IlSole24Ore: ’Ndrangheta in Emilia, la pista di San Marino

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L’altra indagine. Lo Stato del Titano considerato tappo fondamentale per il reimpiego o il trasferimento del danaro

’Ndrangheta in Emilia, la pista di San Marino

Le intercettazioni. Michele Bolognini, arrestato perché considerato il capo dell’organizzazione, vanta amicizie nelle istituzioni sanmarinesi

 Non gli pareva vero ai Carabinieri del Nucleo investigativo di Crotone vedere sfrecciare a Cutro quel Suv da 100mila euro. Non che non siano abituati alle auto di grande cilindrata in un paese che vive di onestà ma anche di facile arricchimento criminale ma a colpirli, quel 3 aprile 2012, alle ore 15.21, era la targa del Suv, della Repubblica di San Marino.

Sfrecciava verso la casa del “padrone” di Cutro, quel Nicolino Grande Aracri, la cui cosca omonima ha colonizzato l’Emilia e le province di Brescia e Mantova. A bordo c’era il fidato Michele Bolognino, ritenuto dalla Procura di Bologna che lo ha arrestato nel corso dell’operazione Aemilia, promotore, dirigente e organizzatore della presunta associazione ‘ndranghetista nella zona di Parma e di parte della bassa reggiana, nonché garante del collegamento con la “casa madre” di Cutro e dell’autonomia dell’associazione. Una cellula che, come ha scoperchiato l’operazione coordinata dalla Dda di Bologna (pm Marco Mescolini) e condotta dai Carabinieri, vede indagate 203 persone, a vario titolo accusate di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, reimpiego di capitali di illecita provenienza, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, danneggiamento e altri reati, aggravati dal metodo mafioso.
Quella targa e, soprattutto, quel Paese non erano casuali e a farlo capire è lo stesso Bolognino il 27 gennaio 2012, intercettato all’uscita da un ristorante di Montecchio Emilia (Re) dove aveva pranzato con alcuni esponenti delle cosche calabresi a Torino. All’interlocutore spiega che per averla, quella targa, bisogna avere qualcuno che ha lì la residenza e la immatricola. Insomma amici che, è questa la tesi investigativa, se si prestano a intestarsi un’auto, a maggior ragione sono disposti a fare da ponte per affari sporchi in un Paese immerso nel cuore dell’Emilia Romagna.
A ben vedere, che San Marino sia considerata una tappa fondamentale, con Austria e Germania, per il reimpiego o il trasferimento di denaro, lo si capisce dalle prime battute dell’ordinanza (Gip Alberto Ziroldi) che prevede l’aggravante della transnazionalità.
Secondo quanto sta emergendo (le attività investigative sono ancora in corso), la presunta associazione mafiosa utilizzava società con sede a San Marino per architettare un rodato sistema di frode fiscale anche attraverso triangolazioni con la Repubblica Ceca. Nel sistema entravano società svizzere appoggiate a filiali austriache dove le merci arrivavano e da lì ripartivano, che fungevano da “cartiere” intracomunitarie e che acquistavano i prodotti da fornitori di altri paesi europei o nazionali, per rivenderli in esenzione Iva ad una “cartiera” italiana.

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