Visita carcere Marco Podeschi

Visita carcere Marco Podeschi

Nella mattinata di venerdì 4 marzo 2016 mi sono recato in visita alla struttura carceraria dei Cappuccini.

La visita, svolta a norma dell’art. 33 “Visite agli istituti” Legge 1997/44 “Ordinamento penitenziario”, è durata circa un’ora mi ha permesso di rendermi contro effettivamente delle condizioni della struttura carceraria.

Ho deciso di rendere pubblica questa visita, che sarà seguita da altre nei prossimi mesi affinché una prassi comunemente in corso in tutti i paesi si seguita anche a San Marino.

A mio giudizio il problema vero non è il costo ma non è più differibile un intervento definitivo per risolvere i tanti problemi che affliggono la struttura.

Il primo atto formale risale addirittura al 1994 quando il primo rapporto del “Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” (CPT) del Consiglio d’Europa evidenziava le criticità della struttura.

A pagina 21 del rapporto CPT del 12 ottobre 1994 si diceva: “Il CPT desidera ricevere ulteriori informazioni sullo stato di avanzamento del progetto di costruzione di una nuova prigione”.

Sono trascorsi 22 anni dal rapporto e ancora del progetto del carcere non c’è traccia.

Faccio questo inciso poiché il problema non è il costo pro capite per detenuto, il tapis roulant o il pranzo servito dal ristorante, c’è un problema su cosa deve essere la struttura carceraria rispetto alla società di un paese evoluto.

Che modello di struttura carcerarie si vuole per San Marino considerando l’evoluzione dei reati che prevedono la prigionia e di come sta cambiando la popolazione carceraria.

Il governo non può continuare a fare la politica dello struzzo lasciando la struttura, il personale e gli stessi detenuti in una sorta di limbo in cui si dice che si farà il regolamento, si penserà al personale, si costruirà la struttura.

Servono decisioni e penso che il Segretario di Stato per la Giustizia conosca da tempo gli elementi per decidere. Ricordo poi che la legislatura è iniziata da 4 anni.

Nel nostro carcere tutto è esternalizzato: il personale di guardia appartiene alla Gendarmeria e dei corpi militari volontari, il cibo arriva da un ristorante, le cure mediche devono essere prestate in ospedale.

Dalla visita mi sono reso conto degli evidenti limiti strutturali del penitenziario, limiti che nonostante la buona volontà del personale, non possono essere superati. Spazi angusti, uso minimo della tecnologia, aspetti che potrebbero essere automatizzati riducendo personale e costi.

Il mio timore è che l’aumento della popolazione carceraria con soggetti che dovranno scontare pene in via definitiva unitamente soggetti oggetto di carcerazione preventiva possa acuire problemi e criticità. Fare convivere tanti aspetti come la sezione femminile, sezione minorile, spazi per i detenuti, spazi per il personale e mantenere il tutto in un regime di massima sicurezza e dignità ritengo sia un’esigenza non più procrastinabile.

La Legge 1997/44 “Ordinamento penitenziario” va profondamente rivista, occorre dare forma definita all’amministrazione che cura la struttura penitenziaria, avere personale civile addestrato e specifico per il compito, definire con maggiore trasparenza regolamento, obblighi dei detenuti e per gli accessi nella struttura. Ci sono poi tutti gli aspetti organizzativi da definire ma dopo avere pensato un modello organizzativo adeguato, idoneo e evoluto.

Occorre anche pensare alla rieducazione dei detenuti, al tempo libero, all’interazione con la società e pensare a eventuali modifiche della procedura penale che nel principio della certezza della pena possa permettere attraverso riti premiali, come indicato nella relazione annuale del Magistrato del Dirigente di ridurre il periodo di detenzione individuando percorsi alternativi per scontare la pena e diminuire anche il costo economico per la società.

In carcere ci sono prima di tutto persone con una loro dignità, persone che scontano una pena o attendono gli esiti di un procedimento giudiziario, persone che invece per lavoro condividono spazi, esperienze, angosce esponendosi anche a rischi personali per la professione che svolgono. Ci sono poi un’altra serie di soggetti che per legami personali, professionali o incarichi istituzionali accedono alla struttura e anche in questo caso l’attuale organizzazione non è adeguata.

La visita che ho svolto mi ha molto colpito dal punto di vista personale e ritengo che molte delle leggende metropolitane che circolano sulla condizione dei detenuti siano decisamente diverse dalla reale situazione.

Marco Podeschi

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