Ricordando Federico Bigi

Ricordando Federico Bigi

Perchè San Marino è uno Stato indipendente

Ricordando Federico
Bigi

 

(Pubblicato in data 30 aprile 1996)

Il 24 aprile 1996 si spegneva nell’Ospedale di San Marino il Prof. FEDERICO BIGI già Insegnante e Preside in questa Scuola. La Scuola ha partecipato ai
funerali che hanno avuto luogo in Pieve venerdì 26 alle ore 10, con una delegazione in cui erano rappresentate tutte le componenti.

  

Accanto all’impegno politico che ha caratterizzato il dopoguerra sammarinese, c’è stato quello profuso nel campo dell’educazione, mirante a creare le condizioni per far raggiungere al maggior numero possibile di giovani il più alto livello degli studi e per formare cittadini in grado di rappresentare degnamente e validamente la Repubblica nel nuovo scenario internazionale, che Egli stesso ha tanto contribuito a dischiudere. 

 

Da “amicizia protettrice” a “perpetua amicizia e buon vicinato” 

Il Prof. Federico  Bigi ha portato avanti, in tappe fondamentali, il cammino della comunità sammarinese verso il  riconoscimento a livello mondiale  della piena  indipendenza e della piena sovranità.

 

Di solito della Sua opera,  come Segretario di Stato per gli Affari Esteri negli anni sessanta, si ricordano i risultati conseguiti nelle  trattative con Roma  sul Canone Doganale, che permisero un incremento considerevole delle entrate dello  Stato. Per la prima volta, nel dopoguerra, i bilanci dello Stato ritornarono in pareggio e fu possibile investire una cospicua quantità di risorse   in strutture ed infrastrutture, così da predisporre  le basi  del successivo  sviluppo del paese. Le trattative sul Canone Doganale, e la fitta rete di rapporti che le avevano supportate, spianeranno la strada, negli anni settanta,  agli accordi con l’Italia sui prodotti petroliferi e sulla monofase che daranno al paese il benessere di cui ancor oggi usufruisce.

 

In genere, nel ricordo,  viene collocato in secondo piano il grande passo  fatto compiere dal Prof. Bigi  ai rapporti  fra Italia e San Marino, premessa indispensabile all’instaurazione di quelli  con gli altri stati e all’ingresso negli organismi internazionali più prestigiosi, che cominceranno  a partire dagli anni settanta.

Il 6 marzo 1968  fu acquisita la “Rappresentanza diplomatica”:  un traguardo inseguito   da oltre un secolo ed appena sfiorato dalla Convenzione del 1939.

Il 10 settembre 1971 venne eliminata, dal testo della medesima Convenzione, l’espressione  “amicizia protettrice”: un’ombra antica sulla antica libertà.

 

L’eliminazione di quest’ombra rappresenta a mio parere,  dal punto di vista  della storia, il punto più alto dell’opera del Prof. Bigi come Segretario di Stato per gli Affari Esteri.

 

San Marino si era salvato fortunosamente dal processo di unificazione della penisola italiana durante il Risorgimento,  grazie alla simpatia acquisita presso i garibaldini ed i repubblicani in genere, ma soprattutto grazie all’intervento diretto presso Cavour di Napoleone III.  Invano la Repubblica – Cavour vivente – chiese all’Italia appena formata la stipula di un trattato, cioè  un  riconoscimento di sovranità.

Il trattato arriverà solo dopo la morte del Cavour, sotto il  governo  Rattazzi, quando l’Italia di nuovo ha bisogno di Garibaldi e di Napoleone III per completare l’unificazione della penisola, cui manca ancora addirittura Roma. Ebbene in quella prima Convenzione fra Italia e San Marino, datata 22 marzo 1862,  all’art. 29 sta scritto: “La Repubblica di San Marino avendo tutto il fondamento di confidare che non le verrà mai meno l’amicizia protettrice di S.M. il Re d’Italia per la conservazione della sua antichissima libertà ed indipendenza, dichiara che non accetterà quella di un’altra potenza qualunque”.

Lo stesso periodo  si ritrova senza modifiche  in tutte le convenzioni successive. Cambia solo la collocazione. In  quella del 1872 diventa l’art.38. In  quella del 1897 diventa l’art.46. Nella Convenzione del  1939, ancora vigente,  diventa  addirittura l’art.1 per espressa volontà dell’Italia. Gozi riferirà che l’Italia  “ha desiderato che l’accenno dell’amicizia protettrice non rimanesse relegato in un articolo finale … quasi per renderlo meno palese”. 

