Sormani e San Marino (Terra libertatis)

Sormani e San Marino  (Terra libertatis)

Sormani e San Marino

(Terra libertatis)

Studi Montefeltrani, Atti convegno 29-30 settembre 2001, San Marino-Pennabilli, (a cura di Angelo Turchini), Pennabilli 2003, p. 95)

Intervento di Marino Cecchetti

Premessa

Terra libertatis. È questo l’appellativo con cui Mons. Giovanni Francesco Sormani gratifica la comunità sammarinese già nel 1570, a pochi anni dal suo arrivo nella diocesi del Montefeltro. È il segno di un amore a prima vista? L’appellativo lo si ritrova ancora riferito alla comunità sammarinese da parte di Mons. Sormani anche a distanza di anni, ad esempio nel 1583. Una conferma. Il buon rapporto iniziale non si è affatto deteriorato con una migliore e più approfondita conoscenza.

Per l’erudito feretrano Giambattista Marini quel Terra libertatis, ripetuto più volte nei documenti ufficiali di Sormani, rivela, da parte di questi, un rispetto verso la comunità del Titano, che non sempre si riscontra in altri vescovi feretrani. Rispetto nel senso di non interferenza sul piano politico.

In effetti c’è di più. Utilizzare tale appellativo, secondo Mons. Enrico Enriquez, significa che si condivide l’idea di libertà che sta alla base della comunità sammarinese e la sua aspirazione verso la piena autonomia.

Terra libertatis, riferito a San Marino, è un appellativo che compare per la prima volta in un documento ufficiale dello Stato della Chiesa nel 1541: in un atto di compravendita per il sale stipulato a Roma fra la comunità sammarinese e la Camera Apostolica. E non in modo fortuito. Per le insistenze del rappresentante sammarinese, Giuliano Corbelli: ho fatto istantia – egli riferisce ai Capitani – che quando nel contratto si fa mentione di S. Marino sempre ci si metta libertatis terrae Sancti Marini dicendo che se io haveva spesi li denari et il tempo affaticando molti in provarlo che era giusto che l’admettessero, e così si ottenne onde merce de Dio e, del Protettore nostro, e dela giusticia.

Giuliano Corbelli quando ottiene quel successo a Roma ha solo 25 anni. Ai tempi del vescovo Sormani è uno dei massimi esponenti della intellighenzia sammarinese.
L’espressione Terra libertatis la troviamo un po’ dappertutto sul Titano. Perfino nell’incipit della fides dell’arciprete della Pieve relativa alla ricognizione delle reliquie del Santo Marino eseguita proprio da Sormani: Quia in Terra perpetuae libertatis S. Marini…, etc.

Sormani, in sostanza, facendo proprio l’appellativo Terra libertatis si fa sammarinese fra i sammarinesi: dimostra di condividere que’ semi d’illimitata libertà, ò sia indipendenza alla quale essi erano nominati.

Le conseguenze per la Repubblica di San Marino saranno altamente positive e contribuiranno notevolmente a farle superare uno dei periodi più difficili della sua storia: quando i papi pongono mano a un processo di riorganizzazione interna dello Stato della Chiesa che prevede la eliminazione o almeno la riduzione delle autonomie, cioè delle terrae mediate subiectae, con particolare attenzione a quelle più estese, come i ducati di Ferrara e di Urbino.

Il contesto politico

Nella seconda metà del Cinquecento, quando nella penisola italiana è ormai assoluta la predominanza della Spagna, i papi, per la prima volta dopo il rientro da Avignone a fine Trecento, possono cominciare a mettere ordine nel loro Stato senza le interferenze degli Stati confinanti, Firenze, Napoli, Venezia.

Pio V introduce la norma secondo cui se una famiglia feudataria si estingue, il feudo passa fra le terrae immediate subiectae. Gregorio XIII comincia a verificare il fondamento giuridico di moltissime autonomie.
Verso il 1580 si sparge la voce che egli ha fatto prelevare sei ceste di documenti dagli archivi riguardanti le terrae mediate subiectae. La ripercussione è immediata anche nelle vicinanze del Titano: a Savignano, a Pian di Meleto, a Verucchio, a Scorticata (oggi Torriana), a Borghi, a S. Giovanni in Galilea, a scapito delle famiglie feudatarie dei Rangoni, degli Olivi, dei Pii, dei Sassatelli e di altri. Anche le  potenti famiglie d’Este a Ferrara o Della Rovere a Urbino sono sotto pressione.

