San Marino. Sindacato contro Buriani, le motivazioni del giudice Bin

San Marino. Sindacato contro Buriani, le motivazioni del giudice Bin

Sindacato contro Buriani infondato, ecco le motivazioni del giudice Bin

La sentenza comporta anche la revoca della sospensione del magistrato

Antonio Fabbri.

Le motivazioni della sentenza del professor Roberto Bin, Giudice del Collegio Garante, che ha rigettato perché infondata l’azione di sindacato nei confronti del Commissario della Legge Alberto Buriani, smontano una per una le incolpazioni che erano state mosse dalla Commissione Affari di Giustizia e sostenute in giudizio dall’Avvocatura dello Stato affiancata dall’avvocato Stefano Preziosi. La portata della decisione depositata il 17 giugno investe in primis la Commissione affari di giustizia, il suo presidente Matteo Zeppa e i membri di maggioranza che hanno sostenuto l’incolpazione; poi il Consiglio giudiziario plenario che sulla base di accuse inconsistenti ha stabilito la sospensione del magistrato; per certi versi tocca anche la Commissione di inchiesta, inquadrandone nel giusto alveo politico la portata; il Segretario alla Giustizia e coloro che hanno proditoriamente mosso e sostenuto questa azione infondata. 

La documentazione acquisita Il giudice Bin parte indicando il perché una parte della documentazione, richiesta dagli accusatori, è stata espunta dalla documentazione per il giudizio. Decisione, tra l’altro, già assunta dal collega Giovanni Cordini in sede di accertamento di ammissibilità del sindacato, dato che le parti contestate erano già presenti nelle incolpazioni mosse. Spiega infatti Bin: “La Relazione conclusiva della Commissione Consiliare d’Inchiesta su alcune presunte responsabilità politiche e amministrative in vicende bancarie, è stata correttamente espunta dagli atti di causa dal Magistrato dell’accertamento, come si è sopra ricordato. Si tratta di un atto di natura politica, frutto del lavoro ispettivo di un organo di derivazione squisitamente politica come può e deve essere un organo parlamentare. Si tratta di un’indagine che ha avuto ad oggetto solo tangenzialmente le attività del Dott. Avv. Buriani ed è stato formato senza le garanzie di contraddittorio con il magistrato, che pure è stato audito per determinate vicende”. Tra l’altro lo stesso consulente della Commissione Affari di Giustizia, Stefano Preziosi, aveva escluso che dovesse essere presentata l’intera relazione della Commissione di inchiesta, in quanto di fatto inconferente, sostenendo semmai di approfondire solo taluni aspetti. Aspetti che effettivamente sono stati presi in esame, ma sui quali l’approfondimento non è stato possibile “per l’insufficiente apporto probatorio prodotto dall’Avvocatura dello Stato”, dice Bin. Traspare dalla sentenza, tra l’altro, un certo affanno dell’Avvocatura a presentare sempre ulteriori prove, anche oltre i termini consentiti, perché quelle già presentate si sono rivelate via via tutte inconsistenti e confutate dalla difesa. Comunque il giudice Bin passa ad esaminare una per una le quattro incolpazioni rimaste in piedi.

Le indagini in pool La prima accusa è quella relativa alle indagini in pool. Gli accusatori sostenevano che Buriani avrebbe usato degli espedienti finalizzati a radicare la sua “competenza tabellare” su più fascicoli nel quali venivano svolte indagini in pool. Nulla di tutto questo. Anzi, Bin rileva come già due giudici, quello per i rimedi straordinari Vitaliano Esposito, e il giudice di primo Grado, Roberto Battaglino che richiama la pronuncia dello stesso Esposito, abbiano accertato che Buriani ha agito sempre nei limiti della legge che prevede le indagini in pool. Limiti che “non sono stati varcati nel caso concreto addebitato al Dott. Avv. Buriani”. La decisione di Esposito “mostra altresì – si legge nella sentenza di Bin – che al fondo della questione sta l’interpretazione della legge e, casomai, la sua validità, non già una sua violazione così patente da comportare sanzioni a carico del giudice che ne ha fatto applicazione. Per questi motivi, non affiorano ragioni sufficientemente provate per l’addebito al Dott. Avv. Buriani per una condotta, negli specifici episodi dedotti, che appare non assunta in violazione della legge, ma conforme alla sua possibile interpretazione secondo diritto vivente”. Anche qui Bin rileva come il consulente della Commissione Affari di Giustizia avesse fatto presente la cosa ai membri. “Come ha evidenziato il parere pro veritate del Prof. Avv. Preziosi in assenza, perdurante in questo giudizio, di «elementi di fatto… idonei a dimostrare la strumentalizzazione della predetta attività giudiziaria, a finalità diverse, di ordine politico o personale… non sembra consentito sostenere che il dott. Buriani ha orientato la qualificazione giuridica dei fatti al fine della attribuzione a lui dei procedimenti, di cui già conosceva la genesi»”.

