Economy, Zornitza Kratchmarova, San Marino sotto assedio

Economy, Zornitza Kratchmarova, San Marino sotto assedio

SAN MARINO

Ora IL PARADISO
E SOTTO ASSEDIO
INCHIESTA

Questa settimana sarà decisiva per le sorti della piccola repubblica. C’è da salvare una banca-Stato, evitare un buco da 2 miliardi di euro e affrontare una probabile crisi di governo. Mentre alla frontiera la Guardia di Finanza…

Zornitza Kratchmarova
Sono giorni di fuoco per il Titano. Sabato 27 febbraio i soci della Fondazione che controllano il 100% della Cassa di risparmio di San Marino si danno appuntamento per il via libera al piano di rafforzamento della struttura patrimoniale della «banca-Stato» che vale il 40% dell’intero sistema creditizio dell’antica Repubblica. «Ci servono 350 milioni di euro» anticipa a Economy Tito Masi, presidente della Fondazione, e traccia le linee guida di un aumento dì capitale da 150 milioni, in buona parte sottoscritto dal Tesoro, e l’emissione di un prestito obbligazionario da
200 milioni.

Sulle sorti dell’istituto, e non solo, incombe lo spettro di Delta, la società di credito al consumo bolognese controllata dalla Cassa. Con una certezza: se dovesse andare in liquidazione non ci sarà rafforzamento patrimoniale che tenga. Perché il presunto «buco» ammonta a 1,5-2 miliardi di euro, ossia sei volte, e più, la patrimonializzazione ipotizzata da Masi.

Un gigantesco problema per un minuscolo Stato, che tra l’altro ha già altri grossi problemi da risolvere. A 12 chilometri appena da Rimini, su una superstrada intasata da camion, un posto di blocco della Guardia di finanza (che sta lavorando anche sul fronte delle frodi Iva con 500 verifiche pianificate per il solo 2010) fa subito capire che aria tira da queste parti. I controlli sono casuali.

Ma un cartello avverte che le targhe sono registrate. «Sono mesi che andiamo avanti così» assicura il tassista, e ricorda i tempi in cui recarsi oltre il cartello «Benvenuti nell’antica terra della libertà», che segna il confine della Rocca, con una valigetta piena di contante era all’ ordine del giorno. E oggi? Niente da fare. Troppi rischi.

Così, dove non riuscirono papi e imperatori dai cui tributi il piccolo Stato si dichiarò libero nel 1296, sta riuscendo il fisco italiano a caccia di evasori. O, ancora, la pressione internazionale contro i paradisi off shore che in pochi mesi ha costretto San Marino a rinunciare, o quasi, alla sua merce più preziosa: il segreto bancario.

La resa è stata sancita il 21 gennaio scorso con la legge numero 5, che all’articolo 4 elenca tutti i soggetti a cui non potrà più essere opposto, compresi «gli uffici sammarinesi deputati allo scambio diretto di informazioni con gli omologhi organi esteri in attuazione degli accordi internazionali vigenti».
Tradotto: i Paesi con cui la Rocca ha sottoscritto patti di collaborazione in materia fiscale avranno accesso libero a ogni tipo di notizia sui propri contribuenti. «Unico vincolo: le richieste devono essere sorrette da domande concrete e motivate» precisa Gabriele
Gatti, segretario di Stato alle Finanze della Repubblica, da oltre 30 anni nello scacchiere politico del Titano. Ma ammette: «Solo un anno fa questa legge non sarebbe stata possibile». E ricorda l’altro colpo assestato al sistema sammarinese: l’obbligo di deposito delle azioni delle società anonime presso un notaio locale, per potere risalir ai titolari in caso di nece sità. Magari su richiesta della magistratura. In altre parole: tentare di contrastare eventuali azioni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo. «Non a caso in pochi mesi il costo per costituire delle società anonime è crollato: da 200 mila euro a poche migliaia, forse meno» sintetizza Gatti.

