San Marino. Quando ‘poteri forti’ erano i partiti, intervista a Giancarlo Ghironzi

San Marino. Quando ‘poteri forti’ erano i partiti, intervista a Giancarlo Ghironzi

QUANDO “POTERI FORTI” ERANO I PARTITI

LA POLITICA CHE GOVERNAVA IL TITANO

Poteri Forti. Oggi i politici sembrano tutti condividere la consuetudine di attribuire rovesci e sventure del Paese agli ineffabili Poteri Forti, senza mai esplicitare fatti e nomi ma soltanto sparacchiando insinuazioni su finanzieri milanesi o romani o materani, banchieri, imprenditori, professionisti, magistrati e magari vescovo, ambasciatore, servizi segreti, massoneria. Intendiamoci: intromissioni o almeno tentativi di fameliche ingerenze ci sono sempre stati. La differenza è che quando mi occupavo di politica i soli ed autentici Poteri Forti erano i partiti”.

L’analisi è di Giancarlo Ghironzi, anzi il Dottor Ghironzi in quanto medico sammarinese più celebre all’interno e fuori del territorio. Da anni in pensione eppure oggi come ieri motore di alcune tra le più prestigiose realizzazioni scientifiche e accademiche della Repubblica. Ghironzi è stato altresì un politico di alto rango, colonna istituzionale di uno Stato in progresso di credibilità. Democristiano, due volte Reggente, due volte titolare degli Affari Esteri e Politici, e poi delle deleghe di Finanze e Bilancio, di Industria, Commercio e Artigianato, dell’Informazione.

“Quando l’elettorato consegnava un mandato poderoso a un partito non c’era influenza che potesse entrare in competizione, anche perché San Marino non ha mai ospitato cattedrali industriali come Fiat o fabbriche militari e pertanto anche il più considerato detentore di un’iniziativa non poteva prescindere dal confronto con i partiti”.

I partiti esistono anche oggi.

“Certo, ne nascono anche dei nuovi. Nulla a che vedere con la realtà di un passato nemmeno troppo lontano. Quei partiti erano scuole di politica e disciplina. All’interno si poteva discutere, litigare, rimanere convinti della propria opinione. Ma il messaggio che scaturiva dal dibattito, ovvero quanto stabilito dal direttivo, era rigoroso, indiscutibile. All’esterno il concetto di unanimità diventava dogma. E questo sigillava gli spiragli contro ogni mira di qualsivoglia confraternita”.

Confraternita ovvero massoneria?

“No, il senso era generico. Riguardo la massoneria ho letto le dichiarazioni di Alvaro Selva: lui stesso racconta che trent’anni fa a San Marino i massoni erano meno di sette e che per riunirsi dovevano affiliarsi a logge romagnole e marchigiane. Sono stato Capitano Reggente assieme a Federico Micheloni, eravamo entrambi medici, eppure mai una volta mi ha parlato di massoneria. Ho conosciuto anche Giacomo Maria Ugolini, è venuto a trovarmi alcune volte in Ospedale perché aveva bisogno di qualche esame: lo ricordo come una persona gentile, rispettosa, mai una parola su cappucci o grembiulini. Evidentemente non ero ritenuto un interlocutore fertile per certi argomenti”.

Selva ha accostato la figura di Ugolini anche ad ambienti dell’intelligence. Lei, negli incarichi istituzionali, si è mai sentito spiato?

“C’è sempre qualcuno che ci spia, in ogni ambito. Ho sentito parlare di un interessamento specifico, diciamo professionale, soltanto una volta. Io ero agli Esteri e il conte Mario Pinci, nostro ministro plenipotenziario a Parigi, mi avvertì: Segretario faccia attenzione, il suo telefono è controllato”.

Congettura o certezza?

“Pinci aveva lavorato per l’intelligence in periodo di guerra. Sapeva il fatto suo”.

Lei corse ai ripari?

“No, risposi: prima o poi si stancheranno di ascoltare. D’altronde non erano tempi di impegnativi segreti: ad esempio la finanza era monitorata dall’esterno con le operazioni di credito controllate dalla Banca d’Italia”.

