“Siamo stati in silenzio ad ascoltare il dibattito convinti che il nostro comunicato stampa fosse allora, e sia ancora, esaustivo”.
Così scrive il Direttivo e lo Staff di Porta del Paese, aggiungendo: “Abbiamo ascoltato la discussione in Consiglio, quella sulla stampa; abbiamo ascoltato la conferenza stampa dei decisori. Pronti a ricrederci, a capire. Perchè lo capiamo che 5 classi segregate in un corridoio in salita, sacrificate agli uffici ubicati nella zona più suggestiva, non siano un bell’esempio di scuola.
Abbiamo sentito qualsiasi cosa e il suo contrario: dalle inesattezze sui numeri degli alunni a quelle sul presunto quanto inesatto spopolamento del centro storico di Città, reo di non aumentare la popolazione scolastica – fingendo con ció di ignorare che la zona residenziale di Città si sviluppa tra via Piana e Via Bonaparte con una concentrazione altissima in uno dei castelli più popolosi della Repubblica. Abbiamo visto contrapporre due realtà educative entrambe svilite dalla strumentalizzazione del dibattito. Abbiamo visto stravolgere i contenuti di una relazione sulla didattica, stilata da un gruppo di pedagogisti, in un piano tecnico, da protezione civile, di sfollamento di un plesso. Abbiamo sentito parlare di barriere architettoniche che vanno e vengono a seconda della destinazione d’uso dell’edificio. E di risparmi, quando per mettere a norma i locali per l’utilizzo che ne andrà fatto si dovrà investite fortemente.
Abbiamo sentito che i plessi più spopolati sono altri ma iniziamo proprio da quello di Città per una manovra che, ancora nel dibattito di ieri sera, non era per nulla definita se non nei suoi concetti generali.
Se si fosse davvero pensato al bene dei bambini e della loro socialità, insieme alla qualità della didattica e all’abbattimento dei costi, si sarebbero riempiti i plessi più capienti polarizzando in essi le scuole delle zone più prossime; in questa prospettiva la scuola elementare di Cà Caccio, costruita per contenere tre sezioni per ogni annualità, avrebbe potuto ospitare le classi di altri due plessi e, lasciando finalmente ai bambini gli spazi occupati dagli uffici (che erano stati progettati al piano superiore sopra la palestra), quella scuola avrebbe potuto tonare ad essere un luogo vivace sotto ogni punto di vista.
Intanto i plessi della Repubblica continuano ad essere strapieni o spopolati, salvo un’inevitabile riorganizzazione finale, complessiva – che è quella a cui un piano davvero futurista doveva forse già mirare prima di frammentare la malcapitata scuola di Città – indipendente dalla residenza degli allievi, con poli elementari che sposteranno le classi verso le strutture più nuove e più capienti.
Tutto un pastrocchio, insomma: perchè LO SCOPO NON È MAI STATO QUELLO contenuto nelle righe iniziali di questo scritto.
La serata di dibattito pubblico tenutasi postuma rispetto alla firma della delibera di accorpamento delle classi a Murata è l’ultimo sbeffeggio alla popolazione che ha sottoscritto con oltre mille firme, 1124 per la precisione, il proprio legittimo dissenso.
Prendiamo atto, dunque, che da ieri, con la delibera esecutiva, dopo la Condotta di Murata (che ha preso il posto della denominazione Città) e la Parrocchia di Murata (che ha sostituito la Pieve, esautorata dalle sua funzione), anche la Scuola Elementare di Città diventa di Murata.
È lo stesso Castello, ma non è la stessa cosa. Come non sarebbe uguale se tutti i servizi di Murata venissero traslati in Città.
Preveniamo i permali specificando che la “giurisdizione” della Associazione Porta del Paese è quella della “Parrocchia Pieve” delineata nei vecchi catasti (la quale delimitava il territorio di Città alta, dentro e fuori le Mura, e il Borgo commerciale). Pertanto l’Associazione nasceva, nasce, a tutela della Capitale istituzionale, della sua Storia, tradizione e Memoria – e di questi temi continua a farsi portavoce. E pare ce ne sia un gran bisogno dato che è una Capitale oramai evanescente, prendiamo atto anche di questo, poichè è stata spogliata progressivamente dei suoi simboli legati alla vita civica. Ma questa constatazione non è certamente una resa”.
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