finalità, si dice, “di moralizzare la vita pubblica e di mettere fine alle cordate”. Ma non è così! Con la preferenza unica, infatti, l’elettore vedrebbe ridurre le proprie possibilità di scelta con limiti innegabili per la democrazia; i politici che abitualmente ottengono un vasto consenso personale continuerebbero ad ottenerlo, con la possibilità, peraltro, di orientarne una parte verso persone compiacenti e ad essi politicamente vicine; si genererebbero vantaggi evidenti per i Membri del Congresso di Stato; entrerebbero inoltre in gioco “patrocinatori”, occulti o meno e comunque non disinteressati, americanizzando di fatto la campagna elettorale sulla base del principio che “chi ha più soldi ha più consensi”; risulterebbero penalizzati le donne e i giovani; il voto estero verrebbe canalizzato in maniera ancora più rigorosa; le famigerate “cordate” sarebbero preventivamente contrattate a tavolino; esploderebbe una battaglia senza esclusione di colpi per conquistare la preferenza, incentivando inevitabilmente il voto di scambio. Di fatto la preferenza unica ha un senso nei sistemi elettorali maggioritari a collegio uninominale. Che nulla hanno a che fare con la nostra legge elettorale!