Sempre buoni rapporti con i vicini di casa?

“Sì, la nostra Repubblica risiede nel cuore dell’Italia, vige un trattato di buon vicinato, il nostro generale incremento è basato su criteri di accordi. Rammento i rapporti della mia epoca con i diplomatici italiani qui accreditati, davvero esemplari, soprattutto con gli ambasciatori Nicola Lo Russo Attoma e Vittorino Rotondaro, il principio di base era il bene di San Marino è il bene dell’Italia”.

Sovranità limitata?

“La nostra sovranità è assoluta. Ma l’esercizio della sovranità deve attenersi ai limiti sottoscritti con gli accordi bilaterali. E questo vale per tutti i Paesi: si cresce e ci si tutela attraverso i negoziati. Non possiamo mai escludere e nemmeno trascurare il dialogo con l’Italia e con l’Europa. Si tratta di priorità, poi ben vengano le convenzioni con Andorra e Monaco e le intese con il resto del mondo”.

Prima ha citato il controllo del credito esercitato un tempo dalla Banca d’Italia. Sovranità è anche una Banca Centrale.

“Certo, la Banca Centrale deve però operare con competenza e meticolosità, deve stabilire regole imprescindibili a fronte di indubbie garanzie di protezione: risultati che si ottengono dialogando con la Banca d’Italia, con la Banca Europea. In mancanza di norme sancite siamo tutti a rischio. L’esempio più doloroso, per quanto mi riguarda perché si riferisce a un caro amico che la prigione stava psicologicamente disintegrando, è quello di un commercialista condannato a 4 anni e un mese di carcere per riciclaggio: una vicenda che lascia presumere assenza di percorsi concordati, carenza di norme condivise. Il magistrato applica la legge: è la politica che deve fissare regole che consentano di muoversi senza violarla”.

La politica o la direzione di Banca Centrale?

“Il governo è espressione della classe politica scelta dal popolo. La buona politica progetta, assieme agli organismi tecnici, tragitti corretti e funzionali. Banca Centrale è un organismo tecnico che non fa bene il proprio lavoro. Lo stesso Capuano ha denunciato regole generali non chiare. E Capuano è solo l’ultimo della serie tra direttori e presidenti avvicendati, allontanati o fuggiti: una strabiliante collana di errori. Compreso quello della nomina di Wafic Grais: un presidente egiziano per dialogare con l’Italia e con l’Europa! Suggerirei di prediligere sempre funzionari europei. Persino Giulio Tremonti nella sua burbera recente intervista a Sergio Barducci ha sottolineato tale stravaganza”.

Tremonti è un po’ l’emblema dei dissapori progressivamente sopraggiunti con i vicini di casa.

“Certo che una volta le relazioni con la stanza dei bottoni italiana erano tutt’altra musica. Sempre merito soprattutto dei partiti che plasmavano corsie preferenziali. Trattare con il segretario della DC Benigno Zaccagnini o con Giulio Andreotti era semplice e diretto. Ricordo l’aprile del 1978 quando a seguito del sequestro di Aldo Moro andai a manifestare la solidarietà sammarinese. Incontrai prima Zaccagnini poi il presidente del Consiglio Andreotti: ero nel suo ufficio quando lo avvisarono del ritrovamento di un comunicato delle Brigate Rosse che indicava il lago della Duchessa quale luogo dove cercare il cadavere di Moro. La reazione di Andreotti fu immediata, disse: è falso non diamogli retta, sorprendendo me e i suoi informatori. Qualche giorno dopo il documento si rivelò effettivamente fasullo, null’altro che un tentativo di depistaggio delle indagini. Andreotti aveva avuto un’intuizione stupefacente”.

Ritiene ci sia speranza di ristabilire l’antica cordialità con l’Italia?

“Ci si può provare, attraverso un dialogo sempre più assiduo. Un esempio: si parla di monorotaia San Marino-Rimini finanziata da investitori cinesi. Non entro nel merito dell’operazione per la quale potrei nutrire notevoli dubbi considerandone l’invasività; mi limito a menzionare l’esigenza di un preliminare e approfondito confronto con Rimini, con la Regione Emilia-Romagna, persino con l’Europa, che deve essere partecipe su certi temi di così ampio interesse”.

