IlSole24Ore, La politica qualche idea dai professionisti .

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Imprese e legalità

La politica qualche idea dai professionisti

Lionello Mancini

Ci sono differenze che si colgono a occhio nudo, come quelle che dividono il mondo dell’economia e delle professioni da quello della politica. Dal primo mondo provengono esempi, magari piccoli o locali, ma di valenza tale che sarebbe bello vederli accolti, adattati e riprodotti nel secondo. Eccone uno. I professionisti che lavorano nelle province immediatamente a ridosso della “irriducibile” Repubblica di San Marino faticano non poco a tenere insieme ricavi, deontologia e soddisfazione della clientela, vista l’antica attrazione esercitata dal paradiso fiscale, così a portata di mano, su tutte le categorie economiche locali. Dopo anni di divisioni profonde, di sorde tenzoni interne agli ordini, di silenziosi colpi bassi inferti a quanti (pochi, per il vero) osavano criticare pratiche elusive, stridenti conflitti d’interesse, interessati intrecci tra controllori e controllati, la piccola Associazione dottori commercialisti di Rimini ha rotto gli indugi e ha preso l’iniziativa. Un mese fa, il 26 marzo, l’Adc ha stilato e depositato in Tribunale un inedito “Statuto del curatore fallimentare” che, in soli tre articoli, fissa alcune “regole deontologiche integrative” che i 22 firmatari si impegnano a rispettare qualora vengano incaricati di gestire fallimenti o procedure concorsuali. I professionisti si impegnano, tra l’altro, «a presentare una dichiarazione sulle situazioni di propri clienti in conflitto d’interesse con l’imprenditore dichiarato fallito o in concordato preventivo» e, se tale conflitto emergesse, «il commercialista non accetterà o rinuncerà all’incarico» del Tribunale. Semplice, no? Si tratterà ora di contare quanti, tra gli oltre 750 commercialisti della provincia, si aggiungeranno ai 22 promotori (il 3% del totale).
Cambiamo mondo. Sabato è entrato in vigore il decreto legislativo di attuazione della legge anticorruzione (190/12). Il Decreto, all’articolo 14, impone di rendere pubblici curriculum, compensi, spese, eventuali incarichi paralleli, stato patrimoniale e dichiarazioni dei redditi ai «titolati di incarichi politici elettivi e non, di livello statale, regionale e locale, nonché al coniuge e ai parenti entro il secondo grado (se questi ultimi lo consentono)». Una buona premessa per rendere leggibili i comportamenti degli eletti (e dei loro nominati). Certo, sarebbe bene che i parenti dessero il loro benestare e non sfugge che all’autocertificazione, che non ammette verifica, sfuggono parecchie cosette come i conti correnti, i titoli diversi dalle azioni, le quote societarie. Comunque, meglio di niente, a voler essere positivi, come suggerisce la fiduciosa formula anglosassone che sottoscriveranno gli interessati: «Sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero». Dato che l’operazione-trasparenza riguarderà 150mila tra politici, assessori, consiglieri e presidenti vari, si apriranno nuove possibilità di controllo dei nostri eletti (e dei loro nominati), da parte dei cittadini. Se solo il 3% dei 150mila soggetti si desse “regole deontologiche integrative” rispetto a quelle previste dalla legge anticorruzione, pubblicando anche gli elementi non previsti dalla norma, avremmo ottenuto un risultato non solo inedito, ma addirittura straordinario.

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