Fondazione Caponnetto: Rapporto Mafia in Emilia Romagna

Fondazione Caponnetto: Rapporto Mafia in Emilia Romagna

MAFIA IN EMILIA ROMAGNA: RAPPORTO 2012
PER UNA EMILIA ROMAGNA SENZA MAFIA RAPPORTO 2012 A cura della Fondazione Antonino Caponnetto L’EMILIA ROMAGNA NON E’ TERRA DI MAFIA MA LA MAFIA C’E’ E RISCHIA DI COLONIZZARE LA REGIONE E SI PRESUME CHE IL SUO FATTURATO OSCILLI INTORNO AI 20 MILIARDI DI EURO NON DOBBIAMO ABBASSARE LA GUARDIA INDICE PROLOGO CRIMINALITA’ MAFIOSA CALABRESE CRIMINALITA’ MAFIOSA SICILIANA CRIMINALITA’ MAFIOSA CAMPANA CRIMINALITA’ MAFIOSA PUGLIESE CRIMINALITA’ ORGANIZZATA STRANIERA Criminalità albanese Criminalità nordafricana Criminalità nigeriana Criminalità cinese Criminalità centroamericana/sudamericana Criminalità rumena Criminalità bulgara Criminalità ex URSS Altri fenomeni criminali stranieri INFILTRAZIONI MAFIOSE NEGLI APPALTI PUBBLICI RAPPORTI TRA LE VARIE MAFIE RAPPORTI TRA MAFIE E MONDO DELLA POLITICA ANALISI TERRITORIALE PER PROVINCIA PROVINCIA DI BOLOGNA PROVINCIA DI FERRARA PROVINCIA DI FORLI’ CESENA PROVINCIA DI MODENA PROVINCIA DI PARMA PROVINCIA DI RAVENNA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA PROVINCIA DI RIMINI

INDICI CONCLUSIONI PROLOGO (testo integrale)

La regione Emilia Romagna non è originariamente una terra di mafia e per questo motivo parlare di tale argomento, fino a qualche tempo fa, non era affatto semplice. La Regione, come altre del centro e del nord Italia, era considerata “un’isola felice”. Chiunque provava ad affrontare tale argomento, spesso veniva accusato di fare inutile allarmismo. Fortunatamente è cambiato il vento. In Emilia Romagna c’è stata una vera e propria inversione di tendenza, probabilmente stimolata anche dall’eccellente lavoro di molti Prefetti e delle Forze di Polizia. Molti amministratori e politici sono diventati consapevoli della gravità della situazione che si è creata sul territorio regionale. Purtroppo, questo risveglio della coscienza non si è realizzato in altre Regioni. In Emilia Romagna è stata sollecitata, addirittura, la costituzione di un Ufficio della Direzione Investigativa Antimafia, cosa che è avvenuta nello scorso mese di giugno con l’apertura della Sezione Operativa DIA di Bologna. La Regione è stata considerata terra di conquista e, quindi, molto appetibile, soprattutto, perché tra le più ricche della penisola. Le consorterie malavitose hanno manifestato una crescente tendenza a ramificare la propria presenza anche in territori tradizionalmente estranei al proprio ambito di attività. Le infiltrazioni criminali – facilitate anche dai mafiosi che furono mandati in soggiorno obbligato, che si sono trasferiti con le proprie famiglie, radicandosi nelle zone di confino – hanno raggiunto livelli di colonizzazione in molte zone della Regione. Se dovessimo fare un’analisi sociologica del fenomeno, potremo affermare, quasi con certezza, che le organizzazioni criminali sono riuscite a penetrare e radicarsi nel territorio sfruttando e approfittando del carattere estroverso e accogliente del popolo emiliano e romagnolo. Questo aspetto, a nostro parere, ha giocato un ruolo rilevante rispetto, ad esempio, a ciò che è avvenuto nella vicina Toscana, dove gli abitanti sono sicuramente più “guardinghi” e introversi. Le organizzazioni criminali, negli anni, si sono spartite il territorio dell’Emilia Romagna. Nel mese di gennaio 2012, in proposito, durante l’apertura dell’anno giudiziario, il Procuratore Generale parla esplicitamente “della raggiunta pace mafiosa tra i diversi gruppi finalizzata a un’equa spartizione del territorio e degli affari”; Agli inizi, questa suddivisione di zone è stata anche decisa da azioni cruente. Negli ultimi anni, dopo che sono state acclarate le gerarchie e le egemonie, le mafie hanno, in parte, ma visibilmente archiviato i metodi criminali violenti, e hanno deciso di lavorare “sotto traccia”, stabilendo una sorta di pax, costituendo anche alleanze e collaborazioni, realizzando vere e proprie holding imprenditoriali. I sodalizi criminali sono, così stati in grado di aggiudicarsi, stabilmente, gli appalti ed acquisire le concessioni. I rischi di inquinamento dell’economia legale hanno raggiunto livelli inquietanti. Oramai, nessun territorio può ritenersi permeabile all’avanzata dei clan. Anche la presenza di organizzazioni criminali straniere, oramai è un dato di fatto. Si sono evidenziati gruppi criminali composti da albanesi, rumeni, bulgari, cinesi, magrebini, nigeriani e di altre etnie, dediti al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, al favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, all’usura, all’estorsione, alle truffe telematiche mediante la clonazione di carte magnetiche e ai reati predatori. Inoltre, si sono moltiplicate le organizzazioni multietniche, composte anche da italiani, che si sono mostrate attive nella commissione di quei reati che, per loro natura, necessitano di una più strutturata organizzazione. Appare evidente che le organizzazioni criminali, presenti sul territorio, sono in una fase evolutiva che punta, soprattutto, ad estendere gli interessi in zone “controllate” da altri sodalizi, stipulando accordi di scambio reciproco. Per questo motivo, servono più che mai strumenti di collaborazione condivisi tra le istituzioni. Dando un’occhiata alle statistiche pubblicate dalla relazione del secondo semestre della Direzione Investigativa Antimafia, si rileva la sussistenza di un numero consistente dei cosiddetti “reati spia”, cioè commessi con metodi chiaramente mafiosi. In particolare, nel documento, sono segnalati: 9 attentati; 221 danneggiamenti seguiti da incendio; 301 incendi; 1.149 rapine. Anche il quadro che emerge dalle infiltrazioni criminali nell’economia legale non è certo rassicurante: Numero operazioni sospette pervenute 1.302, con incidenza percentuale a livello nazionale del 9,22%; 43 reati di riciclaggio segnalati all’A.G nell’anno 2011 (168 persone denunciate e 26 persone arrestate); 2 reati di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita nell’anno 2011 (9 persone denunciate, 1 persona arrestata). Importanti sono i dati relativi ai reati di usura e al racket delle estorsioni, verificatisi in ER nel 2011: 226 reati di estorsione, con 161 soggetti stranieri denunciati; 12 reati di usura, con 3 soggetti stranieri denunciati. Altro dato interessante emerge dal XXI Rapporto sulla falsificazione dell’euro reso noto dall’UCAMP – Ufficio Centrale Antifrode dei Mezzi di Pagamento del Dipartimento del Tesoro, analizzando i numeri relativi alle banconote rinvenute nel territorio nazionale sotto una chiave regionale, mette l’Emilia Romagna al sesto posto, con 6.781 banconote sequestrate. Anche i dati che si rilevano sulle ecomafie non sono assolutamente consolanti. Da quanto emerge dalle statistiche delle Forze dell’Ordine, inserite nel Rapporto di Legambiente del 2011, l’Emilia Romagna, con 219 infrazioni, 53 sequestri e 331 persone denunciate, è undicesima nella