 

Il concetto di protezione, presente  in tutte le convenzioni Italo-Sammarinesi, ha una storia lunga.
L’Italia lo eredita dallo Stato Pontificio. Anche se, a dir il vero, lo Stato Pontificio non lo aveva mai cristallizzato in una norma giuridica tanto rigida e
severa. In generale i rapporti  fra Santa Sede e San Marino, all’interno dello Stato Pontificio, rimasero sempre avvolti  in un’atmosfera di indeterminatezza,
che nessuna delle due parti prese mai l’iniziativa  di chiarire una volta per tutte. E ciò anche dopo il passaggio di Napoleone I che aveva fatto toccare a San Marino, per la prima volta, sia pure quasi occasionalmente,  la vetta della sovranità.

In precedenza, anche  l’episodio alberoniano (ottobre 1739-febbraio 1740) si era concluso senza un chiarimento. Papa Clemente XII, in quell’occasione, pose fine alla tormentata vicenda  anziché con un trattato, con uno slogan: “protezione sì, dominio no”. Il termine “protezione”  era in uso già  in precedenza nei rapporti fra il Titano e la Santa Sede. In particolare, figurava in un Breve del 603, a firma di papa Clemente VIII, più volte richiamato durante la vicenda alberoniana. Ed ancor prima figurava in un ‘instrumento’ del 1549  a firma del Duca d’Urbino, Guidobaldo, attestante i rapporti fra il Titano e quella famiglia ducale.

 

In effetti quel termine ha un’origine ancor più remota. Porta con sé un significato che proviene dal Medioevo, un’epoca  che  in questa  parte della penisola, facente capo politicamente al papa, dura assai più che altrove.  Ad esempio alla fine del Quattrocento, quando l’equilibrio in zona è ormai rotto per la sconfitta dei Malatesta e comincia,  ora incontrastato, il predominio dei Montefeltro,  le contee dei Carpegna, temendo appunto lo strapotere dei Montefeltro,  si vincolano a Firenze con un trattato di protezione (accomandigia) tipicamente feudale che penderà come spada di Damocle sul destino di quei luoghi sino
all’Ottocento. San Marino non avverte una necessità analoga,  data l’antica amicizia coi Montefeltro e poi coi Della Rovere. Tuttavia,  quando a Rimini sbarcano  i Veneziani,   giunge ben accolta sul Titano una  rassicurante attestazione di solidarietà e benevola, quasi paterna, protezione  di   papa Giulio II, come pure, poco dopo, una analoga attestazione  di  Leone X,  quando vengono giù per la Val Marecchia i Fiorentini.

 

E’ nel  decennio 1540-1550 che accadono fatti tali da  indurre il Titano ad un ripensamento. In quel periodo si era fatta acutissima la questione dell’approvvigionamento del sale, reso problematico dal sovrapprezzo imposto da papa Paolo III in tutto il territorio dello Stato Pontificio (vi furono ovunque proteste e ribellioni). San Marino non può  più acquistare il sale ‘liberamente’ sul versante romagnolo ormai saldamente in mano – Cervia compresa – allo Stato Pontificio. Eppure ne ha un assoluto bisogno per il suo uso interno e per il mercato di Borgo dove, da sempre, è una delle ‘merci’ di maggior richiamo. Anche i duchi d’Urbino si sono dovuti piegare da oltre un  decennio a comprare il sale dalla Camera Apostolica:  a loro volta essi poi lo rivendono, a prezzo maggiorato e con obbligo d’acquisto,  presso le loro “salare”  agli abitanti del Ducato, compresi i riottosi Conti di Carpegna o i Fregoso di Sant’Agata Feltria.

Attraverso  l’obbligo di acquisto del  sale si esprime, in genere,  la reale gerarchia dei rapporti esistenti in un territorio. 

 

San Marino affronta il problema del rifornimento del sale alla radice. Va a Roma a trattare direttamente per poter continuare a rifornirsi  di sale senza  sovrapprezzo e senza pregiudicare la sua libertà. Quella trattativa, lunghissima,  produrrà  l’effetto specifico desiderato: San Marino acquisterà, d’ora in avanti,  il sale presso la Camera Apostolica, per il suo fabbisogno complessivo, senza sovrapprezzo. Tuttavia il fatto di aver condotto tale trattativa autonomamente,  con propri rappresentanti, e per giunta su una merce  così singolare  per i risvolti giuridici  connessi,  mette pericolosamente a nudo lo status reale di San Marino: una entità piccola, piccolissima,  con una  autonomia quasi assoluta.
San Marino, nel momento che si evidenzia come  entità a se stante, è visto come una possibile – e facile – preda.  Scattano due attacchi fra i più pericolosi di
tutta la sua  storia,  entrambi provenienti  dalla  Romagna, territorio controllato direttamente dallo Stato Pontificio. Ci provano Fabiano da Monte nel 1543 e Leonardo Pio nel 1549. 
Al che San Marino deve rassegnarsi. Rafforza le mura, si arma fino ai denti di armi le più moderne, ma al contempo, dopo qualche mese dal  secondo tentativo, si rassegna a chiedere aiuto ad Urbino. Chiede ad Urbino di impegnarsi  a proteggerlo e,  questa volta, pubblicamente e per iscritto, affinché tutti sappiano. Così prende forma, per la prima volta,    un ‘instrumento’ in cui si dichiara pubblicamente ed esplicitamente la  protezione della famiglia ducale di Urbino  sul Titano.

