San Marino. Assoluzioni per difetto di dolo, cosa rischia lo Stato

San Marino. Assoluzioni per difetto di dolo, cosa rischia lo Stato

L’informazione di San Marino

Lo stato rischia di dover restituire soldi ritenuti frutto di ricettazione estorsione e sequestro di persona

Antonio Fabbri

Se la battaglia legale iniziata davanti al giudice della revisione fa leva sulle assoluzioni per difetto di dolo e chiede di eliminare anche le statuizioni rimaste sulla
confisca, il che comporterebbe il paradosso della retrocessione da parte dello Stato di soldi sporchi riconosciuti come tali dallo stesso tribunale (L’informazione di lunedì 6 febbraio), una battaglia parallela riguarda un altro caso specifico ed è in corso davanti al Collegio Garante di Costituzionalità delle norme, del quale è attesa la decisione.

Il caso è quello di Michelangelo Fedele, originario di Reggio Calabria, ritenuto collegato alla ‘ndrangheta, mandato in soggiorno obbligato in provincia di Livorno, dove è oggi residente e dove negli anni ha accumulato, per l’accusa illegalmente, beni e utilità. Proprietario di una fortuna in immobili, oltre 100, e ricchezze, che l’accusa ritiene frutto dell’attività illecita, ha visto di recente, proprio in funzione del processo sammarinese, l’autorità italiana mettere sotto sequestro molti dei suoi averi, dopo aver aperto una inchiesta a carico del settantenne. 

In particolare a San Marino l’uomo è stato condannato in primo grado nel settembre 2015 per possesso ingiustificato di valori. Sette mesi e confisca dei denari sotto sequestro, in quanto “dopo la condanna per i reati di ricettazione, sequestro di persona ed estorsione era in possesso di 457.900,72 euro di cui non era giustificata la legittima provenienza”.

Ora lo Stato, proprio questi soldi considerati frutto di questi gravi reati, potrebbe essere costretto a restituirli. Infatti Fedele, come aveva già fatto in primo grado, ha sollevato l’eccezione di costituzionalità contro la norma che lo ha visto prima incriminato e poi condannato con la conseguente confisca delle somme “sporche”.

In primo grado, tuttavia, il giudice Gilberto Felici aveva dichiarato non fondata (manifestamente infondata, in termini giuridici) l’eccezione di costituzionalità ed aveva proseguito con il processo fino alla condanna. In appello, invece, il giudice David Brunelli ha ritenuto fondata (non manifestamente infondata, in termini giuridici) la questione di costituzionalità. 

Nel ricostruire i motivi di appello il giudice Brunelli riporta che l’appellante ha evidenziato che con la norma sul possesso ingiustificato di valori, si creerebbe un “regime differenziato” tra chi ha subito una condanna e chi no. In più nell’articolo 199ter, secondo l’eccezione di costituzionalità dell’appellante, ci sarebbe “non solo una vistosa deroga al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza dell’imputato, incidendo anche sul suo diritto di difesa (che include il diritto al silenzio), ma in particolare, avrebbe riservato un odioso trattamento deteriore ad una ristretta cerchia di soggetti” contravvenendo “al principio di uguaglianza”.

Per il giudice di primo grado che aveva dichiarato non fondata l’eccezione, non vi sarebbe invece nessuna violazione del principio di uguaglianza, mirando la norma a colpire i
vantaggi patrimoniali “collegati a fenomeni criminali estremamente allarmanti e pervasivi, non potendo consentire in alcun modo che la ricchezza criminale a tali fenomeni sia reimpiegata per inquinare l’economia ed i meccanismi concorrenziali, ma neppure posseduta e consolidata quale patrimonio da singoli individui”.

Il giudice di appello, David Brunelli – che deve fare i conti pure con la prescrizione, ma comunque dovrebbe decidere sulle somme in sequestro – si è detto non persuaso dalle motivazioni sull’infondatezza della questione dichiarate dal giudice di primo grado. Così ha trasmesso gli atti al Collegio Garante che dovrà decidere sulla costituzionalità o
meno dell’articolo 199ter.

E’ qui che sorge il problema della restituzione dei denari “sporchi”. Infatti in caso di dichiarazione di incostituzionalità della norma, la condanna decadrebbe, comprese le statuizioni sulla confisca, e lo Stato dovrebbe restituire i denari che però ha attestato essere frutto di “ricettazione, sequestro di persona ed estorsione”.

La valutazione è dunque delicata, tanto più che il Collegio Garante esamina una questione meramente di diritto, senza valutare né conoscere il merito del procedimento, i fatti alla base della decisione, le prove su cui si fonda la sentenza.

La decisione dei Garanti riguarda un conflitto di norme, di principi di diritto, che però ha, in questo caso, una conseguenza molto concreta.

Ciascuno valuterà, se del caso, quanto giusta o equa -considerato che lo Stato sarebbe costretto a restituire i denari frutto di crimini che esso stesso ha riconosciuto come tali- possa essere la restituzione del provento di reati socialmente allarmanti come l’estorsione o il sequestro di persona. Anche perché, probabilmente, l’estorto o il sequestrato faticano a capire quando una norma è incostituzionale, ma comprendono benissimo quando una decisione è ingiusta.

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