classifica dell’illegalità nel ciclo del cemento, dodicesima per reati legati al ciclo dei rifiuti: 238 infrazioni, 300 persone denunciate, 101 sequestri giudiziari effettuati. Altra statistica molto negativa per la regione Emilia Romagna è quella dell’archeomafia. Nella classifica italiana si trova al 5° posto, l’8,7% del totale. Bologna è la prima fra le province emiliane con 52 infrazioni sul cemento e 55 sui rifiuti In Italia. In Regione vi è anche un consistente numero di beni confiscati alle mafie. Come si rileva dal sito http://www.benisequestraticonfiscati.it dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, i beni confiscati presenti nelle Province della Regione sono 109, più del doppio della Toscana (53), e sono così distribuiti: BOLOGNA 13 8 0 0 0 11 7 39 FERRARA 0 8 0 6 0 2 0 16 FORLI CESENA 0 20 0 8 0 0 0 28 MODENA 0 0 0 0 0 1 0 1 PARMA 0 6 0 0 0 0 0 6 PIACENZA 1 5 0 0 0 0 0 6 RAVENNA 0 8 0 0 0 0 0 8 RIMINI 0 0 2 0 0 2 1 5 Occorre tener presente, altresì, che la vicinanza della Repubblica di San Marino (si vedano i “Report sulla Mafia a San Marino 2011/2012” – www.antoninocaponnetto.it e stopmafia.blogspot.com), ha avuto un ruolo rilevante sugli interessi in Regione delle mafie. Infine non bisogna dimenticare, per la gravità del gesto simbolico, le minacce di stampo mafioso che sono pervenute al Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro, al Giudice del Tribunale di Modena Lucia Musti e al giornalista Giovanni Tizian. Di seguito si elencano alcune vicende più rilevanti che hanno interessato la regione Emilia Romagna: Novembre 2010, sono state eseguite undici ordinanze di custodia cautelare dalla Polizia di Stato che ha sgominato una banda, composta da fiancheggiatori della ex ‘mafia’ del Brenta, specializzata in assalti a laboratori orafi e furti con l’uso di esplosivi di casse continue di banche, uffici postali e ipermercati di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Molise, Marche, Lombardia e Emilia Romagna; Novembre 2010, un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 47 indagati, tra esponenti di spicco di “cosa nostra” e amministratori, è stata eseguita dai Carabinieri del ROS tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. I militari dell’Arma hanno anche sequestrato beni per circa 400 milioni di euro, comprendenti l’intero circuito economico di imprese, complessi commerciali, fabbricati e beni mobili dei sodalizi indagati. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e rapine. Le indagini di Carabinieri del Ros hanno ricostruito le recenti dinamiche di cosa nostra etnea, documentandone gli interessi criminali e le infiltrazioni negli appalti pubblici, mediante una capillare rete collusiva nella pubblica amministrazione; Febbraio 2011, operazione “Eurot”, i Carabinieri hanno compiuto 17 ordini di custodia cautelare, nell’ambito di un’operazione contro un maxi traffico di indumenti usati che aveva la base operativa a Prato, e articolata in Campania, Toscana ed Emilia Romagna. L’ affare era gestito proprio da uomini del clan della camorra “Birra-Iacomino”. L’attività investigativa ha permesso di individuare gli autori dell’omicidio di Ciro Cozzolino, ucciso perché aveva assunto il predominio nel commercio degli abiti usati nella zona di Montemurlo, ritagliandosi un ruolo autonomo e intralciando, di fatto, le attività commerciali dei clan camorristici Birra-Iacomino e Ascione-Suarino, attivi nella zona di Ercolano; Aprile 2011, operazione “Pizzo del diavolo”, la Polizia di Stato di Rovigo ha arrestato 16 persone di origine albanese e marocchina, responsabili di un vasto traffico di cocaina e hashish che, oltre in Veneto, interessava anche la Lombardia e l’Emilia Romagna; Giugno 2011, operazione “Ghibli”, si è conclusa con la richiesta di conferma di undici condanne, già emesse in primo grado, nel giudizio d’appello a carico di presunti affiliati ai clan di ‘ndrangheta del Crotonese. L’operazione “Ghibli” scattò la notte del 20 aprile 2009 tra la Calabria e l’Emilia Romagna per l’esecuzione di 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere e numerosi sequestri per un valore di 30 milioni di euro, al culmine dell’inchiesta diretta a ricostruire la sanguinosa guerra fra gli “Arena” e i “Nicoscia”; Luglio 2011, operazione “Money”, i Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale di Catanzaro hanno arrestato 10 persone, ritenute partecipanti ad un’organizzazione criminale legata alla ‘ndrina “Mancuso” di Limbadi (VV), dedita al narcotraffico e al riciclaggio dei proventi illeciti. Le attività investigative hanno evidenziato che parte dei ricavi sono stati riciclati grazie alla mediazione di soggetti originari dell’Emilia Romagna e della Repubblica di San Marino, presso istituti di credito di quello Stato; Agosto 2011, operazione “Artù”, la Guardia di Finanza di Locri (RC), sotto la direzione della DDA di Reggio Calabria, ha bloccato una colossale operazione di riciclaggio di denaro, messa in atto attraverso l’intermediazione di esponenti di spicco della ‘ndrangheta reggina e di “cosa nostra” siciliana. Venti persone -tra cui alcune residenti in Emilia Romagna (2 a Bologna, 2 a Reggio Emilia, 2 a Modena) – sono state tratte in arresto in tutta Italia con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, alla truffa e alla falsificazione di titoli di credito; Settembre 2011, operazione “Staffa”, la DIA, con l’ausilio dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, ha arrestato 28 persone, indagate, a vario titolo, per associazione di stampo mafioso , rapina, sequestro di persona, porto abusivo di armi e riciclaggio. Inizialmente, le investigazioni sono state condotte nei riguardi di un sodalizio capeggiato da una figura di spicco della camorra napoletana e, in una seconda fase, sono state allargate ad un gruppo criminoso operante sul territorio nazionale, in Emilia Romagna e nella Repubblica di San Marino, specializzato nel reimpiegare/riciclare il denaro proveniente dalle illeceità di varie organizzazioni. In particolare, dopo che le indagini hanno consentito di individuare precise responsabilità in capo agli indagati e raccogliere numerosissimi riscontri investigativi in merito alla consumazione di ben 16 rapine perpetrate a Napoli, la DIA ha documentato il reimpiego di circa 5 milioni di euro, realizzato nella Repubblica di San Marino per conto di più gruppi di criminalità organizzata, due associazioni della camorra (Stolder e Vallefuoco) e di cosa nostra (famiglia dei Fidanzati); Settembre 2011, operazione “Apogeo”, sviluppata tra Campania, Toscana, Umbria, Emilia Romagna e Marche, i Carabinieri del ROS, coadiuvati dai militari del GICO della Guardia di Finanza, hanno disarticolato un’organizzazione criminale dedita a truffa aggravata, riciclaggio, bancarotta fraudolenta, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l’aggravante di aver agevolato le attività del cartello dei casalesi. Nella fase finale dell’indagine è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 