San Marino. “Se lo scienziato imbroglia… impariamo l’umiltà”

San Marino. “Se lo scienziato imbroglia… impariamo l’umiltà”

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Don Gabriele Mangiarotti:

Negli anni della mia infanzia scolastica spesso sentivamo ripetere questa frase: «Historia magistra vitae», cercando con questo di dare valore a uno studio certo impegnativo e faticoso. Poi, recentemente, abbiamo ascoltato il ministro italiano per l’innovazione tecnologica Roberto Cingolani, e la sua pur estemporanea dichiarazione sulla poca spendibilità lavorativa dello studio delle guerre puniche. Giustificando così quella che molti pensano inutilità della storia stessa e del suo studio.

Poi ti capita di leggere articoli, riesumati dai social, che ti mostrano come la storia (in questo caso certo quella recente) debba essere presa in considerazione per non lasciarsi ingannare dalla vulgata del potere di turno. E credo che un po’ di memoria di quanto ci viene propinato in questi giorni rispetto a quanto solo poco tempo prima era affermato nel suo contrario non ci farebbe poi molto male.

Ecco che cosa ho riletto ultimamente. Lo ripropongo come invito a un maggiore senso critico nel leggere le informazioni. E questo forse può valere anche per chi di professione opera nel mondo della comunicazione. Quel mondo che fa così presto a eliminare le voci scomode, controcorrente, non allineate (e ne ho una certa personale esperienza, purtroppo).

Scriveva Pierluigi Battista sul settimanale Sette, del Corriere della sera, il 3 dicembre 2009: «SE LO SCIENZIATO IMBROGLIA

Beccati con le mani nel computer a fare trucchetti e falsificare dati sul clima. E se la ridono, e fanno i furbi

Sì, però così non si fa. Bene la battaglia per l’ambiente, per il clima, per il cielo e la terra, però non si dovrebbe imbrogliare: ma che figura questi illustri scienziati che si mandano mail per alterare i dati sul riscaldamento globale. E se lo dicono, e ne ridono, e fanno i furbi. E se non ci fosse stato un hacker (non Michael Crichton) nemmeno l’avremmo saputo.

Però. Non avremmo saputo che uno scienziato ha scritto a un suo collega: “Ho appena finito le tabelle sul cambiamento climatico negli ultimi due millenni e sono riuscito a usare il trucchetto di Michael Mann per nascondere il declino delle temperature in alcune serie a partire dal 1981”. O anche: “Il fatto è che al momento non possiamo rendere conto della mancanza di riscaldamento, è una finzione che non ci possiamo permettere. I dati sono sicuramente sbagliati. Il nostro sistema di osservazione è inadeguato”.

E ancora: “Vorrei veramente essere più positivo su quel materiale, ma giuro che ho usato tutti i trucchi che conosco per tirare fuori qualcosa… I dati sono interessanti, ma c’è troppa variazione e non credo che sarebbe produttivo manipolare la statistica più di quanto non abbia già fatto”.

Però così non fa. Scienziati che parlano di “trucchi”, di “finzioni”, di “manipolazioni statistiche”? Esiste una buona causa per cui gli scienziati impegnati sul fronte del riscaldamento globale rispondano ai loro critici alterando deliberatamente i dati, nascondendo quelli scomodi, manipolando con sapienza le cifre, i numeri, le serie, per far trionfare una tesi su un’altra o addirittura per convincere i governi del mondo a spendere somme considerevoli? Certo, non ci si intromette nelle mail altrui. Certo, si tratta di un’operazione di spionaggio dalle finalità davvero disprezzabili. Ma insomma, se membri degli organismi scientifici che dovrebbero fornire dati oggettivi ai governi si raccontano di aver falsato i dati, c’è qualcosa che non funziona. C’è il sospetto della contraffazione di tutti i dati. C’è la percezione che non dovremmo davvero fidarci, non della scienza, ma degli scienziati. Tra l’altro, gli scienziati colti con le mani nel computer ricoprono di insulti i loro avversari, accusati di anti-scientificità. Ma con che coraggio. E come dovremmo giudicare d’ora in poi i loro dati? Certo, la causa è santa. La difesa dell’ambiente una nobile ragione. E generosa quella contro il pericolo della catastrofe climatica. Però, insomma, così non si fa. Non si imbroglia. Punto.»

Come si chiamava la favola di Andersen? «Le mutande dell’imperatore»? O «Il re è nudo»? Comunque sia, ci ricorda che usare la ragione e rifiutare il politically correct e la vulgata dei sapientoni sarebbe un buon esercizio del pensiero, per rimanere liberi nei nostri giudizi. (tenendo pure conto che ne guadagnerebbe persino il portafoglio).

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