San Marino Lettera aperta di un medico dimissionario: “Ecco perché lasciamo l’Iss”

San Marino Lettera aperta di un medico dimissionario: “Ecco perché lasciamo l’Iss”

San Marino. Lettera aperta di un medico dimissionario: “Ecco perché lasciamo l’Iss”  (Lettera pubblicata su La Tribuna Sammarinese in data 3 maggio 2017)

Egregio Direttore,

ho letto con interesse gli articoli apparsi nei giorni scorsi sulla stampa riguardo la fuga dei medici da San Marino, con annessi scambi di opinioni tra maggioranza ed opposizione: essendo parte in causa, mi sono sentito in dovere di scriverle questa mia lettera che vuole riassumere le tante ragioni che mi hanno portato alla decisione di lasciare l’ISS. Non voglio assolutamente entrare nella diatriba mediatica che sta interessando l’attuale maggioranza e l’ex segretario Mussoni, ma, semplicemente, approfittare per scusarmi con i tanti pazienti che sto per forza di cose abbandonando spiegando la mia, assolutamente personale, condizione unitamente alle mie altrettanto personali considerazioni riguardo la problematica.

Inizio dalla fine: la mia decisione definitiva di rassegnare le dimissioni è maturata nei primi mesi di quest’anno quando mi sono trovato immobilizzato a letto a seguito di un brutto incidente sugli sci avvenuto ad inizio gennaio. La forzata immobilità a casa, l’incertezza dei tempi di recupero mi hanno fatto apprezzare come mai prima la vicinanza costante della mia famiglia di cui, inevitabilmente, lavorando lontano (anche se non lontanissimo) dalla propria città non potevo godere pienamente prima, e talune situazioni di sofferenza creano dei meccanismi di consapevolezza altrimenti inespressi. Sarei però falso anche con me stesso se non ammettessi che la malattia è stato l‘evento che ha fatto probabilmente solo maturare più velocemente una decisione che forse sarebbe arrivata comunque. Vede Direttore, i problemi che possono portare un medico a non scegliere di lavorare all’ISS o ad abbandonarlo sono molteplici: prima di tutto la casistica. Con una popolazione di riferimento ridotta, per forza di cose la casistica in qualsiasi branca è altrettanto ridotta e la possibilità di vedere, visitare è per un medico amante del suo lavoro il primo stimolo professionale /intellettuale; non avere questa possibilità rischia di uccidere la propria spinta motivazionale. Ed intendo casistica, non numeri: il visitare 100 pazienti al giorno con il raffreddore non rappresenta casistica, ma solo tamponare un bisogno sanitario nella maggior parte dei casi improprio. Ed allora l’unico modo, secondo me, per risolvere questo problema, che rischia di essere un vicolo cieco, è l’apertura verso l’esterno creando quanti più ponti e scambi possibili con le realtà vicine, ma anche lontane. Forse il precedente segretario era un po’ visionario, un po’ oltre la realtà locale quando aveva programmato accordi con la radiologia del Presbyterian Hospital di New York o gli scambi sanitari con Malta, ma credo, per la mia idea della professione e della vita, che fosse la direzione giusta (ad esempio ho lavorato in altre realtà italiane dove per progetti di ricerca avevamo scambi costanti con Londra), attraverso gli accordi sociosanitari con l’Emilia Romagna, le Marche, il policlinico Gemelli di Roma.

Anche i contratti, certo, rappresentano un problema, ma a mio parere subordinato alla situazione politica. Mi spiego meglio: la forte instabilità politica del paese, i continui cambiamenti, la ridondanza mediatica anche per fatti di poco conto, creano un effetto di poca sicurezza, di poche certezze per il futuro. Personalmente mi ha colpito molto la vicenda dell’ex Direttore Generale: in più di 20 anni che lavoro in sanità non avevo mai assistito al licenziamento di un DG prima della fine di un mandato per cause non legate a problematiche penali, bensì a problematiche tecniche di non univoca interpretazione. Questa instabilità crea, a torto o a ragione, una insicurezza per il futuro che contribuisce alla sensazione di mancanza di serenità professionale.

