Il dono delle multinazionali

Il dono delle multinazionali

IL DONO DELLE MULTINAZIONALI

In tempi di riflessione da pandemia, è utile ripercorrere il passato e intravedere soluzioni per il futuro. Ripensare all’economia vuol dire recuperare l’etimologia della parola.  Economia deriva dal greco oikos “casa” e da nòmos, “legge”. La parola ecologia, invece, da oikos, “casa” e logos, “discorso”. 

La casa è il pianeta che ci ospita e compito dell’economia dovrebbe essere quello di gestirlo al meglio, in dialogo con l’ecologia, perché possa essere sano, aperto a tutti, rifugio e non inferno. L’epidemia ha dimostrato che l’inquinamento ambientale, gli allevamenti intensivi, il traffico di animali, possono mettere a rischio l’incolumità del genere umano. I materiali creati dall’uomo ospitano i virus, la plastica fino a 72 ore, un tempo maggiore rispetto ad altri materiali (e beffa della sorte, saremo inondati da milioni di guanti e mascherine usa e getta!). Come dice, Naomi Klein, autrice di No Logo, un ‘new deal verde’ è fondamentale in questa fase. Ma dobbiamo crederci, insistere e chiederlo ai nostri Governi!

Per riconvertire un’economia, occorre, in primo luogo, creare le condizioni per una politica partecipata, coinvolgere cittadini, esperti, ricercatori, che possano accompagnare, legislativamente, il Governo nella strategia per la sostenibilità. Punto di partenza sono i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 da 193 Paesi membri dell’ONU.  Cosa dicono questi obiettivi? In sintesi che l’economia, l’ecologia, la politica, il sociale sono ambiti interconnessi, che il fine deve essere unico, quello di una società equa, che pratichi la lotta alla povertà, alla fame, alle disuguaglianze, che attui i principi democratici e che curi il proprio ambiente.  La proposta di garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, non può prescindere dal conservare in modo durevole gli oceani e i mari, come non può prescindere dall’obiettivo di pace e giustizia e neppure da quello di lotta alla fame e alla povertà.

Le azioni ecologiche (senza dimenticare le imprescindibili azioni sociali) possono essere sia azioni di tutela dell’ambiente: riduzione dei combustibili fossili, riforma del sistema fiscale con inclusione della tassa sulla CO2, obbligo della mobilità elettrica, riduzione dell’uso della plastica, raccolta e utilizzo della raccolta differenziata, miglioramento della rete idrica per limitarne le dispersioni, stop alla cementificazione e al consumo di suolo, tutela della flora e fauna, sia azioni di riconversione verso un’economia green, strettamente connesse alle prime perché la riduzione dei combustibili fossili richiede l’investimento in energie alternative, il fermo al consumo edilizio di suolo necessita di investimenti nell’agricoltura. D’altro canto, i settori “verdi” offrono significative opportunità di investimento, crescita e occupazione per l’intero sistema produttivo.

Un altro spunto è l’utilizzo del dono come pratica economica e relazionale. Nell’economia classica i beni e servizi hanno un valore d’uso (per i bisogni che riescono a soddisfare) e un valore di scambio (quantità di denaro o di altri beni che si possono ottenere). Esiste, però, un terzo tipo di valore: il valore legame, ovvero la possibilità di creare relazioni attraverso l’elargizione di beni e servizi. Secondo il MAUSS, Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali, il dono può rappresentare un’efficace prassi in un mondo sostenibile. Non si tratta di ritornare all’economia del baratto, ma di costruire forme parallele di scambio, come le donne sanno fare, che prescindano dal mercato e siano opportunità di incontro e relazione.

In questa pandemia, una cosa certa è stata la proliferazione online di servizi gratuiti: dalle lezioni su qualsiasi argomento, ai webinar, ai concerti, libri, film. La sharing economy si è manifestata non solo in internet; i condòmini si sono organizzati per offrire la spesa di generi alimentari alle persone in difficoltà; i gruppi di volontari si muovono per la consegna a domicilio alle persone anziane, cittadini si adoperano per una conoscenza critica e collettiva.

Se la solidarietà potesse guidarci oltre la crisi e illuminare la nuova economia, anche le imprese dovrebbero fare la loro parte. Soprattutto quelle che nell’emergenza sanitaria hanno aumentato in modo esponenziale i guadagni; penso, come segnalato da Ugo Mattei in un articolo Covid: male comune con benefici privati, alle multinazionali quali Amazon, alle imprese televisive, dell’e-commerce, dei servizi di teleconferenza come Zoom, alle aziende farmaceutiche, quelle di detersivi, che hanno fatto affari d’oro in questo periodo di igiene e isolamento forzato. Le grandi imprese potrebbero fare un atto di solidarietà versando una buona parte delle rendite (perché non si può parlare di profitti vista l’eccezionalità del momento) agli Stati.  Se tutti contribuissero con un loro dono alla ripartenza, dagli Stati, ai cittadini, al “grosso capitale privato”, sarebbe un degno inizio per un nuovo futuro.

 

Karen Venturini

Docente di Economia – Università di San Marino

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