Indagine Cheope, ecco i nomi dei 13 indagati

Indagine Cheope, ecco i nomi dei 13 indagati

Sta facendo scalpore il sequestro per 7,3 milioni di euro ai danni di 13 persone accusate di aver creato un sistema piramidale (diverso dal legale network marketing) e di mancati versamenti di IVA.

Questo perché i protagonisti sono per molti volti noti, avendo per anni spinto la propria immagine su social e piattaforme web, finendo per diventare veri e propri guru per centinaia di persone, con libri, interviste, opulenza ostentata ed eventi dal vivo da migliaia di presenze.

Secondo gli inquirenti del tribunale di Rimini, al vertice della piramide (da qui il nome Cheope dell’indagine della Guardia di Finanzia) c’era il sammarinese Fabio Bollini, classe ’83, volto noto in Repubblica anche per aver militato per anni nella Nazionale di calcio. A lui le fiamme gialle hanno sequestrato beni e denari per 2,2 milioni di euro.

Insieme a lui risultano indagati tutti i vertici della società di integratori alimentari ViSalus, che secondo gli investigatori è arrivata ad avere una struttura composta da oltre 10.000 persone.

Ecco gli altri 12 nomi:

-Francesco Comito, italiano residente con la sua famiglia a San Marino da molti anni;

-Massimo Giorgi, di Riccione

Massimiliano Micheletti, residente nel pesarese

Michela Zanola, bresciana di origine ma residente in provincia di Forlì-Cesena

Roberto Anelli, di Rimini

Thomas Bragagnolo, di Pesaro

Stefania Conoscitore, foggiana

Mara Granaroli, sammarinese residente a Novafeltria

Matteo Lappi, riminese

Marco Paolini, cesenate

Fabio Serra, di Cesenatico

Davide Vagnini, pesarese

 

UN CONFINE SOTTILE

Oltre ai reati tributari, l’accusa principale riguarda la promozione e realizzazione, in tutta Italia, di un network marketing riconducibile al solo reclutamento di persone (vietata dalla legge 173/2005 sulle vendite piramidali). Quindi, sono le contestazioni degli inquirenti, nei fatti non si premiava la vendita degli integratori o dei famosi chetoni, ma solo la capacità di aggiungere nuove persone alla propria rete. Nuovi “venditori” che dovevano versare da 500 a 1.000 euro per entrare nel commercio.

Ed è questo lo spartiacque, per la legislazione italiana, tra network marketing (attività lecita) e l’illegale sistema piramidale o Schema Ponzi: nel primo caso si guadagna sulla vendita del prodotto da parte propria o dei propri “affiliati”, nel secondo caso il successo economico deriva unicamente (o quasi) dal reclutamento di altri venditori costretti a pagare una tassa di entrata. A rendere complicato distinguere legale da illegale c’è il fatto che la tassa può essere camuffata come acquisto di un pacchetto di prodotti.

Ora sarà la magistratura a dover stabilire se Bollini e gli altri dirigenti di ViSalus hanno praticato la prima o la seconda attività.

 

digià

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