San Marino. Il futuro della formazione: una riflessione di Marco Vincenzi

San Marino. Il futuro della formazione: una riflessione di Marco Vincenzi

Una riflessione a tutto campo sul tema della didattica a San Marino, che parte dall’introduzione della settimana corta e arriva ad affrontare il ruolo degli insegnanti nel percorso di crescita degli studenti: è quella proposta in una lettera, che riceviamo e pubblichiamo, a firma di Marco Vincenzi.

Gentile Direttore,

mi rivolgo a lei affinché possa pubblicare questa mia lettera, che intende inserirsi nel dibattito che in Repubblica è nato dopo che il Segretario di Stato alla Cultura ha manifestato l’intenzione di portare da 6 a 5 le giornate settimanali di scuola.

Ho letto la lettera aperta del consigliere Giovanni Zonzini e vorrei aggiungere delle considerazioni, che sono il frutto di alcune mie esperienze e di ricerche e progetti svolti dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, a cui ho partecipato. Inoltre, sono stato presidente del consiglio d’istituto delle scuole medie di città negli anni in cui mio figlio le frequentava e questa ulteriore esperienza, insieme agli studi sociologici sull’argomento che ho sviluppato negli anni, hanno rafforzato le mie convinzioni su ciò che andrò per scrivere. Zonzini, oltre a ritenere inappropriato ridurre i giorni di scuola sulla base dell’opinione dei genitori quindi non per esigenze didattiche o pedagogiche, identifica due elementi critici nella scuola, “il declino delle competenze medie degli studenti” e “un aumento esponenziale di disagi psichici, disfunzioni relazionali e dipendenze patologiche da strumenti tecnologici fra i giovanissimi”. Io penso che il vero problema della scuola è che, forse non volendo, è diventata una liturgia e proprio per questo è assolutamente autocentrata, con la conseguenza che il referente ultimo è diventato se stessa e non più l’Altro, il giovane o la giovane a cui dovrebbe invece rivolgersi e per cui è stata pensata e costituta. L’Altro che frequenta la scuola non viene più considerato e trattato come un soggetto attivo, come uno specifico individuo, ma viene considerato come un modello ideale, un ruolo sociale, frutto delle impersonali aspettative sociali a cui deve tendere.

Quando quindi parliamo idealmente delle competenze e delle conoscenze che la scuola dovrebbe fornire agli individui non partiamo più dal riconoscimento specifico di ognuno di loro, ma da un ideal tipo che come società ci si aspetta la scuola determini o formi. Un modello stereotipato e uniformato di individuo predefinito dai programmi scolastici standardizzati e omologanti, da un metodo d’insegnamento che si fonda sul trasferimento di conoscenze predefinite, molto spesso superficiali e omologate, che non si costruiscono attraverso la partecipazione attiva di tutti gli interlocutori in un dialogo orizzontale dove il ruolo dell’insegnante è quello di accompagnare e facilitare la comunicazione al cui interno si costruisce la conoscenza nella logica del dialogo. Certamente ci sono argomenti che devono essere scoperti, ma non nella forma dell’indottrinamento, bensì utilizzando un metodo di studio che andrebbe calibrato su ogni singolo individuo, affinché questi possa intraprendere un processo di apprendimento critico, nel rispetto di sé, inteso come rispetto della propria autonomia personale. Una proposta concreta che possa favorire il cambio di rotta verso una scuola maggiormente inclusiva, che possa riconoscere e valorizzare le specifiche individualità mostrate dai giovani, senza ghettizzarli dietro definizioni, che a volte rasentano quelle di “disagiati pscichici” o di “disfunzionali nelle relazioni”, consiste nel promuovere la loro partecipazione attiva nel sistema scolastico; una partecipazione che favorisca le singole e specifiche forme di apprendimento e faciliti la costruzione di nuove conoscenze. Il metodo della facilitazione al posto di quello della trasmissione verticale, dall’alto al basso, da parte degli insegnamenti, potrebbe essere una prospettiva da intraprendere. Parlo di una metodologia che mira a promuovere la riflessione ed il dialogo nelle classi scolastiche e che ha ottenuto un notevole successo nelle scuole in cui è stata applicata. Una metodologia che utilizza azioni capaci di promuovere il dialogo con e tra gli studenti, la gestione dell’autorità, la gestione delle iniziative impreviste degli studenti e dei conflitti che ne nascono.

Infatti, mentre l’attuale sistema educativo svolge la funzione di formare la personalità degli studenti, da cui dipendono i presupposti di una certa forma di comunicazione, in particolare dell’insegnamento, che mira a costruire giovani rispondenti ad un modello stereotipato e omologato di conoscenze e competenze, il metodo della facilitazione ipotizza una struttura di interazione tra insegnanti e studenti che vada a sostituire quella gerarchica attualmente dominante nel sistema educativo. La questione è ridefinire l’educazione affinché venga “centrata sulla persona”: 1) prestare attenzione alle persone degli studenti, mitigando così le richieste di prestazione di ruolo, 2) orientarsi all’autovalutazione invece che alla valutazione esterna, attenuando la normatività del controllo dell’insegnante, 3) facilitare la partecipazione critica degli studenti, attenuando la gerarchia dei ruoli. Molti studi pedagogici hanno evidenziato come l’insegnamento possa prevedere la promozione della partecipazione critica degli studenti, favorendone così l’apprendimento.

Studi da cui è emerso come l’idea che gli studenti siano costruttori attivi di conoscenza, in grado di esprimere in modo critico le proprie prospettive e di esplorare opzioni diverse è una strada percorribile. In questa prospettiva, l’apprendimento è considerato un risultato dell’interazione tra insegnanti e studenti; interazione in cui gli insegnanti possono promuovere la partecipazione attiva degli studenti e gli studenti possono apprendere in base alla partecipazione a interazioni con insegnanti che cercano di promuovere la loro produzione autonoma di idee e progetti. L’apprendimento si sostanzia e prende forma, si costruisce, su un’interazione che produce un’influenza reciproca tra insegnante e studente. Il metodo della facilitazione si traduce come un “insegnamento dialogico”, nel quale gli insegnanti incoraggiano gli studenti a partecipare attivamente. Volendo sintetizzare in uno slogan quanto ho cercato di introdurre in questo mio scritto potremmo dire: per una scuola migliore, che provi ad affrontare le criticità emerse e che ormai tutti riconoscono, mettiamoci al lavoro con gli studenti, anziché per gli studenti.

Marco Vincenzi

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