16 indagati e un sequestro preventivo dei beni, per un valore stimato di oltre 100 milioni di euro; Novembre 2011, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma hanno eseguito 30 arresti, perquisizioni e sequestri nelle regioni Calabria, Lombardia, Emilia Romagna, Sicilia, Puglia e Lazio nei confronti dei componenti di una ramificata organizzazione criminale riconducibile alla ‘ndrangheta calabrese, responsabile dell’importazione di ingenti carichi di cocaina dal Sudamerica, approvvigionati direttamente dai cartelli colombiani produttori dello stupefacente. Il gruppo criminale introduceva la droga in Italia occultandola in container con merce legale, trasportati dal Sudamerica da navi mercantili per conto di ditte di import – export costituite “ad hoc”. Nel corso dell’indagine, in pochi mesi, i militari del Nucleo Investigativo hanno intercettato due container inviati dall’organizzazione criminale, sequestrando 2.200 kg di cocaina presso i porti di Gioia Tauro e Livorno. Altri 400 kg erano stati sequestrati dalla Polizia colombiana a Bogotà; Dicembre 2011, operazione “Attaccabottone”, la Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito, sul territorio della Regione Campania e Basilicata, un provvedimento di sequestro preventivo nei confronti dei componenti di diverse ed articolate associazioni per delinquere operanti in Napoli e provincia, con ramificazioni nelle Marche, Emilia Romagna, Lombardia e Sicilia, dedite alla illecita produzione e commercializzazione di ingenti quantitativi di calzature, capi di abbigliamento ed accessori recanti noti marchi d’impresa contraffatti. Nelle operazioni, le Fiamme Gialle del capoluogo partenopeo hanno proceduto al sequestro di beni immobili, mobili registrati e polizze vita, per un valore complessivo stimato in circa 3.000.000 di euro; Marzo 2012, il GICO della Guardia di Finanza ha arrestato 23 persone in odore di ‘ndrangheta e sequestrato beni per 5 milioni di euro in Lombardia e Emilia Romagna; Gennaio 2012, i Carabinieri del Comando Provinciale di Chieti, coadiuvati dai colleghi di diverse regioni italiane, hanno eseguito 63 ordini di custodia cautelare, di cui 48 in carcere, nell’ambito di un’operazione antidroga. Gli arresti sono stati eseguiti in sei regioni italiane, ed in particolare, in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Lazio ed Emilia Romagna; Gennaio 2012, il portone d’ingresso di una casa vinicola a Nicotera, nel vibonese, è stato dato alle fiamme da ignoti . L’azienda, che ha sede in Emilia Romagna, è amministrata da un imprenditore che opera nel settore dell’imbottigliamento delle acque minerali, rimasto vittima di intimidazioni nei mesi scorsi. In particolare, ad ottobre, sono stati sparati 14 colpi di pistola contro il portone della sua abitazione e contro il garage e poi, in un’altra occasione, altri 29 colpi contro i magazzini della società. Per quegli attentati, i carabinieri hanno arrestato due giovani ritenuti vicini alla cosca “Mancuso” di Limbadi, con l’accusa di tentata estorsione e danneggiamento. Crediamo utile segnalare, infine, la presenza di soggetti campani dediti al gioco delle tre carte in alcuni autogrill della regione.

CRIMINALITA’ MAFIOSA CALABRESE In Regione è acclarata la presenza di numerosi affiliati o contigui alle ‘ndrine calabresi. L’Emilia Romagna non è stata esente da fatti di sangue legati a faide tra clan. Emblematico è il caso dei cutresi. In sintesi: a partire dagli anni ’50 una folta comunità di Cutro scelse di trasferirsi in provincia di Reggio Emilia per lavorare e realizzarsi onestamente. La città emiliana ha dedicato ai lavoratori emigranti il Viale Città di Cutro, un riconoscimento a coloro i quali hanno arricchito economicamente e culturalmente la provincia. A Reggio Emilia, negli anni ‘80, venne confinato il boss di Cutro, Antonio Dragone. Nella vicina Brescello era soggiornante il concittadino Nicolino Grande Aracri, capo dell’omonima ‘ndrina. I due furono amici ed alleati sino alla fine degli anni ’90, fino allo scoppio della faida, che durò diversi anni, con diversi omicidi, alcuni perpetrati in provincia di Reggio Emilia. Il culmine si tocco la sera del 12 dicembre 1998, allorché quattro killers lanciarono una bomba a mano in un bar del centro storico di Reggio Emilia, notoriamente frequentato da calabresi. Nel locale, dove erano presenti anche molti ragazzini, fu sfiorata la strage e ci furono 10 persone ferite. Un rilevante contributo, per far luce sull’intera vicenda, è stato dato dal pentito Angelo Salvatore Cortese, all’epoca, braccio destro di Grande Aracri e reo confesso di alcuni omicidi. Nella faida ebbe un ruolo primario anche il noto Paolo Bellini di Reggio Emilia, inteso come la “primula nera”, militante di gruppi di estrema destra. L’espansionismo della ‘ndrangheta mira anche al capoluogo, come dimostra l’arresto, avvenuto nel 2010 a Bologna, di Nicola Acri, considerato il capo della ‘ndrina di Rossano Calabro. Le organizzazioni criminali calabresi operano prevalentemente nel riciclaggio di danaro, nella spendita di danaro contraffatto, nelle estorsioni, nell’usura, nella detenzione e traffico di armi, e nel traffico e spaccio di sostanze stupefacenti provenienti dal Sud America, da Paesi europei e dall’Australia. Nel campo degli stupefacenti la ‘ndrangheta ha stipulato alleanze con gruppi criminali allogeni. Come detto, un altro dato oggettivo emerso, soprattutto dai vari interventi effettuati dai Gruppi Interforze istituiti presso le Prefetture, sono i numerosi tentativi di infiltrazione della criminalità calabrese nel settore degli appalti pubblici. Uno degli aspetti più allarmanti e che, in alcune circostanze, è stato appurato anche il coinvolgimento di imprenditori locali. L’attenzione che è stata posta sul fenomeno dai vari interventi eseguiti dai Gruppi Interforze delle Prefetture dell’Emilia Romagna, probabilmente, costringerà i gruppi criminali calabresi a trovare nuovi espedienti, per rendere ancora più difficile le investigazioni volte alla ricerca delle società in odore di mafia. Sarà ancora più spasmodica la ricerca di prestanome, magari stranieri e di etnie “tranquille”, per celare, in maniera più efficace, la penetrazione nell’economia legale. In regione è stata riscontrata la presenza e l’operatività di numerose cosche, di cui si parlerà più avanti nel capitolo “Analisi territoriale per provincia”. Possiamo concludere affermando che la criminalità calabrese è quella che ha subito la trasformazione più rilevante, riuscendo a penetrare nel territorio della Regione in maniera più efficace, trasferendo e inserendo nella società i cosiddetti “colletti bianchi”. Concludiamo questo capitolo con la citazione all’ex Procuratore Distrettuale di Reggio Calabria, Dr. Giuseppe Pignatone, pubblicata su Il Sole 24 ore, del 23.08.2011: “Possiamo arrestare migliaia di affiliati ma l’Italia non si libererà della ‘ndrangheta se non cambiamo la società e la politica, e non solo in Calabria” .

