Riccione: Pelliccioni, truffatore ma non camorrista

Riccione: Pelliccioni, truffatore ma non camorrista

Ieri mattina il Tribunale del Riesame ha annullato a Flavio Pelliccioni quella parte dell’ordinanza di custodia cautelare relativa alla partecipazione esterna al clan dei Casalesi.

Restano però le accuse di truffa, falso e riciclaggio.

Il faccendiere riccionese potrebbe presto lasciare il carcere di Avellino dove si trova rinchiuso.

Pelliccioni fu arrestato lo scorso 6 dicembre dalla direzione investigata antimafia, nell’ambito dell’operazione “Il principe e la ballerina”, che ha portato in carcere 52 persone e vede indagato anche l’ex sottosegretario del governo Berlusconi Nicola Cosentino.

Un’indagine gigantesca che ha portato alla luce gli intrecci tra politica, affari e criminalità organizzata.

Per gli inquirenti il romagnolo era una di quelle persone che si erano messe a disposizione dell’organizzazione per ottenere sul mercato creditizio le garanzie per consentire al clan camorristico di realizzare il mega progetto, mai realizzato, di un enorme centro commerciale a Casal di Principe.

Gli imprenditori avevano previsto per questa operazione un investimento di 43 milioni di euro.

Gli investigatori hanno inoltre individuato altri 2 filoni importanti, quello della gestione del ciclo di calcestruzzo e del controllo del voto per le elezioni amministrative 2007 e 2010, dove la criminalità organizzata è riuscita a sbaragliare la concorrenza.

L’impresario riccionese, durante l’interrogatorio con il magistrato, ha svelato che il conoscente di un conoscente gli presentò un ingegnere dall’aria facoltosa che cercava fideiussioni per garantire il finanziamento di una grossa operazione immobiliare.

Pelliccioni, non sapendo che quello era solo uno dei colletti bianchi del clan, aveva solo fiutato l’affare che sarebbe consistito nella sostanziosa provvigione.

Solo dopo aver incassato un milione di euro scopri chi tirava i fili e a quel punto se l’era fatta addosso dalla paura tanto è vero che i documenti rifilati all’ingegnere erano solo carta straccia.

Gli inquirenti sostengono che i camorristi non si sono vendicati perché avevano ottenuto il finanziamento ugualmente grazie alle pressioni di Cosentino e ad alcuni funzionari della banca che c’erano dentro fino al collo.

Fonte: “Il Resto del Carlino”

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