Alla democrazia rappresentativa la Repubblica di San Marino è arrivata decisamente tardi – nel 1906 –, per via autonoma rispetto alle rivoluzioni liberali e grazie ad un uomo eccezionale, il prof. Pietro Franciosi. Questi la caratterizzò subito con delle novità importanti: apertura immediata, nel Palazzo Pubblico, della tribuna ai cittadini perché potessero seguire le sedute del Consiglio Grande e Generale ed avvio di un processo di ritorno alla democrazia diretta – quale si pensava esistesse in età comunale – a partire dalla introduzione di un referendum ‘alla svizzera’.
Il referendum è stato introdotto nella seconda metà del Novecento ma con modalità che in pratica ne rendono – diversamente dalla Svizzera – difficilissima l’attuazione pratica.
Si è poi attivata una parziale diffusione via radio delle sedute, ma delle sedute, al contempo, è stata abolita la verbalizzazione. La sola documentazione delle sedute consiste in una sola registrazione sonora, alla quale, fra l’altro, i cittadini non possono accedere.
Attorno all’anno 2000, presso i governanti pro tempore, si è diffuso l’uso di legiferare mediante decreti. Decreti che vanno poi, sì, in Consiglio, ma una sola volta.
Nel caso di una sola camera, in genere nei paesi democratici, anche i testi legislativi ordinari oltre alla prima e la seconda lettura, prevedono un nuovo passaggio nell’organo legislativo a distanza di qualche tempo.
L’uso spropositato dei decreti legge, quale si va diffondendo nel caso sammarinese, sta provocando una ferita al sistema democratico ed, al contempo, non migliora – come si può verificare da quanto accaduto anche nel 2010 – né la qualità né l’efficacia dell’azione di governo.