Libero Quotidiano, Delta finisce come Lehman, De Dominicis Francesco

Libero Quotidiano, Delta finisce come Lehman, De Dominicis Francesco

Libero Quotidiano

Delta finisce come Lehman

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Niente da fare per Delta. Il gruppo finanziario controllato dalla Cassa di Risparmio di San Marino getta la spugna. E avvia i licenziamenti di 600 dipendenti (su 900 in totale). Il via libera alla proccedura di mobilità è stato formalizzato ieri dai vertici di Delta ai sindacati. Una mossa che sembra essere la conseguenza immediata dell’uscita di scena di Intesa Sanpaolo dalle trattative per il salvataggio della banca attiva soprattutto nel comparto del credito al consumo.

È il primo crac nel sistema bancario del nostro Paese. Fatte le debite proporzioni si potrebbe parlare della Lehman Brothers italiana. Che potrebbe avere ripercussioni devastanti dentro i nostri confini e soprattutto nella Repubblica del Titano. Sui conti di San Marino peserà il buco da 3,3 miliardi di euro lasciato in eredità da Delta. Un’altra mina sul piccolo Stato che ha già perso oltre il 7% del Pil sotto i colpi dello scudo fiscale confezionato dal governo italiano. Quanto al fallimento di Delta ha pesato la scellerata gestione del vecchio top management e anche la crisi finanziaria internazionale. Che dalle nostre parti non aveva ancora fatto danni rilevanti. Tant’è che è la prima volta che corrono seriamente il rischio di finire per strada centinaia di lavoratori degli istituti di credito. Stanno per perdere il posto di lavoro, nel dettaglio, 550 dipendenti con contratto a tempo indeterminato, 40 con contratto a tempo determinato e 11 apprendisti. Mentre non è ancora chiaro il destino per un altro centinaio di addetti con rapporto di lavoro -bancario , e altri 200 con contratti diversi e sparsi in società collegate del gruppo. Una fine inattesa per la telenovela che va avanti da quasi un anno. A giugno del 2009 la Banca d’italia aveva deciso di commissariare l’intero gruppo. Già a dicembre le sigle Fisac-Cgil, Uilca, Ugl Credito e Fabi avevano lanciato l’allarme rosso proprio per le temute ripercussioni sull’occupazione. Stime non ufficiali circolate in ambienti finanziari a ridosso di Natale avevano messo in guardia gli sceriffi di Banicitalia proprio sulla liquidità quasi esaurita.

Le attività erano ferme da tempo e i dipendenti si sono ritrovati a gestire per settimane una vera e propria fuga di massa. L’epilogo «tragico» era nell’aria, insomma. Nella comunicazione inviata dai commissari di Banktialia alle organizzazioni sindacali si fa riferimento alla «sostanziale matti- vità della rete interna (filiali) e l’impossibilità per la rete esterna (agenti) di svolgere la propria attivitàin favore di Delta». Non solo. «Delta – si legge – deve fronteggiare una situazione finanziaria grave anche conseguente all’interruzione del meccanismo della consueta smobiizzazione dei crediti». Una situazione che «non consente di continuare a sostenere i costi». Una doccia fredda per i lavoratori che sa di beffa. Segue di appena 24 ore la comunicazione con cui la controllante – la Cassa di risparmio di San Marino – aveva cercato di tranquillizzare i dipendenti proprio dopo il dietrofront della banca guidata da Corrado Passera.

Tutta la storia della società, del resto, è avvolta in una nube densa di dubbi. Il gruppo bolognese, allora operante in prevalenza nel credito al consumo e controllato dalla Cr di San Marino, all’inizio del 2004 accelera l’espansione rilevando il Credito agricolo e industriale, poi nel 2005 acquisendo la Sofid Sim di Eni, fino a trasformarsi e iscriversi all’albo dei gruppi bancari (agosto 2007). Il crac in meno di due anni. Seguito da mesi di trattative finite male.

La decisione dei vertici di Delta, in ogni caso, potrebbe far tornare sui suoi passi Intesa Sanpaolo. Se Ca’ de Sass decidesse di riaprire la partita, potrebbe ottenere importanti benefici proprio sul fronte dei costi del personale. Secondo esperti sindacali, infatti, una volta che viene avviata la procedura di mobilità, l’attivazione del fondo interbancario (alternativo alla cassa integrazione prevista negli altri settori) resta in piedi anche successivamente a una operazione di cessione. Vale a dire che per un paio d’anni circa, Intesa, di fatto, non pagherebbe gli stipendi. Che resterebbero quasi interamente a carico del fondo. Tutto sommato un affare.

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