L’elefante nella stanza, di Rosanna Ridolfi

L’elefante nella stanza, di Rosanna Ridolfi

Il bisogno di ordine e sicurezza che ormai tutti avvertono induce a volte a pensare che una forma di governo capace di ripristinare antichi “valori e tradizioni” possa essere la soluzione. A parte che entrambi questi termini meriterebbero da soli un’ampia trattazione, forse è necessario prestare molta attenzione al rischio che comporta entrare in un certo tipo di territorio ideologico.

Chi pensa che un uomo (o una donna) forte, solo al comando, possa essere la soluzione, dovrebbe rivedere il film “Sono tornato” di Luca Miniero. In questa commedia sarcastica – che contiene anche un’amara riflessione sulla società generata dai media – un redivivo Mussolini affascina con la sua retorica, fino a quando un’anziana signora, sopravvissuta al rastrellamento del ghetto ebreo di Roma, apre gli occhi a tutti ricordando gli orrori di cui il dittatore si è macchiato.

Accade sempre più spesso anche di sentire interventi in difesa dell’italianità; di recente ci sono state prese di posizione a favore del ripristino della “purezza” della lingua o per mettere in guardia dal pericolo di “sostituzione etnica”.

Io sostengo da sempre che non c’è lingua più duttile, elevata e bella di quella italiana. La varietà del lessico e le mille sfumature dei sinonimi, la ricchezza delle figure retoriche e di senso, la complessità delle strutture sintattiche, hanno permesso e permettono ogni sorta di possibilità espressiva: dalla poesia di Dante, alle riflessioni filosofiche di Giambattista Vico, alle argomentazioni scientifiche di Galileo … tanto per fare qualche esempio. Ma non si può negare che lo strumento di comunicazione più rapido ed efficace a livello ormai universale, nei più vari contesti, sia oggi la lingua inglese: è necessario dunque appropriarsene e padroneggiarla. Il che non comporta il dover rinunciare alla conoscenza, alla valorizzazione e all’uso adeguato della propria lingua. Quanto ai prestiti linguistici, sono inevitabili e a volte necessari per certi argomenti, perché il corrispettivo italiano non è sempre così puntuale e sintetico. E se la stessa premier italiana ha usato e usa nei suoi discorsi – tra gli altri – termini come “green energy”, “cybersecurity”, “know-how”, “welfare”, “fringe benefits” ed ha amato definirsi, in riferimento alla propria carriera politica, “underdog”, è segno che pure lei subisce la fascinazione dello “straniero idioma”! E se non sbaglio oggi in Italia c’è pure un ministero che si chiama “Ministero delle imprese e del Made in Italy”!

La lingua è un organismo mobile e permeabile e rispecchia ed assorbe i cambiamenti di una società. È vero che l’espandersi della lingua inglese è stata conseguenza ed insieme veicolo di colonizzazione economica e culturale, ma questo è un altro discorso e riguardo a ciò penso sarebbe più utile interrogarsi sul reale senso di appartenenza e sulla capacità di autocritica di una collettività e degli individui che la compongono.

L’altro non luogo di queste elucubrazioni identitarie è il discorso sul rischio della “sostituzione etnica”. Bisognerebbe conoscere un po’ di storia, perché questa “sostituzione” avviene in realtà già da secoli, anzi da millenni: il primo nucleo dell’Italia antica si formò attraverso l’incontro e la fusione di latini, etruschi, celti, cartaginesi, greci …

Durante l’impero romano si riversò nella capitale un flusso costante di popolazioni e culture altre; lo testimonia lo scrittore satirico Giovenale che si scagliava contro gli immigrati, mostrando un’insofferenza che sfociava nel razzismo: se la prendeva in particolare con Greci, Siriani, Ebrei, che con la loro invasione “rubavano” lavoro e identità ai romani d’origine.

Alla fine del IX secolo in Sicilia giunsero gli Arabi e lasciarono impronte della loro cultura in più ambiti: dall’architettura, alla cartografia; dalla letteratura alla filosofia; dall’algebra all’uso dei numeri, che a loro volta avevano appreso dalla cultura hindu. E anche nuove tecniche agricole e di irrigazione … di cui erano venuti a conoscenza entrando in contatto con l’Impero romano prima della sua decadenza, restituendole poi agli europei dopo averle rielaborate e modernizzate.

Strani ma non infrequenti giochi della storia, che dimostrano quanta ricchezza possa scaturire dagli scambi tra culture.

A partire dall’anno mille giunsero dall’Europa settentrionale i Normanni, che colonizzarono la Basilicata, la Puglia e in seguito anche la Sicilia, e lasciarono in eredità alle popolazioni locali occhi verdi e capelli rossi o biondi che ancora ritroviamo in lucani, pugliesi e siciliani.

Intanto nell’Italia del nord avevano transitato, a volte stanziandosi, Slavi, Longobardi, Franchi, Germani, seminando anch’essi tracce delle loro lingue, delle loro usanze, del loro DNA.

l’Italia è da sempre un crocevia di popoli e culture che continuano da secoli a mischiarsi e fondersi. Chi chiude gli occhi di fronte a questa verità così ovvia, si comporta, come dicono gli inglesi con una metafora, come chi finge di non vedere “un elefante in una stanza”, cosa impossibile da non notare: eppure c’è chi preferisce ignorare che il mondo sta di nuovo cambiando, che le etnie si mescolano e confondono, dando vita a poco a poco ad un’umanità nuova; che piaccia o no il processo è iniziato da tempo ed è inarrestabile, e non è detto che sia un evento negativo. Si tratterebbe solo di renderlo meno cruento possibile, attraverso il rispetto delle diverse culture e sensibilità, evitando di distinguere gli esseri umani in categorie o peggio ancora in “razze”, ma cercando piuttosto di individuare ciò che può unire o essere condiviso.

E dunque a chi continua a pensare di dover difendere o preservare la “purezza e l’identità italiane” mi permetto, con leggerezza, di suggerire di fermarsi ad ascoltare le voci del paese reale. Come quella, ad esempio, di un giovane rapper dai tratti nordafricani e dall’inflessione lombarda nella pronuncia, che nei suoi versi afferma di essere “metà italiano e metà tunisino, fidanzato con una portoricana”, e che canta: “quando mi dicono va’ a casa, io gli rispondo: è già qua…”.

Rosanna Ridolfi

Tempo di lettura stimato: 7 minuti

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy