San Marino. Verbali, come l’opposizione mira ad orientare l’azione giudiziaria

San Marino. Verbali, come l’opposizione mira ad orientare l’azione giudiziaria

Esposti e denunce dell’opposizione per mirare ad orientare l’azione giudiziaria

Dai verbali emerge che i gravi riferimenti non si vogliono comunicare neppure alla Reggenza e che quando si fa avanti la proposta di mettere a parte i Capi di Stato scatta la frenesia delle dimissioni e degli esposti

La volontà dell’opposizione di tenere nascosto quanto accaduto in Commissione affari di giustizia persino alla Reggenza e al Consiglio Grande e Generale, cui la Commissione deve riferire, era funzionale a tenere in piedi il disegno di ribaltare politicamente e non solo l’assetto istituzionale. Si comprende in maniera molto evidente dai verbali delle sedute del 30 ottobre e del 22 novembre 2017 che, quando si è manifestata la volontà di vederci chiaro sulle affermazioni gravi contenute nell’addendum, è scattato il fuggi fuggi delle dimissioni e la ridda di distinguo finalizzati a tenere tutto nel cassetto. Perché? Perché ciò che non è trasparente è più facilmente strumentalizzabile e può essere reso più agevolmente funzionale al teorema. Dall’opposizione si è cominciato quindi a dire che cosa fosse segreto e cosa no, ovviamente propalando all’esterno e in conferenze stampa le informazioni che facevano più comodo. Scattarono dimissioni e denunce per bloccare l’attività della Commissione, che da quel momento con fatica è riuscita a portare avanti la propria attività. 

Ma il teorema più funzionale è il sovvertimento della realtà.
Viene detto, ad esempio, che anche per il “Conto Mazzini” le informazioni rese in quella sede erano rimaste riservate. In realtà delle informazioni sul “Conto Mazzini” rese in Commissione si era dibattuto ampiamente e pubblicamente anche in Consiglio, ma il punto sostanziale è un altro.

Nell’indagine “Conto Mazzini” le inchieste venivano portate avanti dalla magistratura e in caso di provvedimenti di pubblico interesse riguardanti la politica, solo successivamente venivano trattate in sede di Commissione affari di giustizia, rese note al Segretario di Stato e alla Reggenza. L’indagine della magistratura, insomma, si era già svolta, sostanziata e compiuta. Nel caso, invece, della vicenda dell’addendum, le ipotesi sono state comunicate addirittura ancor prima che ci fosse stata una denuncia, men che meno che fosse avvenuto un accertamento.

Ecco perché in tale modo si è generata da parte dell’opposizione prima la costruzione politica di un teorema atto a destabilizzare e a fare fuori gli avversari, per poi riversarlo in denunce e atti giudiziari in un secondo momento, creando un circolo vizioso nel quale la parzialità politica può aver contaminato l’obiettività di indagine.

Di questo sono evidente testimonianza molti contenuti di denunce finiti anche in ordinanze nelle quali si rinvengono concetti politici espressi pubblicamente in Consiglio e nelle conferenze stampa. Il supporto a tali atti viene dunque dato dalla ricostruzione politica e non dalla realtà fattuale, tanto che i provvedimenti giudiziari vengono costantemente strumentalizzati dalle opposizioni per continui attacchi pubblici. Insomma, in tale caso l’azione politica precede e attiva, attraverso esposti e denunce, l’azione giudiziaria, mirando ad orientarla.

Questo salvo poi essere smentita da provvedimenti di archiviazione (come nei casi Guidi e Capuano), dalle affermazioni dei diretti interessati (come nel caso delle pressioni su Ferroni che vennero smentite dallo stesso), o dal Consiglio Giudiziario Plenario che nel proprio ordine del giorno parlò di affermazioni gravi e non provate.

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