Ecco il discorso di dimissioni pronunciato da Matteo Fiorini durante la seduta del Consiglio Grande e Generale.
Eccellenze, colleghi Consiglieri,
inizio le mie riflessioni rileggendo un passaggio del mio intervento in comma comunicazioni dello scorso 5 giugno, 2 giorni prima dei fatti avvenuti nell’ufficio di presidenza dello scorso 7 giugno che hanno portato alle mie dimissioni.
Riflettevo insieme a voi in quest’aula, 2 giorni prima, in questo modo: “la politica non può prescindere dalla capacità di dialogo. Alla politica del dialogo si contrappone un altro tipo di politica, che è quella dello scontro, dell’aggressione e di demonizzazione delle idee degli altri, e poi quando non è sufficiente demonizzare le idee si iniziano ad aggredire e demonizzare le persone che portano avanti quelle idee. È innegabile che da due anni e mezzo a questa parte nel paese, la politica del dialogo sia stata schiacciata da un altro tipo di politica, con responsabilità suddivisibili in più parti.”
Riflettevo anche che “di questo clima di scontro continuo e aggressione ci soffrono maggiormente le persone perbene, mentre gli squali si trovano perfettamente a loro agio”. E concludevo il mio intervento dicendo che “ero convinto che la stragrande maggioranza delle persone dentro quest’aula non amino questa modalità, e possano ancora lavorare senza necessità di crearsi nemici o demoni”.
2 giorni prima dicevo queste cose. 2 giorni dopo, nel normale ed educato esercizio di un mio diritto, che era quello di esprimere un’opinione davanti ai Reggenti e ai Rappresentanti Consiliari in Ufficio di Presidenza, venivo aggredito in maniera maleducata, offensiva e volgare.
E non all’interno di una “lite furibonda” come ha voluto rappresentare qualcuno. Nessuna lite, un’aggressione unilaterale.
E spero che nessuno voglia minimizzare l’accaduto. E nessuno possa nascondersi dietro un “non c’ero, non posso prendere posizione, perché non so come è andata”.
È andata così: in un clima di tensione e dialettica, definirei normale rispetto al periodo che viviamo, ho espresso la mia posizione, dicendo che in quella fase la maggioranza si doveva assumere da sola la responsabilità di un passaggio (il deposito della legge cosiddetta “salvabanche” sulle risoluzioni) che invece pareva si potesse fare con la firma di tutti, di fronte ai rifiuti che stavano emergendo. Ciavatta, di fronte a ciò ha esposto in un crescendo di toni le sue argomentazioni, culminate con un insulto e un epiteto (ripetuti più volte) entrambi afferenti, diciamo così più ad ambiti intestinali, che altro.
È poi uscito, lasciando colleghi e Reggenza sbigottiti. L’ho rincorso per le scale, chiedendogli di tornare indietro a scusarsi con la Reggenza (prima ancora che con me).
Lui si è rifiutato. Rientrato in udp, scioccato e provato dall’accaduto, e emotivamente scosso, credo in 41 anni di non aver mai vissuto un’aggressione verbale così violenta e inaspettata, ho chiesto una censura per ciò che era appena successo, minacciando le dimissioni se ciò non fosse avvenuto.
Ciò è avvenuto dai colleghi Morganti e Ciacci, dall’opposizione non è avvenuto, e dopo aver ascoltato vari arrampicamenti sugli specchi, ho ribadito che vista l’assenza di una presa di distanza netta mi sarei immediatamente dimesso. Silenzio imbarazzante. Per come sono fatto, non potevo fare altro di fronte a ciò.
Così come trovo imbarazzante il silenzio di tanti consiglieri di quest’aula i giorni successivi. Ma tant’è.
Uso 2 figure per provare a esprimere un’analisi:
quando nelle fasi che precedono un temporale le nubi si condensano, esiste un processo di accumulo di energia graduale, invisibile ai più, che poi si esprime nell’istantaneità del lampo, del fulmine, che è la conseguenza e la scarica di quel lento accumulo di energia.
Quando un quadro cade dalla parete avviene in un attimo, un millesimo di secondo prima è ancora appeso, magari da anni, e un millesimo di secondo dopo è a terra. Prendo in prestito questa immagine da un noto scrittore. E come avviene quella caduta a terra del quadro, visibile agli occhi di tutti?