Nell’ultimo anno ho assistito anche allo spettacolo (perdonatemi il termine) dei referendum: uno strumento importantissimo di democrazia, sono il primo ad ammetterlo, ma conditi, lasciatemelo dire, da un substrato di populismo dilagante: non credo si possa pensare di attirare professionalità se, oltre ai problemi di casistica, si propone uno stipendio con un tetto imposto per legge nettamente inferiore ad analoghi limiti presenti nelle normative italiane ed europee; non credo che poi che il fatto di non poter esercitare libera professione entro i confini possa aiutare in tal senso (in alcune specializzazioni è assolutamente normale avere una quota consistente di libera professione, in quanto può costituire anche una forma di rapporto di fiducia medico-paziente); infine il divieto assoluto di esercitare qualsiasi forma di attività dopo il pensionamento pure costituisce un’altra anomalia rispetto al panorama italiano. Ecco quindi che il contratto a termine rappresenta un problema non solo perché è “a termine” ma anche perché l’impressione percepita è che possano mutare le condizioni in corso d’opera e pertanto, indipendentemente dalla validità del professionista, lo stesso contratto possa modificarsi. Realtà? Fantasia? Forse, ma la sensazione è presente. È stata fatta una legge per la stabilizzazione, nella giusta direzione ma, se non migliorata, rischia di essere assolutamente insufficiente. Perché prevede la stipula del contratto indeterminato solo dopo 5 anni di permanenza con contratto a termine? Perché una volta stabilizzati si entra con contratto base anche se la propria anzianità lavorativa (in Italia e/o a San Marino) è molto consistente? Se si ritiene che un professionista sia indispensabile credo si debba avere il coraggio di offrirgli immediatamente un contratto a tempo indeterminato a condizioni vantaggiose, indipendentemente se cittadino sammarinese o italiano o europeo. Stante la penuria di camici bianchi ovunque, non credo ci saranno in ogni caso problemi di impiego per i (pochi) medici sammarinesi che si laureeranno nel prossimo futuro.

E veniamo alle condizioni economiche. Ripeto ciò che ho scritto sopra: per me non sono state un elemento determinante, però alcune considerazioni devono essere fatte. Vede Direttore, lo stipendio lordo di un medico dell’ISS (sottolineo lordo, prima di pagare le tasse) è mediante inferiore allo stipendio lordo percepito in un ospedale italiano, a pari anzianità e pari posizione, di circa il 20% il che, grazie alla più vantaggiosa fiscalità sammarinese, determina un introito netto leggermente superiore a quanto in genere si ottiene in Italia. Ciò a patto che venga richiesta e concessa la residenza nel Territorio. Ma la residenza, anche al fine della fiscalità, implica la permanenza in Territorio con affitto/acquisto di una abitazione (il “centro dei propri interessi vitali”), quindi lontano dalla famiglia, o il ricongiungimento familiare nell’ambito del territorio sammarinese, cosa spesso non attuabile per ovvie ragioni (scuola dei figli, lavoro del coniuge, casa, nonni, ecc). Inoltre, la residenza in Territorio, se può essere vantaggiosa fiscalmente, non sempre lo è per altri motivi: ad esempio per noi medici alcune graduatorie regionali assegnano un punteggio molto più alto se si è residenti nella regione in cui viene fatta la richiesta; dal punto di vista economico si deve pagare l’ICI per la prima casa in Italia; la targa sammarinese non permette l’accesso al centro storico di molte città italiane anche se la propria famiglia abita lì, e si potrebbe continuare… Per cui, a mio parere, sarebbe importante una nuova formulazione dei contratti, che tenga conto innanzitutto della remunerazione lorda italiana, che non preveda l’obbligo di residenza (anche se tale obbligo al momento non viene sempre imposto) ma solo, eventualmente, di domicilio.