CRIMINALITA’ MAFIOSA SICILIANA La mafia siciliana, nonostante abbia utilizzato, da tempo, la strategia del “mimetismo”, conferma la sua pericolosità nell’ambito della gestione d’impresa, prediligendo le attività dell’edilizia e del commercio. Forti sono gli interessi della criminalità siciliana negli appalti pubblici, nel riciclaggio e nel campo del traffico di sostanze stupefacenti. Non sono molti i casi dove sono emersi interessi di “cosa nostra” nella regione, e questo dimostra l’efficacia del “camaleontismo” raggiunta dall’organizzazione criminale, ma quei pochi rilevati, dimostrano l’assoluta rilevanza che riveste la mafia siciliana. Emblematici sono i casi che si sono verificati nel corso dell’anno 2011. La DIA ha individuato un’impresa, operante nella provincia di Ferrara e con sede legale a Palermo, collegata ad esponente delle famiglie mafiose di Partinico e San Giuseppe Jato. Nei confronti della società è stato emesso un provvedimento interdittivo antimafia. Nel mese di gennaio 2011, il G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Palermo, nell’ambito dell’Operazione “Golem I”, ha eseguito diversi provvedimenti di sequestro di beni, dal Tribunale di Trapani, con il fine di disarticolare il reticolo di fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro. Tra i beni sequestrati figurano anche un conto corrente bancario, due libretti postali e un appartamento di proprietà di un soggetto residente a Piacenza. Nel mese di febbraio, la Squadra Mobile di Ragusa, nell’ambito dell’Operazione “Rewind”, ha arrestato 39 persone facenti parte di tre organizzazioni criminali, dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione , ha interessato anche l’Emilia Romagna, in particolare, le province di Parma e Reggio Emilia. Sempre nel mese di febbraio 2011, la Guardia di Finanza di Agrigento, ha proceduto al sequestro di beni mobili e immobili siti nelle province di Agrigento e Parma (fra cui sei imprese operanti nel campo della produzione del cemento, del movimento terra e del trasporto), appartenenti ad esponenti della famiglia Panepinto di Bivona (AG), ritenuti vicini a “cosa nostra”, condannati per associazione mafiosa e estorsione.

CRIMINALITA’ MAFIOSA CAMPANA Anche in questo caso, la presenza di persone affiliate o contigue alla criminalità organizzata campana è riconducibile, soprattutto, alla misura del soggiorno obbligato. I clan camorristici presenti in Regione si sono messi in evidenza in attività di traffico e smaltimento illecito di rifiuti, di estorsione e usura, di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, di riciclaggio di danaro di provenienza illecita, di assistenza e favoreggiamento alla latitanza di soggetti colpiti da provvedimenti restrittivi, di gestione delle scommesse e delle bische clandestine, di penetrazione nell’economia legale attraverso l’alienazione e/o costituzione di attività imprenditoriali edili o di costruzioni generali, con l’obiettivo di acquisire appalti pubblici. Un ruolo assai rilevante lo svolge il clan dei “casalesi”, in particolare, sotto il profilo di “imprenditoria criminale”. Il gruppo è dotato di importanti capacità tecnico-imprenditoriali, che lo facilita nelle aggiudicazioni degli appalti e nelle acquisizioni delle concessioni, non solo nell’area casertana, ma anche in territori extraregionali non storicamente condizionati dall’endemica presenza della criminalità camorristica, quali, appunto, quello dell’Emilia Romagna. La malavita campana è presente in molte zone della Regione ed elementi legati a Francesco Schiavone, alias ‘Sandokan’, il capo supremo dei “casalesi”, sono presenti a Bologna. Sintomatico della capacità pervasiva della criminalità organizzata campana sono le operazioni di seguito citate. Con l’operazione “Golden Goal 2”, i Carabinieri di Torre Annunziata (NA) hanno stroncato un giro di affari di milioni di euro nel settore delle scommesse sportive gestito dal clan “D’Alessandro – Di Martino”. Il raggio d’azione dell’organizzazione criminale aveva ramificazioni anche fuori dalla Campania, grazie allo stabile coinvolgimento di due soggetti operanti in una società concessionaria dello Stato per la raccolta e la gestione di scommesse. Inoltre è emerso il tentativo di espandere gli affari anche in Emilia Romagna tramite la gestione occulta di agenzie di scommesse. Uno di questi centri scommesse era stato aperto a Rimini.