Cioè la Commissione ha assunto una determinazione gravissima: in assenza di prove ed elementi di fatto ha accusato il magistrato di orientare l’assegnazione dei fascicoli. Fatto tanto più grave in quanto il suo stesso consulente aveva evidenziato come non fosse consentito formulare senza prove una incolpazione del genere.

L’autorizzazione di accesso al fascicolo archiviato Di un fascicolo archiviato, quindi pubblicato, “chiunque può prendere visione od estrarne copia”, dice la legge cosiddetta sul giusto processo. Dietro formale e regolare richiesta per via telematica era stato richiesto l’accesso al fascicolo dell’archiviazione del noto caso Tomasetti-Gozi. L’accesso era stato autorizzato dal magistrato. Per la Commissione, che aveva sposato le accuse mosse dalla presidente di Banca Centrale Catia Tomasetti, l’accesso a quel fascicolo non era da acconsentire mentre il magistrato “avrebbe autorizzato il giornalista Antonio Fabbri, del quotidiano L’Informazione, ad accedere agli atti di tale pro- cedimento ed estrarne copia; il procedimento era definito con ar-hiviazione, ma non era ancora spirato il termine per il reclamo; e comunque avrebbero dovuto essere indicati, e quindi esclusi dall’accesso, gli atti coperti da segreto bancario. La difesa del Dott. Avv. Buriani – rileva però la sentenza – contesta anzitutto i fatti addebitati: il provvedimento adottato ha consentito un accesso più restrittivo di quello che la legge gli avrebbe permesso di concedere, dato che non solo ha inibito al giornalista Fabbri di visionare gli atti coperti da segreto bancario, ma non ha autorizzato l’estrazione della copia degli atti processuali, impedendo così la loro pubblicazione; gli atti coperti da segreto bancario erano custoditi in archivio, in un faldone separato dal faldone principale che si trovava invece in cancelleria; ha autorizzato il giornalista ad accedere agli atti in cancelleria ritenendo di dover consentire l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, in un caso in cui l’interesse pubblico alla notizia era già radicato per effetto dei comportamenti posti in essere dagli stessi prevenuti del procedimento; per questi motivi, l’avvenuta «pubblicazione integrale» degli atti processuali non può essergli in alcun modo addebitata”. E aggiunge la sentenza: “L’Avvocatura dello Stato non ha portato alcun elemento di controprova per ribattere alle affermazioni della difesa del Dott. Avv. Buriani. Anche nella comparsa conclusionale l’Avvocatura non produce elementi utili a controbattere le argomentazioni difensive che sono circostanziate”.

L’addebito relativo agli incontri richiesti alla Tomasetti Un’altra delle accuse mosse verteva sugli incontri richiesti dal Commissario Buriani alla presidente di Bcsm Tomasetti. La presidente di Via del Voltone, nel costrutto sposato dalla Commissione Affari di Giustizia, sosteneva che si trattasse di richieste di incontro per fare non meglio precisate pressioni. Eppure, scrive il giudice Bin in sentenza, “le basi per l’addebito sembrano del tutto ipotetiche, fondate cioè su una possibile motivazione dell’interesse del Dott. Avv. Buriani per un incontro “privato” con la dott. Tomasetti, che invece il Dott. Avv. Buriani colloca nel quadro di colloqui preliminari con le Autorità di Vigilanza sammarinesi in vista di una complicata e delicatissima indagine in relazione a fatti di riciclaggio.

Non essendo addotti elementi di prova sufficienti a contestare le tesi difensive e a corroborare le tesi accusatorie, non vi sono elementi sufficienti per negare la correttezza del comportamento dell’incolpato e affermarne la responsabilità”.