Avviene attraverso un lungo processo, invisibile ai più, e in particolare a chi non può o non vuole vedere, di incrinatura del chiodo, di piccole fessurazioni dell’intonaco, piccole crepe nel muro. Millimetriche, eppure alla lunga decisive.
L’episodio dell’aggressione da me ricevuta in ufficio di presidenza, è il lampo che tutti vediamo, il quadro che cade, ma da tempo in quest’aula molti si sono accorti e hanno denunciato, inascoltati o derisi, le minuscole crepe nel muro che avrebbero inevitabilmente portato a questo.
E siccome credo che il Consigliere Ciavatta non sia né un demone né un nemico, non ha molto senso concentrarsi tanto sulla caduta del quadro ma sul processo che ha portato a questo. E soprattutto, diciamolo francamente, su come si sia arrivati al fatto che, di fronte a quanto accaduto, abbia prevalso negli altri rappresentanti consiliari presenti, la volontà di difendere l’alleato politico aggressore piuttosto che l’avversario politico aggredito.
Quando è iniziato il processo per cui il rispetto delle istituzioni, l’osservanza di alcune regole, molte di queste non scritte, hanno iniziato a soccombere di fronte agli interessi più volgarmente di bottega, di convenienza politica di breve termine?
Quando abbiamo tutti in quest’aula, iniziato ad essere assuefatti rispetto a questa deriva?
Quali sono queste crepe che inosservate hanno portato alla caduta del quadro?
Faccio una premessa, per non passare da bacchettone: nessuno dei comportamenti che dirò, di per sé, è per forza una mancanza di rispetto per le Istituzioni, ognuno di questi (preso singolarmente) è persino capibile o giustificabile, se compiuto come atto forte di protesta, estemporaneo. Come eccezione alla regola.
La politica è fatta infatti anche di momenti forti, di protesta, di gesti simbolici, o provocatori.
È la somma di tutti, è la ripetitività, è lo sdoganare la provocazione come normalità, che logora le istituzioni, che intimidisce le persone, e porta tante micro crepe affermando un nuovo modo di fare politica, che rinuncia ad alcune regole e ne autorizza altre.
Ognuno ha la sua percezione e sensibilità su questo, e l’espressione “rispetto delle regole” e “rispetto delle istituzioni” alla fine può avere significati diversi fra gli uni e gli altri.
Però negli ultimi tempi molto spesso ho sofferto di fronte ad alcuni episodi ripetitivi.
È rispettoso per le istituzioni definire a più riprese, per anni, dei rappresentanti del popolo legittimamente eletti “spingibottoni”? è stato fatto più volte e tollerato.
è rispettoso uscire dall’aula durante un discorso di fine mandato della Reggenza al Consiglio Grande e Generale? Anche questo abbiamo visto.
È rispettoso delle istituzioni uscire dall’aula mentre un consigliere legittimamente autorizzato a essere in quest’aula come tutti noi, pronuncia il suo intervento?
È rispettoso verso le Istituzioni che ai richiami dei Reggenti, sempre di più ultimamente, si risponda con toni spesso irriverenti? Che non ci sia più alcun riconoscimento del ruolo di vertice istituzionale?
È rispettoso quello che è avvenuto, in particolare sulla partita della Giustizia, che in ambiti istituzionali si usino minacce, denunce, querele, comportamenti che antepongano ragioni di parte al rispetto delle regole?
O il giocare a nascondino in corrispondenza degli appelli, raccontandosi che garantire il numero legale in quest’aula sia un compito solo di alcuni consiglieri e non di tutti gli eletti (che ricordo rispondono a una convocazione, anzi a un ordine della Reggenza).
Mi spingo anche oltre e qui voglio essere bacchettone: È rispettoso verso le istituzioni che alcuni consiglieri, anteponendo il loro personale concetto di laicismo, regolarmente non partecipino a riti istituzionale che prevedono momenti alla Pieve, tipo il rito di elezione dei Capitani Reggenti? Non rendendosi conto che in quel momento la Pieve è luogo Istituzionale (oltre che, per chi crede, di culto).
È rispettoso delle istituzioni che in quest’aula, dietro il paravento dell’immunità, si facciano allusioni, accuse, spesso a persone non presenti e che non possono difendersi?
Ripeto: sono tutti comportamenti che, presi uno a uno, in modo estemporaneo, possono avere una ragione e possono essere un’eccezione al quadro di regole che ci siamo dati.
Ma la riflessione è necessaria, poiché il nostro quadro istituzionale è un patrimonio INTANGIBILE ma Importantissimo per il nostro Stato.