Per il governo i tempi sono cambiati, insomma. Parecchio. «Ma l’Italia non sembra accorgersene’> interviene Antonella Mularoni, segretario di Stato per gli Affari esteri, firmataria del 22° patto bilaterale in materia fiscale, ancora fresco d’inchiostro, con il Regno Unito. A imporre la firma di almeno 12 accordi era stato l’Ocse. Pena l’iscrizione nella lista nera dei «Paesi non cooperativi».

E chiarisce: «Sono mesi che tentiamo di normalizzare i rapporti con Roma, ma invano». Manca all’appello proprio l’accordo fiscale. E mentre i vertici governativi optano per ìl «no comment» circa il motivo della prudenza italiana, le voci sulla Rocca si rincorrono. L’idea che va per la maggiore è che si voglia tenere San Marino sotto scacco. Almeno fino alla fine dello scudo fiscale. Per il rimpatrio dei capitali c’è tempo fino al 30 giugno 2010, grazie alla proroga sancita dall’Agenzia delle entrate con la circolare del 2 dicembre scorso.

«A conti fatti perderemo un terzo dei depositi» stima Pier Paolo Fabbri, presidente dell’Associazione bancaria sammarinese (Abs), parlando di una voragine da 4,3 miliardi di euro. «Solo nel 20- 25% dei casi si tratterà di rimpatrio giuridico, ossia di soldi regolarizzati ma non rimpatriati». Coh l’aiuto di una finanziaria italiana, s’intende. In pratica, è quest’ultima che apre un rapporto presso un istituto di San Marino in nome proprio ma per conto del cliente. A quel punto il rapporto iniziale «banca- cliente» diventa «banca-finanziaria».

E ancora: è la finanziaria a versare al fisco quanto dovuto, ovviamente in forma anonima. In questo modo la posizione sul fronte legale risulta in Italia, mentre i soldi non si sono mai mossi dalla Rocca. «Il gioco ha un costo pari allo 0,2- 0,3% della somma scudata» dice una fonte bancaria. «Ma conviene solo se i soldi rimangono lì per un po’ di tempo». Altra questione calda sul fronte credito: il decreto «salva-banche», che nel dicembre scorso, in piena bufera-scudo, ha imposto agli istituti del Titano di accantonare l’8% della raccolta per fare fronte a eventuali problemi di liquidità. Peccato che per Fabbri si sia trattato di un pas so falso perché «ha drenato risorse preziose nel momento peggiore». E confessa: «Quello è stato anche uno dei motivi di screzio con gli ormai ex vertici di Banca centrale, promotori dell’iniziativa». E poco importa che a firmare il decreto sia stato il governo.

Ecco i retroscena della «cacciata degli italiani» avvenuta ai primi di febbraio: Stefano Caringi, capo della Vigilanza, è licenziato in tronco dal Comitato per il credito e il risparmio della stessa banca presieduto dal segretario alle Finanze Gatti. Biagio Bossone e Luca Papi, rispettivamente presidente e direttore generale, danno le dimissioni in segno di protesta. Risultato: i vertici vengono azzerati. Per il governo si tratta di «un fulmine a ciel sereno». Ma c’è chi assicura che le conseguenze erano largamente prevedibili. «Bossone e Papi l’avevano detto a chiare lettere che avrebbero rimesso il loro incarico nel caso fosse venuta a mancare la fiducia a Caringi» dice un’altra fonte bancaria. E ricorda che fu proprio Papi a mettere nero su bianco una verità scomoda e cioè che i depositi delle banche di San Marino sono in buona parte frutto dell’evasione fiscale italiana. E che depositi. I dati prescudo parlavano di 13,5 miliardi di euro. Non male se si pensa che a San Marino ci sono 31 mila anime appena.
Lo fece ai primi del 2009 in un documento riservato diretto proprio a Gatti, ma la missiva finì nelle mani della stampa e lo scandalo fu inevitabile. Oggi è lo stesso numero uno delle Finanze a gettare acqua sul fuoco: «L’emergenza è rientrata» sostiene, e conferma quanto anticipato da Economy nel numero scorso.