Ora, va incidentalmente rilevato che di queste richieste di incontro si è parlato anche in seno alla Commissione di inchiesta, dove, anche lì, è stata acriticamente sposata la versione Tomasetti. Le motivazioni di tali richieste di incontro, legate alla delicata indagine antiriciclaggio, erano state riferite anche in quella sede. Tuttavia i Commissari politici nella loro relazione liquidano, quasi deridendole e sostenendo di non comprenderle (Relazione Commissione inchiesta pag. 207) queste motivazioni che invece, al vaglio rigoroso del giudice che ha gli strumenti intellettuali e professionali per valutarle, non solo vengono comprese, ma sono ritenute fondate ed hanno un peso concreto a fronte di ipotetiche valutazioni assurte però superficialmente a prova per formulare una incolpazione che tuttavia è inevitabilmente decaduta.

L’ottemperanza dalle disposizioni del 24 luglio L’ultimo addebito rimasto in piedi, era quello relativo al ritardo nell’ottemperare alle disposizioni della famigerata distribuzione dei carichi di lavoro impartiti dal reintegrato e poi subito dimessosi ex Magistrato dirigente Valeria Pierfelici. Doveva essere valutato “se corrisponda a correttezza il ritardo con cui venne data applicazione alle disposizioni del Magistrato Dirigente sulla distribuzione del lavoro del 24 luglio 2020”.

Su questo dice il giudice Bin: “L’errore contestato all’incolpato è accertato nei fatti – rectius, nell’unico fatto dedotto – come pure accertato è che esso non abbia comportato conseguenze di particolare rilievo. Quanto all’elemento psicologico, non sembra che il comportamento del Dott. Avv. Buriani sia tale da configurare i requisiti di gravità e inescusabilità che costituiscono i presupposti per l’irrogare ad un magistrato la sanzione massima. Per queste ragioni si ritiene che l’addebito non consenta di concludere che il dott. Buriani abbia compromesso la fiducia, il rispetto, l’estimazione morale e professionale che gli competono o il prestigio dell’amministrazione della giustizia”. Infondato, dunque anche quest’ultimo addebito.

Le conclusioni e le eccezioni di costituzionalità Quindi “Per le considerazioni svolte nei punti precedenti – dice Bin in sentenza – l’esito del presente giudizio porta ad escludere che al Dott. Avv. Buriani siano addebitabili, in relazione agli episodi dedotti e sulla base degli elementi probatori allegati, atti o comportamenti tali da compromettere la sua permanenza nelle funzioni, minando la fiducia e l’estimazione morale e professionale necessarie. Tale esito rende irrilevanti le eccezioni di costituzionalità che l’incolpato ha prospettato in via subordinata. Non può tuttavia questo Magistrato esimersi da osservare che è senza dubbio auspicabile e urgente un intervento del legislatore della Serenissima Repubblica di San Marino per risolvere alcuni problemi di grave incompatibilità dell’attuale assetto legislativo con i principi costituzionali e convenzionali”.

Quindi Bin, che “dichiara infondata l’Azione di Sindacato n. 0001/2020 promossa dalla Commissione affari di giustizia”, rileva anche che le eccezioni di costituzionalità poste da Buriani, difeso dagli avvocati Michela Vecchi del foro di Rimini e Gian Luca Mularoni del foro di San Marino, pur non essendo valutate in sede di sindacato, devono tuttavia muovere il legislatore per puntare all’indipendenza della magistratura, alla pubblicità delle decisioni dei giudici, come tra l’altro demandato dal Greco.

Quindi Bin sulle questioni di costituzionalità sollevate rileva “Non si può non sottolineare l’urgenza di un intervento siffatto da parte del Legislatore della Serenissima Repubblica di San Marino”.

Con il rigetto della azione di sindacato, decade anche la sospensione cautelare del Commissario Buriani che quindi potrà tornare al suo posto. Intanto i membri di minoranza della Commissione Affari di Giustizia, Luca Boschi, Vladimiro Selva di Libera e Nicola Renzi di Repubblica futura hanno chiesto al presidente Zeppa, vista la sentenza, la convocazione urgente della Commissione Affari di Giustizia. 

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