San Marino, come già aveva fatto nel 1549 in una situazione non meno pericolosa, dopo aver rafforzato la difesa riordinando le milizie e rabberciando ed adeguando ai tempi le fortificazioni, ricorre anche questa volta ad Urbino a cui chiede di rinnovare il patto di protezione sottoscritto appunto nel 1549. Ora però deve tener conto che il livello di sicurezza che Urbino può garantire è assai inferiore a quello del 1549, in quanto lo stesso ducato d’Urbino è minacciato nella sua stabilità. Il duca Francesco Maria della Rovere II non ha figli. Sua moglie, Lucrezia d’Este, più vecchia di lui di ben quattordici anni, dopo appena cinque anni di matrimonio, nel 1575, lo abbandona e ritorna nella sua Ferrara.

San Marino deve cominciare a differenziarsi da Urbino per non essere, eventualmente, trascinato via con i luoghi del ducato, confuso fra quelli, al momento della – paventata – devoluzione. Ha bisogno di rafforzare la sua identità. È un processo che si svolge, con l’aiuto provvidenziale di Sormani, attraverso la figura del Santo che acquista, grazie a lui, una più fondata solidità.

 

Sormani e i sammarinesi

Sormani, che risiede abitualmente lì di fronte, a due passi, a Valle Sant’Anastasio, forse è salito sul Titano – attratto dal fascino della sua libertas? – non solo in occasione delle visite pastorali, pur numerose, o dei sinodi diocesani che hanno avuto luogo anche a San Marino a turno con altre località: Pennabilli, Sant’Agata e Macerata.

Già il fatto che i sammarinesi, tradizionalmente tanto diffidenti verso le autorità (anche solo religiose) dello Stato della Chiesa, non si siano opposti alla decisione di convocare i sinodi diocesani anche sul Titano, è una prova della loro buona predisposizione d’animo verso il vescovo Sormani. E subito sono ricambiati. Il primo Terra libertatis arriva da Sormani proprio in occasione del primo sinodo tenuto sul Titano, nel 1570.

Altra prova del buon rapporto fra sammarinesi e Sormani è l’eccezionale sviluppo – in un periodo economicamente molto difficoltoso – di importanti ed impegnative iniziative in campo religioso, come l’erezione del Convento delle Clarisse e di quello dei Cappuccini. Il Convento dei Cappuccini è inaugurato già sotto l’episcopato di Sormani. Egli, che non ha potuto essere presente alla cerimonia perché lontano dalla diocesi per causa di forza maggiore, ha espresso il suo compiacimento in uno scritto: … sendo ben informati quanto il popolo et Università della Terra e Repubblica di San Marino,uno dei principali luochi della nostra Diocesi, siano stati sempre zelanti della Religione et osservatori del culto divino, in onore del quale hanno tuttavia mostrato segni evidenti intorno alle loro Chiese e Luoghi pii, siccome pur nuovamente si è conosciuto, per hauer loro con tanta deligenza, sollecitudine et spesa eretto et edificato vicino alla Terra loro il Convento dei venerandi padri Cappuccini tenuto anco, per quanto abbiamo inteso, dei più comodi che oggi quella Religione habbi nella Provincia della Marca, etc.

Su sollecitazione diretta di Sormani i sammarinesi danno vita a due confraternite di grande rilevanza: quella della Santissima Annunziata, presso il Convento dei Servi di Maria a Valdragone, e quella del SS. Nome di Dio, in San Marino-città, presso il Convento di San Francesco.

L’attivazione di confraternite, fra l’altro, costituisce, unitamente ai Monti di Pietà ed ai Monti Frumentari, un mezzo per contrapporsi alla speculazione degli usurai, cioè degli ebrei.

Gli ebrei, diversamente da altri luoghi dello Stato della Chiesa, non sono allontanati da San Marino. Come del resto non sono allontanati dal ducato d’Urbino, godendo della protezione della famiglia ducale, i Della Rovere. Sormani, anche per questa, oltre che per altre questioni, entra in conflitto coi Della Rovere. Ma non coi sammarinesi. Insomma nemmeno gli ebrei sono motivo di un serio contrasto fra Sormani e i sammarinesi.

I sammarinesi hanno bisogno degli ebrei. La loro attività creditizia è un servizio di supporto essenziale per il mercato di Borgo Maggiore. Per farli restare, senza irritare Sormani, si procede così. Gli ebrei che operano a San Marino anzitutto si muniscono di una specifica licenza di S.S.ta di poter dare ad usura  appunto a San Marino; quindi chiedono una dichiarazione di tolleranza del Vescovo del Montefeltro, cioè a Sormani; infine ricevono l’autorizzazione all’apertura del banco da parte del Consiglio, il quale stabilisce anche i capitoli per l’esercizio effettivo dell’attività. È una procedura che mette d’accordo tutti, Sormani compreso: egli è liberato dalla responsabilità della trasgressione ai dettami del Concilio di Trento.

