IlSole24Ore, Lionello Mancini, L’Industria di San Marino si ribella

IlSole24Ore, Lionello Mancini, L’Industria di San Marino si ribella

Colombini, Passepartout, Asa, Scm, Robopac, Sit, Gruppo Del Conca: aziende che sviluppano fatturati da decine o centinaia di milioni, impiegano migliaia di dipendenti italiani e non; hanno conti e carte in ordine, sedi all’estero, credibilità e progetti di espansione: insieme ad altre realtà grandi, piccole e microscopiche, fanno parte del nerbo industriale sammarinese. Trovandosi a descrivere i gravissimi problemi che da anni scuotono il Titano, non è quello industriale il pezzo di realtà che salta per primo agli occhi; eppure non solo esiste, ma con il suo 36,4% rappresenta la fetta più consistente di quei 1.260 milioni di Pil della Repubblica più piccola e antica del mondo. Solo dopo l’industria, infatti, vengono i contributi al Prodotto interno delle attività finanziarie (18,6%), della Pubblica amministrazione (14,3%), del commercio (8,6%), delle costruzioni (5,5%).
Proprio come quello italiano, il reticolo produttivo sammarinese è molto frammentato, con le sue 6.498 tra imprese e società, per lo più piccole e piccolissime: oltre il 90% occupa fino a 9 dipendenti, e solo 254 contano da 10 dipendenti e oltre. Questa rete che produce manufatti, commercia e offre servizi, dà lavoro a circa il 40% degli occupati totali del Titano, compresi i 6.704 lavoratori italiani. Ripartiti per ramo di attività, i frontalieri si concentrano nel manifatturiero (40,5%), nel commercio (18%), nelle attività immobiliari, informatica, servizi ecc. (15,5%) e costruzioni (11,8%). In questo universo pulviscolare, ci sono poi i giganti della produzione come quelli citati all’inizio.
Se le 12 banche e le 70 finanziarie sammarinesi rappresentano la «grande anomalia», il punto interrogativo che getta ombra sulla Rocca – per la provenienza del denaro, l’assenza di trasparenza, le modalità e la destinazione degli impieghi, i costi di gestione fuori mercato – le realtà industriali e produttive sammarinesi risultano di assoluta confrontabilità internazionale. Così, gli imprenditori che stanno sul mercato, rifuggono per prassi quell’autoreferenzialità che invece obnubila tanti politici e partecipano alla concorrenza con quel vantaggio/svantaggio di essere basati sul Titano.

Mentre la vecchia politica si affanna a inseguire gli indispensabili accordi con l’Italia, non fa nulla per ridurre la costosissima struttura pubblica che assorbe oltre 6mila sammarinesi su 31mila. E così, i loro imprenditori e manager sono costretti a fare i conti «veri» con le miopie e le urgenze del loro Paese. Anche loro, come accade agli italiani quando all’estero devono spiegare che nel Belpaese non tutti siamo mafiosi o latin lovers e non mangiamo solo pizza, i manager della Rocca si misurano con il mercato e intanto controbattono a stereotipi e luoghi comuni, difendendo il loro Paese, almeno fin dove è difendibile. Un ottimo motivo per ascoltarli e misurare la loro voglia di cambiamento oltre e nonostante la politica.

LE VOCI DELL’IMPRESA
GRUPPO COLOMBINI, GRUPPO DEL CONCA, GRUPPO ASA
EMANUEL COLOMBINI
A 32 anni, l’ad del gruppo Colombini è il più giovane degli imprenditori sammarinesi. Ha da poco acquisito a Pesaro le aziende dei marchi Febal e Rossana. Colombini Sa si è consolidata negli anni 90 quando dalle camere singole per ragazzi e per hotel, passò a produrre anche cucine, soggiorni, uffici. Poi l’apertura ai mercati esteri (Grecia, Spagna, Francia e Russia) fino alla joint del 2005 in Cina, per produrre là e sviluppare i mercati asiatici. A fine 2009 il gruppo consolida quasi 180 milioni con circa 950 dipendenti e sei sedi: tre a San Marino, due in Italia, uno in Cina. Colombini si augura che gli attriti fra Roma e il Titano vengano presto risolti, «perché la diffidenza di oggi sta minando l’economia sana che noi rappresentiamo». E aggiunge che il decreto incentivi «non considera che a San Marino esistono realtà molto competitive ed efficienti», proprio quelle che ne risentiranno di più.

ENZO DONALD MULARONI
Con il suo Gruppo del Conca, Enzo Donald Mularoni, 58 anni, ha oltre 500 dipendenti (380 in Italia), cumula 130 milioni di ricavi, spende ogni anno 10 milioni «quasi tutti in Italia» in tecnologia e ricerca. Fondatore della Cdc sammarinese, Mularoni sta trattando per Confindustria Ceramica il rinnovo del contratto dei circa 40mila addetti del settore italiano. «Qui ci sono imprese serie che competono ad armi pari sui mercati – ribadisce – mentre lo Stato rischia di essere divorato dalla sua stessa amministrazione. Anche noi ci aspettiamo che alle parole seguano i fatti. Ma sono certo che la necessità farà innescare un processo virtuoso. E qualche persona illuminata, non compromessa, credibile, prima o poi dalla società sammarinese verrà fuori». L’imprenditore indica la Pa come «una macchina pletorica, gonfiata di addetti a scopi clientelari, proprio come in Grecia o nel Sud Italia». Un sistema che se ha assicurato «un buon livello generale di benessere al Paese, è anche diventato l’alibi della politica». La riforma della Pa «è la svolta più impellente» e dato che «sarà inevitabilmente dolorosa, proprio questo indurrà atteggiamenti più rigorosi e potrà essere l’inizio di un nuovo corso».

EMILIO AMATI
Emilio Amati, 60 anni, è presidente di Asa Spa, azienda di imballaggi metallici fondata dal padre nel ’59. Oltre alla sede principale a San Marino, il gruppo con 365 addetti ha 4 stabilimenti in Italia, uno in Svizzera, uno in Belgio e fattura 75 milioni. «Non siamo avvezzi né contigui alla politica – dice Amati –. Nemmeno un euro di finanziamento, niente favori da chiedere. Per noi vale il “testa bassa e pedalare”». Siamo infastiditi da questo clamore e da questi accostamenti alla Colombia dei narcos, critiche, oltretutto «che provengono da un Paese in cui quattro regioni sono in mano a mafie varie». Le criticità esistono, conferma Amati, ma andrebbero superati i luoghi comuni come quelli sulle “cartiere”, quelle che fabbricano fatture e che screditano San Marino. Ma «si tratta di società fasulle, spesso con un solo dipendente. Però ci sono quasi 8mila italiani che lavorano qui in aziende sane, produttive e sono più degli operai di Pomigliano, di cui si legge ogni giorno». Il Titano sta vivendo profonde mutazioni e, conclude, «se fossi in Tremonti cercherei di agevolare chi sta operando per cambiare una situazione che, al pari dell’Italia, era assai degenerata».

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