CRIMINALITA’ MAFIOSA PUGLIESE La “sacra corona unita” e le organizzazioni criminali pugliesi non svolgono un ruolo di primissimo piano in Emilia Romagna. La loro presenza è legata, soprattutto, in modo indiretto, ad azioni criminali svolte in collaborazione con soggetti stranieri, più che altro, albanesi o dell’Est europeo. L’attività principale delle cosche pugliesi è il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Si è instaurata un’egemonia in alcune località turistiche emiliano-romagnole, soprattutto nella zona di Rimini. E’ stata riscontrata, altresì, sempre nel campo degli stupefacenti, la presenza della famiglia “Zonno” nella provincia di Modena. La presenza e gli interessi in Regione della SCU si rileva anche dall’indagine del settembre 2011, nel corso della quale i Carabinieri e le forze speciali della Polizia albanese, hanno catturato nove boss della “sacra corona unita” . Gli arresti sono scaturiti da un’indagine condotta dal Ros, iniziata nel 2007, sul clan Vitale di Mesagne (Brindisi), facente capo ad Antonio Vitale, ritenuto esponente di vertice della SCU brindisina e diretta emanazione del capo storico Pino Rogoli. Tutti gli arrestati, fra i quali Albino Prudentino – che il 1 ottobre avrebbe dovuto inaugurare un casinò a Valona – sono accusati di aver ricostituito la struttura di vertice della SCU fondata da Giuseppe Rogoli. Il gruppo aveva assunto un ruolo centrale nel traffico di cocaina, avvalendosi per gli approvvigionamenti di due autonomi canali in Piemonte e Calabria. La droga veniva poi distribuita con un’articolata rete di spaccio in Puglia ed Emilia Romagna. CRIMINALITA’ ORGANIZZATA STRANIERA La criminalità straniera è in continua evoluzione e il suo radicamento nel tessuto sociale, economico e imprenditoriale dell’Emilia Romagna, è sempre più efficace e penetrante. Quasi sempre i capitali accumulati sono reinvestiti nei Paesi di provenienza, utilizzando il sistema del “money transfer”. L’aspetto che deve essere messo in evidenza è la capacità di operare in sinergia con soggetti provenienti da diverse etnie, ed anche con sodalizi criminali italiani, con il fine di ottimizzare i profitti illeciti. Questi veri e propri “patti” sono stati attuati, in prevalenza, per le attività criminali più articolate, quali il narcotraffico, la tratta di esseri umani, il favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, ed il riciclaggio di danaro di provenienza illecita. Rilevante il numero di reati associativi (50) commessi da organizzazioni straniere nel secondo semestre 2011. Non va assolutamente sottovalutato, altresì, l’impatto sui cittadini dell’aumento dei reati cosiddetti predatori, di cui, in molti casi, gli autori sono soggetti provenienti da paesi sia comunitari sia extracomunitari. Criminalità albanese La criminalità di origine albanese è presente in Emilia Romagna da diversi anni ed in maniera piuttosto ramificata. Le statistiche riportate nella relazione semestrale della DIA indicano percentuali, su scala nazionale, pari al 7,4% di cittadini albanesi segnalati per reati associativi nella Regione. I sodalizi criminali albanesi si contraddistinti nell’essere specializzati in ogni gamma di attività criminale, ed hanno palesato la tendenza a trasformarsi in autentiche associazioni di tipo mafioso. Anche i gruppi criminali albanesi si sono evidenziati per aver stipulato alleanze con organizzazioni italiane e straniere, soprattutto, nelle attività del narcotraffico e di tutti i reati ad esso collegato, del favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani. Numerosi sono anche i reati contro il patrimonio e la persona commessi da cittadini albanesi. Criminalità nordafricana L’incidenza dei reati associativi commessi da cittadini nordafricani in Emilia Romagna è pari al circa 2% su scala nazionale (relazione della DIA, relativa al secondo semestre 2011). Sono diversi anni che gente proveniente dal Nord Africa si è insediata in vaste zone del territorio dell’Emilia Romagna. La criminalità nordafricana opera soprattutto nei settori del traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti, del favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, furto e riciclaggio di autovetture a livello internazionale. Per quanto riguarda il narcotraffico, i sodalizi criminali sono organizzati in modo da mantenere costante il rapporto con connazionali residenti nei Paesi europei, al fine di favorire il transito delle sostanze stupefacenti provenienti dall’Africa, Anche nel caso della criminalità organizzata nordafricana sono stati riscontrati casi i collaborazione nelle attività illecite con gruppi appartenenti ad altre etnie, ed anche con quelli italiani. Non sono mancati conflitti, scaturiti anche con azioni violente, tra soggetti provenienti dalla stessa etnia, per il controllo del mercato dello spaccio di sostanze stupefacenti. Anche per i nordafricani vale quanto detto per gli albanesi riguardo i “reati predatori”. Criminalità nigeriana Le statistiche riportate nella relazione semestrale della DIA indicano percentuali, su scala nazionale, pari al 2,8% di cittadini nigeriani segnalati per reati associativi nella Regione. La criminalità organizzata nigeriana è specializzata soprattutto nel traffico e dello spaccio di sostanze stupefacenti, nel favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nella tratta degli esseri umani. I nigeriani sono attivi anche nei settori dell’abusivismo commerciale ambulante e della vendita di merce contraffatta. Dalle indagini delle Forze di Polizia emerge, anche in questo caso, una sorta di collaborazione negli “affari sporchi”, con gruppi di altre nazionalità, compresa quella italiana. Criminalità cinese Negli ultimi anni sono aumentate le presenza nell’Emilia Romagna. La criminalità organizzata cinese, rispetto ad altre realtà, non è radicata in tutta la Regione. Opera, soprattutto, nel mercato della contraffazione, nel traffico di sostanze stupefacenti, nel favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, sfruttamento di manodopera clandestina, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, nell’evasione fiscale, nella gestione di bische clandestine, frequentate quasi esclusivamente da giocatori cinesi. Il numero delle imprese con titolari cinesi è lievitato negli ultimi tempi. Queste aziende vanno a sostituire soprattutto quelle gestite da italiani. Nella maggior parte dei casi si tratta di piccole imprese artigiane che operano nell’indotto del tessile. Queste società, per mantenere basso il loro costo di produzione, si avvalgono di manodopera a nero, composta da connazionali immigrati clandestinamente. Inoltre, queste aziende, molto spesso, si dedicano alla produzione di merce contraffatta o comunque non conforme alle normative europee, la cui realizzazione non avviene esclusivamente in Italia, ma viene anche importata dalla Cina e poi messa in commercio nella miriade di negozi gestiti da cittadini cinesi. Va ricordato, altresì, che la maggioranza delle attività commerciali cinesi, sono condotte violando sistematicamente le normative tributarie, previdenziali e quelle sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. I prodotti con marchi contraffatti sono immessi nel mercato della regione, in particolar modo, nei centri più importanti e, nel periodo estivo, sul litorale