Mazza (Ddc), no al referendum sulla scala mobile

Mazza (Ddc), no al referendum sulla scala mobile

Perché votare “no” sul Referendum per la scala mobile

Per comprendere appieno le ragioni di un “no” al quesito referendario sulla scala mobile credo sia bene riassumere brevemente le motivazioni e i meccanismi che, in passato, hanno portato all’introduzione di un sistema che, fino agli anni ’90, ha prodotto l’aggiornamento automatico delle retribuzioni da lavoro dipendente rispetto all’aumento del costo della vita. La scala mobile veniva calcolata seguendo l’andamento variabile dei prezzi di particolari beni di consumo (paniere). L’automatismo è stato applicato all’aggiornamento dei salari per un certo numero di anni, fino a quando fu evidente che esso andava a produrre ulteriore inflazione in una rincorsa senza fine, per le ragioni che cercherò di spiegare. La scala mobile, infatti, non teneva conto del più importante fattore dell’economia, o, per meglio dire, di quel parametro che riassume tutti gli altri nella valutazione dell’economia di un Paese: il PIL, che è il valore aggiunto per le aziende, oppure, in termini equivalenti: l’aumento della produttività del valore. La misura della produttività è valutata in base all’utile operativo dell’operatore e non in base al fatturato. Un adeguamento salariale che tenga conto del fattore inflattivo, al di sopra della produttività, è causa di ulteriore inflazione. Se poi questo adeguamento deriva da una consequenziale riduzione degli utili aziendali, ovvero da un drenaggio di risorse dalle imprese ai dipendenti, porta non solo ad un aumento inflattivo, ma anche ad un progressivo depauperamento dell’azienda, che non avrà più sufficienti risorse per sviluppare e ammodernare. Cioè per crescere!
D’altro canto, se l’utile rimane invariato si produce una crescita della moneta messa in circolazione che non è congrua con la crescita della ricchezza prodotta. Da tutto questo si va a generare una spirale inflazionistica. Se invece si ha un aumento dei salari – perché no? – anche al di sopra dell’inflazione, come negli anni ‘90 e nei primi anni 2000, purché entro la crescita della ricchezza nazionale, questo diventa una redistribuzione al lavoro dipendente degli utili della produttività. Detto questo si deduce quali possano essere le ragioni dell’economia per dire “no” al referendum che mira a reintrodurre la scala mobile. Ragioni che hanno ben compreso anche le Organizzazioni Sindacali. La logica ispiratrice del quesito referendario è quella di contrapporre gli aumenti salariali ad una riduzione degli utili aziendali. Se l’economia, e quindi il PIL (produttività), cresce poco, l’operazione scala mobile si traduce in un semplice travaso di risorse, con il risultato di indebolire le aziende. Se la crescita del PIL e della produttività è sostenuta, crescono sia gli utili aziendali sia i salari. E’ per queste considerazioni che si è arrivati, nel recente passato, all’abolizione della scala mobile e a introdurre i meccanismi della contrattazione settoriale, tenendo conto del fatto che non tutti i settori crescono e producono allo stesso modo. Ora è evidente che esistono particolari situazioni di lavoratori dipendenti che, per specifiche condizioni familiari, esistenziali, congiunturali, non riescono con gli aumenti contrattuali a far fronte agli aumenti in atto. Problematiche, queste, che sono sempre più presenti in quelle famiglie monoreddito o in quelle dove particolari problemi di assistenza, accompagnamento, malattia o quant’altro mettono in grossa difficoltà coloro che vi incappano. A queste situazioni dovrebbero far fronte quei sistemi che il nostro Stato ha messo in atto già da molti anni, che però, a mio parere, non sono sufficientemente equilibrativi e ben distribuiti: parlo degli ammortizzatori sociali. Tariffe agevolate per prestazione di servizi o per erogazione di utenze per famiglie al di sotto di un certo reddito (riforma fiscale? controllo delle residenze? E non solo!). Sempre per chi è al di sotto di un certo reddito lo Stato potrebbe rinunciare a parte delle accise sui carburanti o ad un aumento della quota produzione reddito, da detrarre dalle imposte. Miglior utilizzo ed equilibrio nella gestione dei fondi per i servizi sociali: è congruo un pasto in mensa a 2,10 € quando ci sono centinaia di famiglie che attendono per mesi un posto all’asilo nido o pagano profumatamente una badante pur di non abbandonare l’anziano alla struttura pubblica – che pure costa – o hanno necessità di accudire l’handicap che hanno in casa? Questi sono solo alcuni esempi di come si potrebbe intervenire sugli aumenti dei generi di prima necessità. Serve la volontà di mettersi attorno ad un tavolo: politica, Organizzazioni Sindacali, Associazioni di categoria o del volontariato, per ricercare la soluzione più congrua e affrontare e risolvere, anche in parte, le problematiche inerenti l’aumento del costo della vita. La scala mobile indiscriminatamente dà e concede a tutti senza distinzioni. E’ anche per questo che bisogna votare “no”.

Orazio Mazza – Presidente dell’Assemblea dei Democratici di Centro

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