Non abbiamo petrolio, né materie prime, ma l’Unesco ci dice che il nostro Patrimonio è il valore intangibile della nostra unicità di città—stato che vive di Istituzioni uniche, che vive di riti, di tradizioni, e che tutti noi, che non abbiamo tanto altro alla voce “ricchezza”, dovremmo sempre rinnovare: anteponendo il patrimonio di secoli alle necessità del momento, della polemica singola, dell’episodio contingente.
Io credo che in quest’aula siamo tutti molto bravi a usare le parole, parole che hanno caratterizzato anche i giorni seguenti rispetto al fatto in Ufficio di Presidenza, parole molto belle (e che ho apprezzato e di cui ringrazio) da parte di SSD e Civico 10, oltre che ovviamente dal mio movimento politico.
Parole invece che in mezzo a tentavi di scuse (ai reggenti per carità, a me invece no) hanno tirato fuori altri sassi da lanciare o persino una ricostruzione vittimista in base alla quale il consigliere Ciavatta sarebbe caduto in un tranello teso ad arte.
Bene, oggi possiamo dirne tante altre di parole.
Io solo so come mi sono sentito in quel momento e come ho creduto, istintivamente e in ragione della mia personale percezione e situazione, che occorresse di fronte a quanto accaduto non più parole, un GESTO.
Un gesto forte, certo, che può apparire più di resa che di impegno, più di sconfitta che di lotta, ma che al contrario credo possa e debba essere un segno chiaro, irrevocabile.
Non per censurare un singolo comportamento, non è questo che a me interessa. Anche perché, come ho fin da subito scritto nella lettera ai Reggenti, “momenti di ira sono umani” e immagino che ci possa anche essere modo di superare da parte mia e di Roberto Ciavatta l’accaduto, ma a mio avviso occorre una riflessione forte, fatta non solo di parole ma di gesti, sul livello di accettazione generale del modo di fare politica.
Accettazione generale.
in quell’udp, i membri di opposizione presenti di fatto hanno autorizzato Ciavatta, ex post, a comportarsi così, giustificandolo e non riuscendo a fare una cosa semplicissima: cioè dire “noi siamo con lui, condividiamo la sua opinione, ma ci dissociamo da questo comportamento”.
Io avevo chiesto questo agli altri consiglieri presenti, una presa di distanza netta, senza la quale avevo annunciato che mi sarei dimesso per protesta e per denuncia. Non sono riusciti a fare nemmeno questo, ex segretari di stato, ex reggenti non sono riusciti a fare nemmeno questo. Solo per difendere un interesse di breve termine, il potenziale leader che potrà loro dispensare gratitudine in un futuro prossimo. L’ho trovato un comportamento pusillanime.
È chiaro quindi che con amarezza oggi, a maggior ragione, riconfermo la mia scelta.
Con dispiacere, in primis verso il mio partito, verso la mia coalizione, riproponendomi di continuare con immutato impegno a dare il mio contributo in altri ruoli, in primis quello di Coordinatore di Repubblica Futura.
Questa scelta è sofferta, e se finora ho addotto principalmente motivazioni “oggettive”, che tutti possiamo vedere, non posso nascondervi anche la forte incidenza di un piano più soggettivo, più personale di questa scelta.
Tutti noi sperimentiamo sempre di più la difficoltà di portare avanti il ruolo: la fatica la Responsabilità, talvolta la frustrazione di non essere all’altezza dei difficilissimi compiti, la difficoltà di conciliare un impegno crescente con la propria professione, con la famiglia, con il prendersi cura di sé. Tutte queste componenti rendono soggettivo il livello sotto il quale non si può scendere nell’accettare eventuali deviazioni rispetto le regole del gioco.
Quest’ultima considerazione, oltre a tutte le altre, rafforza e sostiene anche tutti gli altri ragionamenti fatti.
Sono combattivo, ma non rancoroso, esco da quest’aula molto avvilito e preoccupato per quella che a mio parere è una deriva, preoccupato ma non pessimista, poiché confido che si possa e si debba, ciascuno per quanto può, fare la propria parte per continuare a servire il nostro paese facendo tesoro degli errori e proteggendo maggiormente e recuperando cultura istituzionale, ripartendo da questo episodio. Per preservare la nostra essenza, che può essere per noi una fragilissima, ma inestimabile, ricchezza.
Grazie Eccellenze.