San Marino. Da Sant’Agata a Leah: la bellezza della dignità

San Marino. Da Sant’Agata a Leah: la bellezza della dignità

Gioia Lanzi, del Centro Studi per la Cultura Popolare, ricorda la figura di Sant’Agata, rendendo omaggio ad un’altra ragazza martire, una delle giovani cristiane che furono rapite da Boko Aram nel 2018. 

 “Della Repubblica di San Marino, dove per altro il suo culto era già diffuso, sant’Agata divenne compatrona nel secolo XVIII: infatti il 5 febbraio 1740 la Repubblica poté recuperare la libertà perduta ad opera del legato pontificio Cardinale Giulio Alberoni, e vide riconosciuti i suoi diritti.

 – La santa è rappresentata durante il martirio, attorniata dai carnefici, oppure nel carcere e visitata da san Pietro.

– È patrona delle balie, delle madri che allattano, ed è invocata contro ogni malattia del seno. Inoltre protegge contro le eruzioni vulcaniche, il fuoco (anche quello del Purgatorio), gli incendi, i terremoti.

            Poiché si suonavano le campane per avvisare degli incendi, e inoltre la colata infuocata per fare le campane ricorda la lava, è protettrice delle campane, e sovente si trova su di esse la sua immagine.

– Attributo principale: una o due mammelle tagliate.

– Attributi secondari: le forbici, il coltello o tenaglie del martirio, il fuoco su cui fu rotolata, l’Etna in eruzione, il velo, i due motti.

Ma ci piace oggi accostare a questa martire che difese la sua fede a una delle giovani che furono rapite nel 2018, da Boko Aram.

Ce ne ha parlato recentemente proprio dalla Terra di Libertà, l’Antica Repubblica di San Marino, di cui Agata è patrona, don Mangiarotti. Ecco cosa scrive, nel giorno dedicato alla stampa libera, il 26 gennaio.

“È stato infatti il terzo Natale che ha passato nelle mani di Boko Haram, il più feroce gruppo terroristico islamico d’Africa. Venne rapita dal suo villaggio di Dapchi il 19 febbraio 2018 che aveva soltanto 14 anni. È l’unica ragazza cristiana tra le scolare di Dapchi che, nonostante avesse potuto essere liberata insieme alle compagne di scuola, ha rifiutato di convertirsi all’Islam.

Le ragazze che erano con lei hanno raccontato: “Boko Haram disse a Leah di accettare l’islam e lei rifiutò. Quindi dissero che non sarebbe venuta con noi e che sarebbe dovuta tornare a sedersi con altre tre ragazze che avevano lì. L’abbiamo supplicata di recitare la dichiarazione islamica, di mettere l’hijab e salire sul veicolo, ma lei ha detto che non era la sua fede, quindi perché avrebbe dovuto dirlo? Se vogliono ucciderla, possono andare avanti, ma lei non dirà che è musulmana”.

Lo ha confessato anche Muhammadu Buhari, il presidente della Nigeria: “Leah è ancora nelle mani dei terroristi perché, a loro dire, non ha abiurato la sua fede cristiana”. Siamo in terra di martirio quasi quotidiano. Pochi giorni fa un altro sacerdote cattolico è stato assassinato in Nigeria dopo aver detto messa. I media italiani di Leah parlano poco, quasi per niente. Fanno più titoli e clic le rapite dai terroristi che si mettono il velo e si convertono all’Islam. Nessun hashtag per Leah. E si fatica a trovare anche una parola di preghiera.»

Come rimanere insensibili di fronte a questa giovane, rapita a 14 (sì, quattordici) anni le cui amiche hanno ricordato questo loro pensiero: «L’abbiamo supplicata di recitare la dichiarazione islamica, di mettere l’hijab e salire sul veicolo, ma lei ha detto che non era la sua fede, quindi perché avrebbe dovuto dirlo?» credo che la vicenda di Leah ci dovrà stimolare a farci voce di tutti coloro che non si piegano di fronte a un potere che vorrebbe cancellare la loro identità, le loro convinzioni, i loro luoghi.

Per evitare che il pensiero dolorante e terribile del pastore Niemöller descriva il nostro presente: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Tempo fa lessi la poesia di Rimbaud, La canzone della torre più alta, e mi ha commosso il grido: «Oh, venga il tempo dei cuori che s’infiammano» con quel suo intraducibile «Ah ! Que le temps vienne / Où les coeurs s’éprennent.»!

 E come non pensare a quella giovanissima il cui cuore non cede alle lusinghe di una religione che la libererebbe solo se accettasse pure la menzogna di una finta convinzione. Che chi comunica al cuore dell’uomo sappia, come ha fatto Giulio Meotti, inabissarsi nel profondo della realtà e comunicarci la bellezza di chi preferisce la dignità al compromessoE che noi non abbiamo a dimenticare quegli sprazzi di luce che, col volto di una ragazzina, ci mostrano che cosa significa vivere senza vergognarsi.”

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