Più volte quel ‘trattato’ verrà rinnovato nei decenni successivi. Tuttavia San Marino continua   a mantenere aperto anche il dialogo  con Roma. Continua ad acquistare il sale, senza sovrapprezzo, direttamente dalla Camera Apostolica, strappando, nel 1569,   una precisazione veramente singolare:  il fatto che San Marino acquisti il sale dalla Camera Apostolica non può essere utilizzato dalla Santa Sede per vantare un qualche diritto  sul Titano. Insomma non ne deve derivare   pregiudizio alla libertà.

 

Alla fine del Cinquecento si profila un altro pericolo: il  Ducato d’Urbino sembra avviarsi  alla fine. Il duca, Francesco Maria della Rovere, è vecchio e senza figli: mancando eredi, tutto passerà  alla Chiesa. Il rischio è enorme anche per San Marino. Anche San Marino potrebbe essere  spazzato via con i luoghi del Ducato, con cui confina, e con cui ha così stretti legami, da essere considerato a volte un tutt’uno.

I sammarinesi giocano  d’anticipo. Nel 1603  chiedono   direttamente a papa Clemente VIII  di impegnarsi, da subito e per iscritto, a proteggerli (fatta “salva la loro libertà”)   in sostituzione della famiglia ducale d’Urbino, se e quando quel ducato sparirà. San Marino tratta con Roma apertamente, anzi  col consenso di Urbino, facendosi addirittura rappresentare  da Urbino. Quel trattato di protezione sarà riconfermato da Urbano VIII nel 1627 e rispettato nel 1631 quando il Ducato di Urbino sparirà.
In sostanza tutti i papi lo rispetteranno, cioè non permetteranno ad altri soggetti politici presenti nella frammentata realtà politica interna dello Stato Pontificio, di attentare alla libertà di San Marino.

 

Dopo lo Stato Pontificio viene il Regno d’Italia. Il passaggio non è morbido come quando si è dissolto il Ducato d’Urbino. Non c’è uno scambio di consegne. I rapporti vanno ricostruiti ex novo. Tuttavia  il vecchio concetto di protezione riappare. E riappare    in una forma nuova e con una  diversa valenza. 

   

Riassumendo, la protezione è chiesta dalla comunità sammarinese nel 1549 al Duca di Urbino perché la aiuti a difendersi  dagli attacchi  provenienti dallo Stato Pontificio. Passa  nel 1603 allo  Stato Pontificio come impegno da parte dei papi a non sopprimere l’autonomia sammarinese. Nel  1862 il concetto di protezione è acquisito dal Regno d’Italia come vincolo alle  prerogative della sovranità dello Stato sammarinese, nel momento stesso  in cui  se ne riconosceva l’esistenza.

 

Il Prof. Bigi spezza tale  catena e toglie dalla nostra libertà quell’ombra residuale,   con l’accordo italo-sammarinese del 10 settembre del 1971, che così  riformula l’articolo in questione rimasto invariato dal 1862: “Le relazioni fra la Repubblica Italiana e la Repubblica di San Marino saranno ispirate a sentimenti di perpetua amicizia e di buon vicinato. La Repubblica di San Marino riconferma la sua neutralità ed esprime la certezza che non le verranno mai meno la più viva amicizia e la più ampia cooperazione della Repubblica Italiana per la conservazione della sua antichissima libertà e indipendenza. In questo intento il Governo Italiano ed il Governo sammarinese procederanno a regolari consultazioni sui problemi di comune interesse”. 

 

Tale riformulazione,  facendo  di San Marino uno Stato di pieno diritto,  apre la strada ai rapporti diplomatici con gli stati d’oltralpe e  consente l’ingresso  nel Consiglio d’Europa, nella CSCE e poi nell’ONU, il più alto consesso di tutti gli stati del mondo. 


 

Preghiera in Pieve durante la Santa Messa 

 

Ti siamo grati, o Signore, per averci dato  il Prof. Bigi che ha  guidato,  con tanta intelligenza e dedizione, la comunità,  nei  primi passi verso il riconoscimento a livello mondiale della sua indipendenza, portando avanti  in tappe fondamentali la nostra libertà, nel lungo cammino iniziato proprio qui, nel sacello del Santo, nel lontano  Medioevo cristiano.

Nel nome del nostro Santo Protettore, ti preghiamo, Signore, di accoglierlo nel Tuo Regno. 

 

Marino Cecchetti, Annuario Scuola Secondaria Superiore, n. XXIII, anno scolastico 1995-96

Riproduzione riservata

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