San Marino. I Fatti di Rovereta, Corrado Carattoni domenica 07 maggio 2017

San Marino. I Fatti di Rovereta, Corrado Carattoni domenica 07 maggio 2017

La Tribuna

In volo sul Titano

Peppone colpisce ancora

Corrado Carattoni

Questa mia breve riflessione prende spunto dall’Istanza d’Arengo, presentata da alcuni cittadini, affinché venga apposta, nel Palazzo Pubblico, una lapide per diffamare in eterno i protagonisti dei “fatti di Rovereta” del 1957, o meglio: una “parte” dei protagonisti.
Non è mia intenzione disquisire su un evento che, per i tempi lunghi della storia, è ancora troppo recente per formulare giudizi compiuti: lascio agli storici questa incombenza. Non posso tuttavia esimermi dall’affermare che le sentenze di condanna senza appello, da una parte o dall’altra, senza un processo e, in questo caso, parliamo appunto del lunghissimo processo della storia, hanno il sapore della dittatura coreana, che fucila con la mitragliatrice o brucia con il lanciafiamme chi la pensa diversamente.
Di quel periodo, ho un personale ricordo: forse proprio perché l’ho vissuto, pur con la consapevolezza limitata di un bimbo di cinque anni, oggi mi ritrovo ad amare le storie di Guareschi, ad amare Peppone e Don Camillo ed il loro “mondo piccolo” sulla riva destra del Po … Anche San Marino era un mondo piccolo, dove il Parroco e il Sindaco comunista si fronteggiavano, parafrasando quel panorama internazionale su cui era calata la cortina di ferro.
C’era però un problemino più grande di noi: un’Italia alleata saldamente con gli Stati Uniti d’America, che non poteva più tollerare quell’anomalia politica per l’occidente, che si protraeva a San Marino dalla caduta del fascismo. E’ così che erano finiti i soldi, che non si pagavano gli stipendi e si andava a far la spesa alla bottega con il “libretto” per segnare il debito.
Anche l’idea della Casa da gioco, realizzata ingenuamente senza cercare di coinvolgere almeno qualche realtà italiana, si era rivelata un rimedio peggiore del male e, così, l’eterna lotta fra il Parroco e il Sindaco, stava per assumere i toni della tragedia.
Non travisate, vi prego, questo paragone con i personaggi di Guareschi come una mancanza di rispetto da parte mia per i politici dell’epoca: la sdrammatizzazione non è diretta a loro, ma a quei cittadini, perlomeno imprudenti, che si sono sentiti di dare un giudizio storico tanto perentorio quanto fuori luogo.
Credetemi, giovani di oggi, che avete fatto della rete virtuale il vostro Vangelo: erano tempi drammatici. Ingerenze esterne da ambo le parti, interessi politici che sconfinavano nella diatriba in atto fra le grandi Nazioni : io penso che, in realtà, siano stati tutti molto bravi, ognuno nel proprio credo, a non far degenerare una situazione che poteva sfociare in una piccola ma drammatica guerra civile.
Ricordo le ronde, alla sera, nel Borgo, con le doppiette in spalla, ricordo il palo alla porta di casa, il volto preoccupato di mia madre: già, perché, a Rovereta, c’era anche mio padre, Federico Carattoni, un uomo di cui vado fiero.
Molti di quei personaggi hanno retto poi la Repubblica per un lungo periodo di benessere e prosperità e lo hanno fatto senza che si potesse parlare di ruberie: rimpiango il livello politico di quegli uomini e penso che oggi ne avremmo più bisogno che mai.
C’è solo una parola per definire un’istanza che non riveste “pubblica utilità” , che offende la memoria di concittadini defunti e pretende di stabilire verità storiche ancora incompiute: inammissibile.
Quando lo scagnozzo di Peppone, cercò di attaccare alla porta della chiesa un cartello con su scritto “sciopero generale di protesta”, Don Camillo lo strappò, andò a casa del Sindaco e glielo tirò in mezzo ai piedi dicendo: “te lo puoi inchiodare al cervello, quello sì, che è in sciopero generale!”

 

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