«La Banca centrale ha un nuovo presidente: è Ezio Paolo Reggia, ex Cattolica Assicurazioni’. Salvo colpi di scena all’ultimo minuto, s’intende. Perché al momento di andare in stampa la nomina non è ancora stata formalizzata.

CONSEGUENZE POLITICHE.

Quel che è certo è che l’«incidente» della Banca centrale è destìnato ad avere conseguenze dirompenti anche sul sistema politico di San Marino. A fare chiarezza è Claudio Felici, capogruppo del Partito dei socialisti e dei democratici, principale forza d’opposizione nel Consiglio grande e generale, ossia il parlamento della Rocca: «Siamo sconcertati dalla leggerezza con cui il governo ha gestito l’intera questione» dice Felici, che ipotizza un disegno precostituito per sbarazzarsi di figure scomode.

«Non escludo una crisi di governo» aggiunge. Non elezioni anticipate, però. Meglio un rimpasto. Nel mirino c’è Gatti. «Stiamo lavorando per sfiduciarlo» dice ancora Felici, assicurando che pure nella maggioranza ci sono parecchi «mal di pancia». Ma Antonella Mularoni, a capo degli Esteri, taglia corto: «Sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità e se qualcuno ha sbagliato pagherà. Eccome, se pagherà».

Al segretario per gli Affari esteri non vanno giù le accuse di ingerenza mosse dagli ex di Banca centrale che in una lettera inviata ai Capitani reggenti del Titano denunciavano pesanti intromissioni politiche nella loro attività, con l’obiettivo di limitarne l’azione di vigilanza e, peggio ancora, sospendere le ispezioni ritenute inopportune. E sì che stando a un documento secretato sarebbero proprio Gatti e Mularoni «Alfa» e «Beta», ovvero i due membri dell’esecutivo responsabili ditali azioni. Entrambi respingono le accuse. «Ci siamo mossi all’interno delle nostre prerogative» si scalda Gatti e riprende con i passi avanti farti da San Marino per entrare nel gruppo dei Paesi collaborativi.

Qualche esempio? «L’Agenzia di informazione finanziaria (Aif), creata a fine 2008 su raccomandazione di MoneyVal, l’organismo del Consiglio d’Europa che si occupa dì antiriciclaggio, lavora a pieno regime» assicura. Lo dice anche il direttore, Nicola Veronesi: «Nel 2009 abbiamo ricevuto 260 segnalazioni di operazioni sospette riguardanti eventuali partite di nero contro le 110 targate 2008» specifica il numero uno degli 007 sammarinesi, a cui spetta il compito di verificare eventuali anomalie e di segnalarle alle autorità competenti. E assicura: «Nel 2010 contiamo di raddoppiare, o quasi».

Il merito è dello spauracchio della cosiddetta «omissione di segnalazione». E’ punita con la prigione di primo grado e, dunque, con la reclusione da tre mesi a un anno. «C’è anche un’ammenda amministrativa, spesso salatissima» aggiunge.
Chissà se le maglie più strette dell’anti-riciclaggio hanno contribuito a inasprire gli animi di chi è abituato ai fasti del passato recente. Recentissimo, anzi. E un tabaccaio del centro storico a riassumere quanto pensano i suoi concittadini. «Un paradiso? San Marino lo era, oggi non lo è più» dice. «Le sue banche sono sputtanate, e non solo quelle». Ma una buona notizia c’è: «Le sigarette, quelle sì, sono ancora convenienti: 50 centesimi in meno circa. Almeno per ora».

Intanto, tra i vicoli dell’antica Rocca comincia a serpeggiare un certo risentimento nei confronti degli «stranieri», cioè gli italiani. A pagarne le conseguenze potrebbero essere gli oltre 6 mila frontalieri. Ma Mularoni rassicura:
«Escludo ritorsioni di alcun tipo. Tanto più che senza il loro apporto la nostra economia andrebbe incontro a gravi difficoltà». Opinione spesso non condivisa, però: «Non c’è mai stata tanta disoccupazione qui» dice un barista, sammarinese doc. Con qualche italiano in meno, forse..

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