adriatico, mediante l’utilizzo anche di venditori di altre etnie (senegalesi, nordafricani, bangladesi, pakistani, indiani e nigeriani). Tutto ciò favorisce, inevitabilmente, l’interesse dei gruppi criminali cinesi, i quali operano anche in maniera cruenta tra loro, con lo scopo di accaparrarsi il controllo del territorio. Va anche detto che stanno aumentando le rapine, commesse da gruppi di giovani cinesi, ai danni di imprenditori connazionali. Criminalità centroamericana/sudamericana L’Emilia Romagna è al quarto posto dopo Lombardia, Calabria e Liguria per la presenza di cittadini centroamericani/sudamericani segnalati per reati associativi nella Regione, con un 10,4% su scala nazionale. La Regione, da anni , è divenuta una meta di molti immigrati provenienti da paesi dell’America Latina. Accanto all’interesse per il mercato criminale degli stupefacenti, è rilevante anche il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’attività operativa di un gruppo di brasiliani è stata messa in luce dall’inchiesta denominata “Babado”, condotta, nel mese di ottobre 2011, dalla Polizia di Stato di Reggio Emilia e dall’Ufficio di Polizia di Frontiera Aerea dell’Aeroporto di Forlì. Nel corso dell’operazione è stata arrestata una cittadina brasiliana, ritenuta responsabile di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La donna faceva giungere giovani ragazze dal Brasile attraverso la frontiera aerea di Forlì, da dove, mediante falsi visti d’ingresso, le distribuiva nei vari locali notturni della Regione. In questi ultimi anni si sta assistendo ad una vera e propria evoluzione dei comportamenti di questi migranti. Se prima non erano soliti farsi notare per attività di carattere illegale, ora si assiste ad un mutamento che vede, sempre più persone, originarie di quei Paesi, coinvolte in reati che possono andare da quelli meramente predatori sino ad arrivare a quelli a carattere associativo. La criminalità organizzata centroamericana/sudamericana collabora fattivamente anche con altri sodalizi stranieri e italiani, soprattutto, nella gestione del narcotraffico proveniente dall’America Latina. In merito, nel mese di marzo 2011, con l’operazione “Los Ceibos”, la Squadra Mobile di Bologna e i Carabinieri di Milano, arrestarono 4 persone, di origine sudamericana (ecuadoriani, colombiani e peruviani), altre 4 non furono rintracciate, per traffico di sostanze stupefacenti. L’organizzazione, oltre a rifornire di sostanze stupefacenti anche alcuni gruppi criminali autoctoni (tra queste la famiglia Barbaro di Platì), operava in Italia e in Europa. L’area territoriale maggiormente interessata dal traffico di stupefacenti posto in essere da sodalizi sudamericani corrisponde alle regioni Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna, come emerso dall’operazione denominata “Shut up”, conclusasi a Milano con l’esecuzione, da parte della Guardia di Finanza, di un provvedimento cautelare nei confronti di 41 soggetti, tra cui italiani e colombiani, ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti tra Colombia e Italia, falsificazione di documenti, corruzione, riciclaggio, ricettazione, trasferimento fraudolento di valori, truffa, detenzione di armi e munizioni. Criminalità rumena In Emilia Romagna sono stati segnalati l’1,8% cittadini romeni reati associativi su scala nazionale. La loro presenza si è rafforzata, inevitabilmente, con l’entrata del Paese nell’Unione Europea. Le organizzazioni criminali rumene sono molto attive nel narcotraffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti, nel favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani. I gruppi criminali specializzati nel favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, costringono giovani donne provenienti dai paesi dell’est europeo – che giungono in Italia con la promessa di una vita migliore – a prostituirsi, subendo violenze e minacce, spesso rivolte anche ai propri familiari. Per quanto riguarda la tratta degli esseri umani, questi gruppi sono molto attivi nel business dei mendicanti disabili. Nei centri cittadini, infatti, spesso si notano persone che, esibendo le loro gravissime menomazioni, chiedono l’elemosina. Sono costretti a stare sui marciapiedi dalla mattina alla sera, in estate e inverno. Poiché, la maggior parte di questi, non riescono neanche a muoversi, nei loro pressi, solitamente, stazionano anche i loro “guardiani”. E’ un evidente caso di sfruttamento. Non c’è dubbio che dietro tutto questo possa esserci un racket gestito da un’organizzazione criminale, un sistema questo che però, purtroppo, passa inosservato. Le organizzazioni che sfruttano gli handicappati li precettano nei paesi d’origine per portarli in Italia dove versano il 50% a chi li inserisce nei punti strategici delle città. I sodalizi rumeni sono specializzati anche nello sfruttamento dei minori che, spesso sono prelevati direttamente dagli orfanotrofi rumeni e messi a “lavorare” nel cosiddetto “affare dei furti nei supermercati”. La merce rubata, su commissione, viene mandata in Romania o rivenduta a commercianti conniventi. Gruppi più ristretti si dedicano alla commissione di reati predatori, in particolare, rapine in ville isolate, facendo molto spesso uso della violenza, furti, sia in appartamenti sia in esercizi pubblici. Si sono specializzati, anche, nelle truffe telematiche, mediante la clonazione di carte bancomat e di credito e nel furto di metalli di valore. Criminalità bulgara Negli ultimi anni si assistendo ad un rafforzamento della presenza della comunità Bulgara nel territorio della Regione. Con l’aumento delle presenze, inevitabilmente, sono apparse le prime avvisaglie di fenomenologie di reati riconducibili a soggetti bulgari. Si sono, soprattutto, evidenziati perché inseriti in organizzazioni criminali multietniche, dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, al favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani. Come i soggetti di origine rumena, anche i bulgari costituiscono gruppi in qualche caso anche con soggetti provenienti da altri paesi dell’est europeo, composti da un numero esiguo di persone, specializzati in rapine in villa, in furti in appartamenti e in esercizi pubblici, nella clonazione di carte bancomat e di credito e nel furto di metalli di valore. Criminalità ex URSS La presenza di persone provenienti dall’ex URSS è abbastanza consolidata, da anni, sul litorale adriatico. In Emilia Romagna si sono messi in evidenza, soprattutto, soggetti di origini moldave, costituiti in piccoli gruppi, molto attivi nei reati a carattere predatorio e nelle estorsioni ai danni di alcuni loro connazionali. Pur non essendo stata accertata la presenza di organizzazioni criminali vere e proprie, non si può escludere che queste abbiano fatto investimenti nella regione, soprattutto, considerata anche la favorevole vicinanza della Repubblica di San Marino . Altri fenomeni criminali stranieri In Regione sono venuti alla ribalta fatti commessi da persone appartenenti ad altre etnie. Tra queste , occorre fare un inciso sulle seguenti. La comunità senegalese è, soprattutto, attiva nella vendita della merce contraffatta che avviene, in prevalenza, nei centri urbani che attirano il turismo per quasi tutto il periodo dell’anno, in particolar modo a Bologna, e nei periodi estivi sul