Indennita’ malattia ovvero quando la pezza e’ peggio del buco. RETE

Indennita’ malattia ovvero quando la pezza e’ peggio del buco. RETE

Come
spesso accade i confronti che la maggioranza propone non sono che
presentazioni di decisioni già prese. Si parla di nuovo di indennità
di malattia, del protocollo d’intesa elaborato da Segreteria alla
Sanità e CSU (viene da chiedersi: e l’USL?) con cui tentano di
mettere una pezza ad una cosa partita male (a nostro avviso non
riuscendoci).

Persino
il sindacato ammette, nell’introduzione dell’Accordo, che
l’articolo 48 si è rivelato un groviglio di criticità e
difficoltà applicative che non rispondono all’esigenza di colpire
chi abusa dei giorni di mutua.

Non
è un caso che la posizione iniziale della CSU (che ci trovava
concordi) era di abrogare quel famigerato articolo che in pochi mesi
ha fatto emergere la sua inadeguatezza attraverso la testimonianza
diretta di chi ha vissuto quei tagli sulla pelle.

RETE,
riconoscendo subito che tale taglio alle indennità avrebbe finito
per colpire, con la scusa di colpire i “furbetti”, chi sta
davvero male, a dicembre è uscita dall’aula per protesta verso
questo modo di fare.

Abbiamo
poi presentato un Ordine del Giorno per ristabilire la situazione
iniziale dando piena disponibilità a ragionare, partendo dai dati
esistenti, per eseguire controlli più efficaci e colpire gli abusi
alla radice, tra chi li legittima.

Ora
il sindacato definisce “costruttivi” degli sforzi di
contrattazione che per noi sono un gioco al ribasso sui diritti dei
malati.

L’obiettivo
non ci pare essere quello di colpire i “furbi della mutua”, ma si
va di nuovo a colpire nel mucchio, addirittura complicando il
sistema.

Qui
non si tratta di trovare un accordo al ribasso per senso di
responsabilità: responsabilità sarebbe che lo Stato riconosca i
suoi doveri verso i malati, sarebbe colpire chi si presta agli abusi,
aumentare e rendere più efficaci i controlli anziché renderli
ancora più difficili con un sistema ancor più complicato.

Insomma,
prima si attaccano i diritti dei lavoratori, poi si patteggia una via
di mezzo basata sui numeri (il 90% anziché l’86%) un po’ meno
lesiva dei diritti acquisiti, poi si presenta come un risultato
positivo quello che, rispetto al punto di partenza, è comunque un
peggioramento.

La
situazione originaria stabiliva che il malato avesse diritto per i
primi 14 giorni all’86% di indennità, dal 15° giorno al sesto
mese il 100%, poi di nuovo l’86% dopo i sei mesi.

La
logica è che chi è malato per qualche mese non è un finto malato,
dunque ha diritto non all’86% e nemmeno al 90%, ma al 100% di
indennità.

Nemmeno
con un sistema così semplice i controlli hanno funzionato,
figuriamoci introducendo, come fa il protocollo, le
ricorrenze
di malattia, la distinzione tra primo giorno di malattia in prima,
seconda o terza ricorrenza, (al 90%, 70% o 50%) e poi dal secondo
giorno al 90%.

Mentre
si perderà tempo a risolvere questi dilemmi con regolamenti e
ipotesi vane, i furbetti continueranno a godersela, perché “fatta
la legge trovato l’inganno”.

Non
stiamo poi a ragionare sul fatto che “solo casualmente” il
protocollo di intesa giunge a pochi giorni dalla Commissione
Parlamentare che discuterà un progetto di legge che l’UPR “solo
casualmente” ha depositato qualche tempo fa, e che “sempre solo
casualmente” ha la stessa struttura e lo stesso impianto delle
modifiche apportate dal protocollo di intesa. Coincidenze degne del
migliore dei prestigiatori, che però aiutano a togliere
dall’imbarazzo Mussoni, come se ce ne fosse ancora bisogno.

Per
noi non ha senso ragionare su quanto tagliare ai malati, perché se
la sanità nostrana ha ricevuto riconoscimenti internazionali è
proprio per le forme di tutela dei malati che esistevano.

Sarebbe
invece necessario colpire chi si presta a concedere periodi di mutua
a chi sta bene. Ma qui serve la volontà politica di punire chi è
disonesto, e a vedere l’andazzo pare che questa non ci sia!

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