“Voci dal Centro”, editoriale del Direttore Responsabile Pier Roberto De Biagi

“Voci dal Centro”, editoriale del Direttore Responsabile Pier Roberto De Biagi

Un nuovo Governo e il primato della politica

La crisi “anomala” si è conclusa con una soluzione che appare più naturale di quanto si potesse temere. E se, da un lato, questo esito ripaga il senso di responsabilità e la volontà di quattro forze politiche di ritrovarsi, pur da differenti punti di partenza e con l’intralcio di qualche precedente incomprensione, sul medesimo programma e su un progetto di crescita della San Marino dei prossimi anni, dall’altro lato riconsegna le esitazioni e i pregiudizi di chi si tormenta su un futuro e su una collocazione ancora amleticamente oscillanti. Senza essersi accorto, almeno in apparenza, che la stagione andreottiana della pluralità dei forni o quella, più recente e trasversale, delle mani libere – dopo il voto? – da noi sono tramontate da un po’ e, benché qualcuno continui a sperarlo, non sarà facile reintrodurle.

Ecco quindi il presupposto di una scelta, che i Democratici di Centro hanno compiuto con determinazione ed equilibrio, forti del consenso diffuso di una base che si fa ogni giorno più ampia e motivata.

La bussola che ha guidato il Movimento lungo questo percorso, non semplice e per niente scontato, al contrario di quel che tendenziosamente si vuol far credere, è stata, in primo luogo, la sua natura di forza moderata e riformista, consapevole e intenzionata ad affrontare, già da ora, le sfide di una nuova legge elettorale, condivisa e sostenuta dai suoi rappresentanti in Consiglio Grande e Generale. Su questo dato sono state verificate le condizioni per un’intesa con il Partito dei Socialisti e dei Democratici, con Alleanza Popolare e con Sinistra Unita, che potesse garantire un Governo stabile ad un Paese che da troppo tempo ne avverte la necessità. Non nutrivamo, peraltro, grossi dubbi sul fatto che, partendo dalle identità, si potesse arrivare alle alleanze, mentre eravamo consci del pericolo che, partendo dalle alleanze – come qualcuno machiavellicamente ha tentato di fare -, si potesse arrivare alle sudditanze.

Non essendo, tuttavia, prigionieri dei dogmi, a qualunque fede essi appartengano, non abbiamo eretto barricate contro chicchessia, ma ci siamo confrontati con grande apertura e altrettanta franchezza, sapendo che nessuno ha in tasca verità assolute. D’altra parte diversi fra noi sono cresciuti in una società che sembrava rassegnata a combattere la lotta di classe e oggi gli ultimi marxisti rimasti – se ce ne sono – si propongono principalmente come alfieri della solidarietà sociale. Che non è poco! Al punto che, per questi motivi e su questi temi, possono nascere sintonie e itinerari comuni.


Per cui, se la coalizione presenta un tratto distintivo che più di altri la contraddistingue, questo è certamente è la chiarezza. E anche – mi sento di poter dire – il coraggio! Perché gli elementi caratterizzanti del programma, con buona pace di chi tenta di sminuirne l’impronta di novità, sono certamente più di uno e, fra questi, la scelta di invertire la tendenza sui giochi della sorte: uniche saranno sia la licenza sia la sede, mentre il cosiddetto e controverso partner tecnologico scomparirà, al pari di quello istituzionale, per fare posto, come avevano consigliato in tempi non sospetti i Democratici di Centro, all’azionariato popolare diffuso. Lo Stato conserverà, naturalmente, la quota di maggioranza.


Avesse pure mille limiti l’alleanza che ha prodotto il Governo, ma la forza di dire no alla progressione di questo settore, fino a ieri considerata pressoché inesorabile, si configura come una sorta di riscatto, che la rende più libera e, per ciò stesso, più solida. Scoraggiando – è da presumere – ulteriori pellegrinaggi, rigorosamente laici e magari corrivi fino alla complicità, nel “backstage” del Poliedro. O altrove. Una cattiva abitudine, quest’ultima, rivelatrice di un intreccio perverso con forze aliene alla politica, che negli ultimi decenni l’hanno comunque pervasa e, in molte circostanze, eterodiretta. Una cattiva abitudine da abbandonare, quindi, come molte altre, per il bene di tutti.


E’ anche per questi motivi che sarebbe auspicabile tornare a riflettere, rendendolo vero, sull’imprescindibile primato della politica e sulla sua funzione – evocata e invocata con insistenza, ma probabilmente non perseguita con eguale convinzione – di servizio generoso verso una comunità. Oggi la politica è, per certi versi, una fede senza molti sacerdoti, con pochi seminari e rari luoghi di culto. Sprovvista di dogmi dichiarati non più veritieri, ma anche dell’assiduità dei suoi fedeli. Eppure la scelta non può essere esclusivamente tra il dogma e l’abiura: tra una presenza massiccia, intrusiva, soffocante e un’assenza riempita quasi soltanto di realtà virtuali, ci deve pur essere una via di mezzo. Quella di una politica sublimata come istituzione, ma anche incarnata come consuetudine e luogo di incontro. Che riesca a distinguere tra il proprio limite, che fa libertà, e la propria latitanza, che fa giungla. Che recuperi il consenso sulle proprie attività e non, come spesso capita, sulle proprie rinunce. Che dissolva il rischio, da qualcuno paventato, “che la politica scompaia del tutto dalla faccia della terra”. Un rischio mai così attuale, non solo da noi, e mai così inquietante. Ed è perciò forse il tempo che la politica si rimetta a cercare una ragione per il suo primato.


Pier Roberto De Biagi

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