litorale adriatico. Non sono stati riscontrati gruppi composti da soggetti provenienti dal Senegal, però, non si può escludere , così come è avvenuto in Liguria, che giovani senegalesi, meno propensi alle fatiche dell’attività dell’ambulantato, possano entrar a far parte di organizzazioni criminali, svolgendo, incarichi di controllo del territorio nel campo dello sfruttamento della prostituzione , di corrieri nel narcotraffico e per la vendita al dettaglio di sostanze stupefacenti. I filippini sono molto attivi in Emilia-Romagna. Lo “shaboo”, la droga devastante che proviene dalle Filippine, è introdotto in Italia, solitamente, dallo Stato del sud-est asiatico attraverso l’Austria. In tali attività delittuose i filippini hanno collaborato con cittadini italiani. La capacità di gestire settori illeciti diversificati conferma l’evoluzione dei sodalizi filippini, con crescente, anche se non ancora allarmante, interazione criminale con il Paese ospitante. INFILTRAZIONI MAFIOSE NEGLI APPALTI PUBBLICI Le organizzazioni mafiose, come oramai le cronache quotidiane ci raccontano, hanno esteso i loro tentacoli su tutto il territorio nazionale e oltre. In Emilia Romagna, purtroppo, sono suonati i campanelli di allarme. Anche le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia confermano il forte interesse e la presenza della criminalità organizzata nella Regione. Le mafie diventano una minaccia per la libera economia quando riescono a trasformare i loro guadagni criminali in soldi puliti. Il problema che si pone oggi è riuscire a contrastare le preoccupanti acquisizioni immobiliari e di esercizi pubblici, nonché le frequenti sofisticazioni delle gare d’appalto a causa delle organizzazioni criminali che tendono a propagarsi nell’economia legale. Le infiltrazioni mafiose presenti negli appalti pubblici, ormai, sono un dato di fatto. La presenza di numerose stazioni appaltanti, la parcellizzazione dei contratti e il ricorso eccessivo al subappalto, rende difficile, e qualche volta quasi impossibile, un controllo efficace anche da parte delle stesse Forze dell’Ordine. Vi è poi il problema del “massimo ribasso”. Cosa produce: un’alta percentuale degli appalti sono vinti da imprese che provengono dal sud Italia. Naturalmente, queste società non sono tutte infiltrate dalla criminalità organizzata. Occorre tener presente però che l’ “impresa mafia spa” riesce ad accaparrarsi molti degli appalti proprio con il sistema del massimo ribasso, presentando offerte inavvicinabili per le altre imprese. La “mafia spa”, oltretutto, crea un sistema welfare (assunzione di lavoratori provenienti dalle terre di origine), un consenso nelle regioni di provenienza e un controllo del territorio nelle altre. Molti amministratori sono convinti che con questo sistema si facciano risparmiare i cittadini, dimenticandosi però altre questioni importanti. Oltre a sottolineare che così facendo si rafforzano le associazioni mafiose, si devono tener presente queste tre cose: gli imprenditori onesti non potranno mai fare ribassi eccessivi, quindi, molti di questi saranno costretti a chiudere; nei cantieri dove lavorano le “imprese infiltrate” non sono mai rispettate le norme della sicurezza nei luoghi di lavoro; nella maggior parte dei casi sono utilizzati materiali scadenti e quindi le costruzioni sono a rischio crollo. Non c’è dubbio, quindi, che il sistema degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, necessità di essere riformato, verso la maggiore trasparenza nelle procedure, oltre che verso il potenziamento ed efficacia dei controlli e delle verifiche. In mancanza di ciò è necessario e importante che ognuno di noi si impegni per rendere più facile il lavoro di coloro che, quotidianamente, cercano di contrastare tali infiltrazioni. Un nuovo impulso al sistema di monitoraggio lo hanno dato le innovazioni dei cosiddetti “pacchetti sicurezza” e gli indirizzi emanati a tutte le Prefetture dall’ex Ministro dell’Interno, Roberto Maroni. La possibilità di estendere i controlli a tutti gli appalti pubblici (l’opera di monitoraggio della DIA e gli accessi ai cantieri proposti ai Gruppi Interforze e disposti dai Prefetti potevano essere fatti per le grandi opere), alle cave e torbiere, l’imput di creare una Banca Dati dove inserire tutte le società colpite da provvedimenti interdittivi antimafia, la tracciabilità dei flussi finanziari, sono un piccolo passo avanti per contrastare le infiltrazioni in questo settore. L’aspetto positivo che ha contraddistinto l’Emilia Romagna rispetto alle altre Regioni è l’acquisita consapevolezza della gravità del fenomeno. La sottoscrizione dei protocolli d’intesa per la prevenzione dei tentativi d’infiltrazione della criminalità organizzata e per una maggiore legalità nel settore degli appalti e concessioni di lavori pubblici, avvenuta nelle città emiliane e romagnole è la dimostrazione pratica della voglia di combattere e affrontare , con tutti gli strumenti previsti dalla normative vigenti, questa grave questione. Assolutamente rilevante è anche la costituzione della stazione unica appaltante costituita in provincia di Bologna. Numerose sono ad esempio le interdittive antimafia adottate dal Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro, nei confronti di imprese per la sussistenza del pericolo del condizionamento e dell’infiltrazione mafiosa. Emblematico e di assoluta rilevanza è il provvedimento emesso dopo l’accesso ispettivo ai cantieri ove erano in corso i lavori di realizzazione del 3° stralcio della tangenziale di Novellara (RE). Nell’occasione furono adottate tre informative interdittive antimafia tipiche nei confronti di altrettante società impegnate nella realizzazione dell’opera. L’attività di monitoraggio di imprese affidatarie di lavori pubblici in Reggio Emilia era stata originata dalla Centro Operativo DIA di Firenze, nell’ambito dell’attività. Gli accertamenti permisero di verificare che una società con sede a Boretto e guidata dai componenti di una famiglia del luogo, era stata vittima di reato nell’ambito dell’indagine denominata “Caronte”, svolta dalla Compagnia Carabinieri di Cefalù (PA). La società era stata costretta, mediante l’intimidazione da parte di “cosa nostra”, a concedere i lavori di trasporto materiali e movimento terra per la gestione e la spartizione dei lavori edili a Parma a imprese imposte dall’organizzazione criminale, così come prevedeva, tra l’altro, un accordo stipulato tra le cosche siciliane e quelle calabresi. Altro elemento significativo emerso era la presenza in cantiere di un cutrese residente a Reggio Emilia, agli arresti domiciliari per il reato di usura, dipendente di una società calabrese con sede a Roccabianca (PR), società che aveva acquisito dall’impresa emiliana dei lavori in subappalto. La suddetta società così come un consorzio con sede a Soragna (PR), altra ditta in subappalto, sono società della famiglia Mattace di Cutro (KR), famiglia nella quale alcuni membri, secondo gli investigatori, sarebbero affiliati di rilievo alla cosca Grande Aracri. Oltretutto, dall’inchiesta è emerso che taluni membri della famiglia emiliana avevano frequentato anche elementi di spicco della criminalità organizzata. Una volta acquisiti tutti i riscontri oggettivi, il Prefetto di Reggio ha emesso l’informazione prevista dall’art 