San Marino. “Capire è un diritto, farsi capire un dovere”

San Marino. “Capire è un diritto, farsi capire un dovere”

Raccogliamo l’invito rivolto ieri da Orietta Ceccoli, che stimiamo per la serietà e l’accuratezza con cui esplicita le sue opinioni e interveniamo per esprimere la nostra solidarietà a Lei e agli altri concittadini che sono stati raggiunti da una comunicazione del Tribunale per avere scritto su La Serenissima.
Riteniamo che a San Marino tutti, proprio tutti, siano concordi sul fatto che la libertà di esprimere la propria opinione in forma orale o scritta è garantita. Lo sancisce a chiare lettere dal 1974 l’articolo 6 della nostra Dichiarazione dei diritti e dei principi fondamentali dell’ordinamento.
E’ altresì garantito il diritto a chiunque di presentare esposti in Tribunale se lo ritenga necessario e sta al Magistrato valutarne la fondatezza.
Detto ciò, sentiamo il dovere di ricordare che in qualsiasi Paese democratico un cittadino può scrivere un testo e mandarlo a un giornale perché sia pubblicato.
Questa possibilità è garantita a chiunque, non soltanto a chi faccia il giornalista di professione.
La responsabilità della pubblicazione spetta al Direttore Responsabile di quel giornale che ne valuta il contenuto. E’ il Direttore che ha “la responsabilità penale e civile, rispetto ai contenuti del prodotto editoriale” in base all’art. 3 della Legge 5 dicembre 2014 n. 211 Legge in materia di editoria e di professione degli operatori dell’informazione.
Ci si chiede allora perché il Magistrato abbia trasmesso una comunicazione giudiziaria ad alcuni concittadini, “indagati” per aver espresso in forma scritta le loro opinioni su La Serenissima.
E perché il Magistrato ha ritenuto di sottoporli ad indagine?
Il Commissario della Legge richiama l’art. 385 del Codice Penale che recita “Chiunque indebitamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, è punito con l’arresto di terzo grado. In caso di reiterazione si applica la prigionia di primo grado.”. Ma dov’è l’indebito esercizio della professione se non si scrive per mestiere, ma per passione civile?
Forse siamo di fronte ad un clamoroso equivoco.
La legge del 2014 ha disciplinato doverosamente la professione di operatore dell’informazione. Ma da qui a stabilire che, se uno non è un giornalista abilitato, non abbia più il diritto di scrivere un articolo su un giornale ce ne passa! E non c’è alcun elemento nella legge che lasci intendere che questa fosse la volontà del Legislatore.
Peraltro è sotto gli occhi di tutti coloro che leggano la stampa italiana ed internazionale che moltissimi articoli sono pubblicati a firma di ‘esperti’ di una materia o di editorialisti ed opinionisti che di mestiere fanno i politici, i cantanti, i fisici, gli scrittori, i docenti universitari, ecc.
Penso anche che se il Magistrato avesse avuto il dubbio che la legge del 2014 potesse essere intesa in questo modo così restrittivo, palesemente in contrasto con la garanzia di libertà di espressione del pensiero e delle opinioni di ogni cittadino, avrebbe potuto sollecitare una interpretazione autentica o una verifica della rispondenza di quella legge ai principi fondamentali dell’ordinamento fissati dalla legge del 1974 e successive modifiche che prevedono e disciplinano la verifica di costituzionalità delle norme anche su iniziativa di un singolo Magistrato.
E il Magistrato, che giudica secondo scienza e coscienza, non ha anche il dovere di valutare le conseguenze dei suoi atti? Indirizzare comunicazioni giudiziarie, così come è stato fatto, a cittadini che – per fortuna – non si dimenticano che la democrazia si nutre del confronto delle idee e che si prendono la responsabilità di condividere le proprie convinzioni con gli altri, è un atto che ha prodotto degli effetti sul piano sociale: timori ingiustificati in alcuni e reazioni rabbiose in altri. In ogni caso ha introdotto un elemento tossico nel libero dispiegarsi dell’impegno civile dei sammarinesi.
E che dire del tempo e delle energie impiegate per condurre l’indagine a carico di questi cittadini, responsabili soltanto di essere ancora cittadini ossia partecipi della cosa pubblica?
Abbiamo cercato di documentarci e scrivendo queste semplici riflessioni abbiamo preso posizione pubblica, come ha chiesto Orietta nel suo appello di ieri. Eppure continuiamo a non capire, a non trovare una giustificazione per questa decisione del Commissario della Legge che ha sortito il risultato di portarci tutti a riflettere sul valore della libertà di esprimere le proprie opinioni e di quanto possa essere vulnerabile questa libertà. E questo può essere un bene, ma solo questo!
Resta il fatto che capire è un diritto e farsi capire è un dovere etico che deve valere anche per la Magistratura.
 

Patrizia Busignani
Laura Rossi

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