Un’ulteriore riduzione di sovranità?

“Non sono queste azioni a mettere in discussione la sovranità. Casomai altre: io sono un cattolico eppure preferivo la situazione precedente al riordino delle diocesi. Una volta spettava a noi la conferma nella scelta dei parroci, l’exequatur, in quanto deputati anche a funzioni civili e pertanto tenuti alla fedeltà per la Santa Sede ma anche verso la Repubblica ospitante. Poi c’è stato il concordato voluto da Gabriele Gatti e le cose sono cambiate. È il vescovo di San Marino e Montefeltro a decidere, a sua discrezione. Ci sono prelati come l’attuale monsignor Andrea Turazzi garbatamente rispettosi delle nostre istituzioni. Ma ci sono stati anche vescovi artefici di singolari villanie protocollari”.

Gabriele Gatti, ovvero la sua spina nel fianco.

“Le spine sono state altre. Nel 1978 fummo sconfitti alle elezioni per una manciata di voti. Fu allora che proposi la grande svolta: sondare la possibilità dell’alleanza con il partito comunista. Seguirono anni di lavoro serio e determinato, vincolati a Clara Boscaglia, io più di tutti, da un legame di solida stima. Quando si presentò l’occasione di conseguire il risultato del compromesso storico, Clara si trovò a dover scegliere la formazione di cordata: da una parte il nostro gruppo, gli adulti che si erano dedicati al disegno politico, dall’altra i giovani rampanti capeggiati da Gatti. Sappiamo tutti come andò a finire”.

Sente di aver commesso degli errori?

“Quello di aver sottovalutato l’impeto di Gatti e dei suoi gregari. Forse non ero concentrato a dovere: mi sentivo più medico che politico, quindi devitalizzato dai sensi di colpa di trascurare il camice. Sta di fatto che ci siamo lasciati surrettiziamente emarginare”.

L’impeto è la sola virtù che riconosce a Gatti?

“No, Gabriele è stato un politico formidabile, per un lungo periodo circondato da testimonianze di più o meno sincera adorazione. Clara era sicuramente consapevole dei rischi di certe intemperanze ma da abile burocrate riteneva che la sua postazione di titolare delle Finanze le garantisse di controllare e smorzare gli eccessi”.

Lei che sostiene l’imprescindibilità degli accordi con l’estero può negare che Gatti sia stato anche un eccellente negoziatore?

“È vero: un dinamico negoziatore. Gli esiti delle trattative vanno valutati a parte. Del concordato con la Santa Sede ho già parlato. Un altro risultato da quotare è quello relativo all’accordo radiotelevisivo. Fui io a denunciare il vecchio documento che ci imponeva la rinuncia. Con Gatti abbiamo riottenuto il diritto, che però ha consentito alla controparte di venire qui a creare una televisione più italiana che sammarinese. Poi guardiamoci attorno: quante macerie ha originato nei partiti e nel certificato di credibilità del Pese quel sistema di concepire la politica”.

Dottor Ghironzi, dopo la diagnosi prescriva la terapia.

“Il colloquio, le intese internazionali. Una terapia straordinariamente efficace soprattutto se si riuscisse a rimodellare taluni ordinamenti. Occorre un coordinatore, una figura unica di riferimento. Un tempo c’era il Segretario agli Affari Interni con la responsabilità amministrativa del Paese e c’era il Segretario agli Affari Esteri e Politici, l’interlocutore per l’esterno. Oggi assistiamo a una frammentazione di ruoli e a una segmentazione di mansioni: troppe Segreterie. Non ci serve il premier, basterebbe restituire appieno il potere di guida al titolare degli Esteri. La funzione dei Capitani Reggenti è importantissima ma la semestralità impedisce una razionale azione di coordinamento. Insomma, una sola voce. Che non si stanchi un attimo di dialogare con l’Italia, con l’Europa, con il mondo”.

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