Teniamo inoltre presente che l’attuale architettura dei contratti è anacronistica, con scatti di carriera legati quasi esclusivamente all’anzianità e non al merito: in Italia e in Europa oramai da quasi 20 anni i contratti prevedono una attribuzione di incarichi (professionali, di struttura) che rendono più dinamico l’avanzamento di carriera, non legato solo alla permanenza in servizio ma alle professionalità acquisite con i titoli e l’esperienza. Anche in tale direzione erano stati fatti passi in avanti con la costruzione di un tavolo tecnico allo scopo, ma con il cambio completo della direzione e del governo si potrà proseguire nel lavoro impostato?

Per cui, come spero di aver trasmesso, non sono solo le condizioni economiche o una certa carenza di professionisti effettivamente presente su tutto il territorio nazionale Italiano che determina la fuga dei medici da San Marino, ma anche uno stato di incertezza, mancanza di sicurezza professionale, la sensazione di non avere un percorso sufficientemente definito. Senza alcuna intenzione polemica, devo dire che in questo senso anche il problema apparso sui giornali immediatamente dopo l’insediamento del nuovo segretario alla sanità mi ha lasciato un po’ perplesso: mi riferisco alle vaccinazioni (il Segretario aveva asserito in una intervista di non aver eseguito tutte le vaccinazioni ad alcuni dei suoi figli). Sono perfettamente consapevole che lui ha agito nel pieno rispetto della legge sammarinese che prevede un obbligo di assicurazione qualora un genitore decida di non eseguire determinate vaccinazioni obbligatorie, ma da medico e da pediatra penso sia facile capire che ciò mi ha lasciato piuttosto stupito, convinto come sono della straordinaria utilità ed efficacia dello strumento vaccinale. Non ho deciso di lasciare San Marino per questo, ma è stato un altro piccolo tassello che ha contribuito alla mia incertezza.

Il travaglio che mi ha condotto alla decisione di dare le dimissioni è stato comunque lungo e difficile in quanto, se da una parte stavano gli affetti familiari e le incertezze che ho per sommi capi riassunto, dall’altra parte rimanevano (rimangono) tante persone meravigliose che ho avuto modo di conoscere e frequentare in questo periodo. I piccoli pazienti, nella quasi totalità dei casi circondati da famiglie splendide, unite, generose, attente, consapevoli ed aperte al dialogo: è stato e sarà il più grosso problema che dovrò affrontare, il non poter più dare una mano a cercare di risolvere i piccoli e grandi problemi che il mio lavoro di pediatra poteva contribuire ad affrontare. E poi ovviamente i colleghi, il primario (persona correttissima come uomo e come professionista), gli infermieri e la caposala (altra persona eccezionale). Insomma, mi dispiace veramente, e tanto, ma purtroppo la vita è un puzzle che per cercare di completare necessita dell’incastro di tutte le tessere, e quando ce ne sono alcune che non si riesce a far combaciare a volte è necessario ricominciare da capo.

Spero nella mia non lunga permanenza di aver lasciato un buon ricordo, anche se forse in cuor mio avrei sperato in un po’ di attenzione in più, sapendo oltretutto di una certa difficoltà a reperire medici: non ho ricevuto neppure una telefonata da parte dai vertici amministrativi dell’ospedale per chiedermi le ragioni della mia decisione… non che fosse dovuta, oltretutto non ho avuto modo di conoscere personalmente i nuovi Direttori anche a causa della mia malattia, ma devo dire, per sincerità, che anche questo ha contribuito a perseguire in una data direzione con più serenità…

Con sincero affetto, saluto tutti i Sammarinesi che ho avuto modo di conoscere con cui spero rimanga saldo un forte legame di amicizia.

Dott. Lorenzo Tartagni

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