Sormani è un fedele, scrupoloso esecutore dei decreti del Concilio di Trento. Non gli si può chiedere di disattenderli. È un personaggio molto in vista, di altissimo livello nella chiesa postconciliare. Fa parte del gruppo di quegli uomini d’avanguardia che non considera le disposizioni tridentine mere dichiarazioni di intenti, ma ordini da applicare subito, alla lettera, nel concreto ed ovunque. Anche a proposito del Santo Marino, il Santo della comunità sammarinese, Sormani si muove in piena aderenza alle disposizione tridentine, nel rinvigorirne il culto.

Il Santo Marino, già prima che arrivi Sormani nel Montefeltro, è una presenza importante nella comunità sammarinese, appunto perché a detto Santo – e da secoli – essa fa risalire la libertà di cui gode. Il 9 luglio 1296 a Valle Sant’Anastasio, una località a due passi dal Titano, in un processo per una questione di tributi i sammarinesi sostengono essere il loro castrum liberum et absolutum per privilegium concessum Beato Marino… et omnibus volentibus habitare in dicto Castro… a Sancta Felicissima a tempore quo venit de Dalmatia. E alla domanda Quid est libertas? essi rispondono: nemini teneri, cioè non aver obblighi verso nessuno, nisi Domino Nostro Jesu Christo. Uguale tesi sostengono i sammarinesi – e con successo – a Roma,  di fronte a papa Paolo III, nel 1541. Rivendicano il riconoscimento di comunità superiorem non recognoscens, sostenendo di non avere per superiore … ne Papa, ne Imperatore, cioè di venire immediate da Dio. Dopo una decina d’anni ottengono un breve in cui Paolo III scrive a loro: sì, ab immemorabili tempore… semper fuisse in possessione … neminem Superiorem in temporalibus recognoscendi.

Ebbene Sormani rafforza tale legame fra la comunità e il Santo rinvigorendone il culto, facendone una presenza viva nel cuore dei sammarinesi.
Una tappa di questo processo è la ricognizione delle reliquie.

 

Santi e reliquie dopo Trento

La ricognizione di reliquie, nella seconda metà del Cinquecento, non è evento raro o eccezionale. Rientra nel clima di ripensamento, rinnovamento e ravvivamento della fede che pervade il mondo cattolico a seguito del Concilio di Trento. Proprio nell’ultima sessione del concilio, la venticinquesima, apertasi il 3 dicembre 1563 con la predica, molto celebrata, del vescovo Mons. Girolamo Ragazzoni, è approvato il decreto de invocatione, veneratione, et reliquiis Sanctorum et sacris imaginibus. In contrapposizione al protestantesimo, il concilio riafferma la validità del culto dei santi: precisa che bonum atque utile esse … ob beneficia impetranda … ad eorum orationes, opem auxiliumque confugere</i>; ordina agli episcopis di struire diligenter i fedeli de Sanctorum intercessione, invocatione, reliquiarum honore, et legitimo imaginum usu</i>; condanna affirmantes Sanctorum reliquiis venerationem atque honorem non deberi</i>; stabilisce che omnis porro superstitio in Sanctorum invocatione, reliquiarum veneratione … tollatur, omnis turpis quaestus eliminetur. Fino ad allora valevano (o sarebbero dovute valere) le disposizioni emanate nel 1215 dal IV Concilio Lateranense: nemo publice venerari praesumat [nuove reliquie], nisi prius auctoritate Romani Pontificis fuerint approbatae.

Il Concilio di Trento statuit … novas Reliquias [non] recipiendas, nisi eodem reconoscente, et approbante Episcopo del luogo, il quale, adhibitis in consilium Theologis et aliis piis viris, deciderà secondo coscienza.

Il Concilio di Trento invita i pastori di anime a far di tutto per tenere desta la devozione dei fedeli ma, al contempo, chiede loro di non rinunciare a ripulirla, di adoprarsi per separare religione e superstizione, di evitare di eccitare la fantasia dei fedeli con storie false.

Esemplare, in materia, il comportamento del card. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Dice un suo recente biografo: se c’è superstizione nel culto dei santi – ed è la cosa più facile – non intende cancellarla, ma dare un senso esatto a quell’attaccamento; perciò anche i corpi dei santi non ebbero mai tanto fervore di culto come in quegli anni, per cui si era fatto il proverbio che il Borromeo ‘non lascia riposare né i vivi né i morti’.

A proposito delle reliquie un suo antico biografo racconta: pareua veramente cha hauesse posto in esse tutto il suo cuore, mostrando di non hauer’altro diletto al mondo, che di venerarle, e honorarle, e metterle in gran stima appresso il Popolo, con farne solenni traslationi; vegghiando tante volte le notti intere in oratione doue erano le Sacre Reliquie, e corpi Santi: facendo lunghi e faticosi viaggi per visitarle, e cercando insieme d’hauerne da tutte le parti doue poteua, per arricchire questa sua Chiesa, cioè la
diocesi di Milano. Infatti n’hebbe molte da diuersi luoghi, e massime dall’Arciuescouo Herneste di Colonia, e dal Sereniss. Guglielmo Duca di Bauiera suo Padre ma ne distribuì pure. Il Cardinal Paleotto … pregò farli parte de i Tesori delle Sacre Reliquie per la sua Città di Bologna, veggendone tanto ricca la Chiesa di Milano e n’hebbe… Le quali reliquie portò a Bologna, e le ripose, con solenne processione, nella Chiesa Maggiore di quella Città.

