San Marino. Riciclaggio di denaro della camorra, coniugi condannati, Antonio Fabbri

San Marino. Riciclaggio di denaro della camorra, coniugi condannati, Antonio Fabbri

Riciclaggio di denaro della camorra, coniugi condannati

Antonio Fabbri

Si è chiuso ieri con due condanne a carico di Emilio Izzo e della moglie, Monica Di Nuzzo, accusati di riciclaggio di denaro ritenuto di provenienza illecita, in particolare, secondo l’accusa, frutto di attività estorsive della camorra. Milioni di euro ritenuti provento di associazione camorristica, estorsione usura e reati tributari. Denari che secondo l’accusa venivano riciclati sul Titano. Il giro di soldi sporchi era cominciato dal 2001, quando, attraverso 36 operazioni per la somma complessiva di 2.200.614,18 euro, erano stati versati contanti su libretti al portatore, che all’epoca erano ancora legali ed erano stati accesi presso la Cassa di Risparmio.

Nell’udienza di ieri davanti al giudice Alberto Buriani è stato sentito il perito di parte che ha ricostruito numerose movimentazioni e documenti contabili. Evidentemente, però, la ricostruzione del perito, non ha convinto il giudice che, dopo circa mezz’ora di camera di consiglio, ha emesso sentenza di colpevolezza.

La requisitoria della Procura fiscale Nella sua requisitoria il procuratore del Fisco, Roberto Cesarini, ha sostenuto che l’indagine ha trovato conferma sia nelle carte processuali, sia nella documentazione pervenuta dall’Italia, sia da quanto emerso in sede dibattimentale. “Emilio Izzo è stato coinvolto in una indagine per reati di estorsione e associazione camorristica nell’ambito della realizzazione grandi opere”.

Il Procuratore del fisco ha ricostruito quale potesse essere il meccanismo per riscuotere il pizzo. Secondo l’accusa, le somme estorte venivano anticipate da una società riconducibile a Clemente Izzo, fratello dell’imputato, che poi riceveva i pagamenti dell’estorsione dalle società vittime e per giustificare il passaggio di denaro emetteva fatture false per fornitura di calcestruzzo. “Le società estorte non pagavano più direttamente il pizzo, ma consegnavano somme all’emissario dei clan che a loro volta consigliavano di rifornrirsi di calcestruzzo delle loro ditte. Era un modo per lavorare quasi obbligato con l’impresa di calcestruzzi degli Izzo”, ha ricostruito il Pf che, citando dichiarazioni di un pentito, ha sostenuto i collegamenti con i clan Belforte e Casalesi, ricostruendo il fatto che gli Izzo sarebbero “privilegiati nella fornitura del cemento perché direttamente collegati ai clan Belforte e dei Casalesi”. Il Pf ha sottolineato come le prove siano concordanti e la prova logica consenta di contestare il riciclaggio. “Le somme depositate a San Marino – ha detto il Pf – sono assolutamente di provenienza illecita dalle svariate attività che i fratelli Izzo hanno posto in essere in quel periodo”. Quindi la richiesta di condanna da parte della pubblica accusa è stata, per entrambi, a 5 anni e sei mesi, alla multa di 9000 euro e all’interdizione per 2 anni. Ha chiesto inoltre la confisca della somma sotto sequestro 1.931.936,20, più quella per equivalente.

La difesa Il difensore di Izzo, l’avvocato Picca del foro di Napoli, ha dal canto suo contestato che la prova logica, così come illustrata, non possa reggere al vaglio dei fatti: “Viene ricollegata l’attività del fratello finito condannato nel processo italiano, a quella di Emilio Izzo, la cui posizione è stata invece archiviata. Emilio Izzo non c’entra nulla con le attività del fratello Clemente e non è corretto tirarlo in ballo”. Quanto alla prova logica, l’avvocato difensore ha sostenuto che “più che prova logica è un sillogismo”. Di qui la richiesta di assoluzione per il proprio assistito. Per il legale insomma, non c’è la prova della provenienza illecita del denaro.

Punto, questo, sostenuto anche dall’avvocato sammarinese, Marialaura Marinozzi, legale della moglie Monica Di Nuzzo. Ricalcando le parole del collega, ha sostenuto che i reati presupposti del riciclaggio non fossero sufficientemente provati e quindi ha chiesto a sua volta l’assoluzione.

Sentenza Il giudice Alberto Buriani, al termine della camera di consiglio, ha condannato entrambi gli imputati a 4 anni e 6 sei mesi ciascuno; a due anni di interdizione più una multa da 9000 euro per l’uno e 300 euro per l’altra. Comminata inoltre la confisca della somma sotto sequestro pari a 1.931.936,20 più interessi; disposta inoltre la confisca per equivalente per un importo complessivo e ulteriori 708 mila euro circa di confisca per equivalente. Con tutta probabilità verrà presentato appello.

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