10 del DPR 252/1998, avendo riscontrato oggettivi elementi per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’attività della impresa emiliana. Lo stesso provvedimento è stato preso dal Prefetto di Parma nei confronti delle suddette ditte, entrambi con sede legale in quella provincia. Un aspetto della vicenda che deve necessariamente essere tenuto in considerazione è la collaborazione consolidata tra elementi collegati alla criminalità calabrese e siciliana con imprenditori del luogo, che a vittime si sono trasformate in soci in affari. L’opera di prevenzione contro le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici sul territorio della Regione, provocherà, inevitabilmente, l’attivazione di nuovi espedienti da parte di questi sodalizi come, ad esempio, il probabile utilizzo di “prestanome” stranieri provenienti da Paesi considerati non a rischio criminalità, la migrazione delle ditte in altre regioni, lo spostamento degli interessi dal pubblico al privato. RAPPORTI TRA LE VARIE MAFIE L’Emilia Romagna essendo una terra che non ha dato origine a forme mafiose è un luogo in cui vivono insieme varie forme di criminalità mafiosa ed organizzata. In linea di massima, analizzando anche i fatti criminosi che si sono verificati nelle varie province, le associazioni di tipo mafioso si sono suddivise il territorio della regione. La raggiunta pax mafiosa tra i diversi gruppi criminali, diretta a un’equa spartizione del territorio e degli affari, è stata sottolineata, durante l’apertura del corrente anno giudiziario, dal Procuratore Generale di Bologna, Emilio Ledonne. La regola principale di convivenza, quindi, è quella del non disturbarsi a vicenda ed, anzi, in alcuni casi, di fare affari insieme. RAPPORTI TRA MAFIE E MONDO DELLA POLITICA Nella Regione tendenzialmente non sono state rilevate ingerenze consistenti da parte delle associazioni mafiose nei confronti della classe politica locale. Occorre, però, tener presente che il modus operandi delle mafie, soprattutto, ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra, prevede “statutariamente” lo stretto legame con la classe politica, ad ogni livello. Merita di essere seguito con attenzione quanto avvenuto nel comune di Serramazzoni in provincia di Modena. Un aspetto particolare è quello che contraddistingue la provincia di Reggio Emilia. In questo territorio, come detto, sin dagli anni ’80, si è insediata una cospicua comunità cutrese e sono così numerosi i candidati a sindaco di Cutro vengono in Emilia per curare la loro campagna elettorale. Il compito primario dei partiti dell’Emilia Romagna è quello di vigilare attentamente, per evitare ogni possibile ingerenza. ANALISI TERRITORIALE PER PROVINCIA PROVINCIA DI BOLOGNA Non è affatto consolante la posizione in classifica ottenuta dalla classifica stilata da Il Sole 24 Ore, in collaborazione con l’Associazione nazionale funzionari di Polizia. Il capoluogo emiliano, infatti è terza in Italia per i reati denunciati nel primo semestre 2010, superata solo da Milano e Torino. Dalla stessa analisi si rileva che la provincia di Bologna, appare tra le più penalizzate, dietro Napoli, per i reati che colpiscono le imprese, come l’usura, il riciclaggio, la contraffazione, i furti di veicoli con merce, le truffe e le frodi informatiche, le estorsioni, i danneggiamenti seguiti da incendi. La provincia di Bologna guadagna invece il primo posto assoluto per quanto riguarda i furti in esercizi commerciali . Lo studio conferma come la criminalità colpisca più duramente nelle aree densamente popolate o con un’alta concentrazione di attività economiche e infrastrutture. Altra classifica affatto lusinghiera è quella sulla infiltrazione mafiosa al nord, stilata dal procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso: 1) Milano.2) Roma.3) Bologna.4) Torino.5) Genova e Firenze.Anche in questo caso, il capoluogo emiliano è sul terzo gradino del podio. Queste performance negative vengono confermate anche dai dati forniti dalla Prefettura di Bologna e dalle Forze di Polizia. Si parla di impennata dei furti in casa, delle rapine nei supermercati, dei scippi e dei reati predatori in generale, con un sensibile, ma preoccupante, aumento delle estorsioni (39 contro 37 del 2010). La presenza delle organizzazioni mafiose nella provincia di Bologna è rilevante. E’ assolutamente importante la presenza dei “casalesi” , che mantengono l’egemonia del territorio, con elementi legati direttamente a Francesco Schiavone, alias ‘Sandokan’. Sono presenti anche elementi della camorra affiliati al clan Puca di Sant’Antimo, comune dell’area a nord di Napoli.. Anche la ‘ndrangheta ha messo le mani nel capoluogo. E’ stata rilevata la presenza della cosca Grande Aracri di Cutro e anche elementi riconducibili alle ‘ndrine dei Strangio e Nirta di San Luca (RC), dei Morfò – Acri di Rossano Calabro, dei Barbaro di Platì, dei Bellocco di Rosarno, dei Gallo di Gioia Tauro (RC), dei Mancuso di Limbadi (VV), dei Muto, dei Chirillo, dei Vrenna -Ciampà- Bonaventura, e dei Farao Marincola di Cirò (KR), dei Crea di Rizziconi. Sono state riscontrate presenze di elementi della sacra corona unita e della famiglia mafiosa palermitane di San Lorenzo. Nel territorio bolognese, oltretutto, nel periodo tra il 2010 e il 2011 sono stati rintracciati e arrestati tre latitanti: Nicola Acri (‘ndrangheta di Rossano), Giorgio Perfetto (narcotrafficante campano) e Carmine Balzano (affiliato alla camorra). Nel capoluogo persistono situazioni di degrado e criticità in alcune aree della città, situazioni che le Forze di Polizia hanno cercato di tamponare con presidi fissi e mobili nelle zone universitaria e della stazione, nel quartiere Navile Le inchieste degli ultimi anni hanno evidenziato la stabile attività di controllo esercitata da criminali nordafricani sulle aree nelle quali si svolge lo spaccio delle sostanze stupefacenti. In molti casi il dominio sul territorio avviene con atti e metodi intimidatori e violenti. Un altro fenomeno da non è da sottovalutare è la presenza in città delle “baby gang”, anche multietniche, che compiono, sempre più spesso, atti i bullismo, rapine, danneggiamenti. Tra queste si segnala “Bolognina warriors”, la baby gang alla quale gli investigatori della Squadra Mobile di Bologna attribuiscono almeno dieci episodi di violenza gratuita contro anziani, donne, disabili e coetanei. Teppisti senza scrupoli che per le loro azioni scelgono sempre persone apparentemente deboli e indifese. In questo ambito è utile segnalare quanto scritto dal giudice nella motivazione dei provvedimenti emessi a carico di due ragazze della “banda”. Il magistrato mette in evidenza, infatti, la “propensione a delinquere” e ” pericolosità sociale”, dei giovani, precisando che se la permanenza in comunità non dovesse essere sufficiente, per loro si aprirebbero le porte dell’istituto minorile. Di seguito sono elencati alcuni episodi di maggior rilievo: Settembre 2010, operazione “Hermes”, la Squadra Mobile di Trieste ha arrestato 28 persone per associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti. L’attività investigativa, avviata a seguito dell’arresto di un corriere lituano trovato in possesso di 2 kg di eroina diretto a Napoli, ha colpito un’organizzazione criminale

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