Da Milano e Bologna passiamo a Rimini. Il vescovo di Rimini Mons. Giovanni Battista Castelli, già collaboratore e di Borromeo e di Paleotto, spedisce dalla Francia (ove si trovava momentaneamente come nunzio apostolico), perchè venga collocato sull’altare maggiore della Cattedrale riminese, un bellissimo Castello, d’argento con i suoi Cristalli… dove vi sono molte reliquie, e prima cinque particelle della Corona di Spine di Nostro Signor Gesù Cristo et un pezetto di legno della Santa Croce, hauuto lui da Henrico Terzo Ré Christianissimo di Francia, e di Polonia. Eppure la Cattedrale di Rimini ha già molte reliquie per merito del predecessore di Castelli, Mons. Parisani, come
ci informa un antico storico riminese: alli 4 di Genaio 1574, Giulio Parisani da Tolentino, Vescovo della nostra Patria, volle assicurarsi d’una voce sparsa, che sotto l’Altar Maggiore della Cattedrale più non riposassero i Corpi dei Santi Ioventino, Facondino, Pellegrino, e di Felicità, Fratelli Riminesi, mà fossero stati altroue trasportati ò robbati, onde in Lunedì circa un’ora di notte, fatta a piedi dell’Arca Orazione co’ Canonici, e Parochi, al lume di una gran quantità di torchi, fece aprir l’Arca, ò Tomba e … trovò quel che cercava.

Il vescovo Castelli fa di più per Rimini. Si adopra per scoprire doue fosse il Santissimo Corpo di San Godentio, il Santo Protettore di Rimini, dato che a Rimini era restato il Capo soltanto. Come viene a sapere che il Corpo del Santo è venerato a Monte Alboddo, nella Marche, tenta di averlo. Con ogni mezzo. Fa intervenire anche il papa.
Inutilmente. Quei di Monte Alboddo, per converso, si mettono a esprimere dubbi che Rimini abbia il Capo di San Guadenzio per intero.

Perché un luogo, un paese, una città mette tanto impegno per avere le reliquie del Santo Protettore? Scrive un antico storico riminese: le reliquie servono per scuto, per presidio, e per riparo da colpi de nemici Spirituali, e Temporali, come disse Basilio Santo, che chiama Muri, e Torre l’ossa sacra de Santi.

I sammarinesi che venerano il Santo Marino non solo come Protettore, ma addirittura come Fondatore della comunità, ne hanno le reliquie?
La questione, Sormani ed i sammarinesi, cominciano a porsela fin dalla prima visita pastorale, nell’aprile del 1568.

 

Fertur, dicitur

Sormani, in ottemperanza ai decreti tridentini, esegue frequenti e accuratissime visite pastorali nella sua diocesi. Come del resto sta facendo a Milano il suo amico e maestro Borromeo. Come del resto fa a Roma il suo grande ammiratore e protettore papa Pio V, di cui è celebre la meticolosità nel controllare sacellum, reliquias sanctorum, calices, vasa sacra et omnia super magna credentia parata.

Sormani sale in visita pastorale sul Titano, per la prima volta, il 5 aprile 1568, dopo essere già stato nelle altre parrocchie della diocesi, cupiens ad debitum finem prosequi visitationem primi anni suae promotionis.
Visita Plebem de Terra S.ti Marini. In particolare ispeziona, nella Pieve, l’altare maius ubi fertur in pede altaris requiescere corpus S.ti Marini protectoris d.ctae Terrae.

Da quel fertur, riportato a verbale, apprendiamo che Sormani, fin dalla sua prima visita pastorale, fa propria la credenza diffusa nella comunità sammarinese che in Pieve sotto l’altare maggiore effettivamente si trovino le reliquie del Santo Marino.

La credenza è ripresa e fatta propria nel 1574 da una autorità religiosa di grado ancor più elevato del vescovo Sormani: un visitatore apostolico. Anzi un visitatore apostolico di grandissimo prestigio: Mons. Girolamo Ragazzoni. Questi arriva sul Titano verso la fine di settembre. Dopo aver concluso le altre visite nel Montefeltro entro il 17, tries dies consumpsitad abbaciam Vallis Sant’Anastasio ut cum rev.mo espiscopo feretrano … communicaret. Il 20 sera arriva sul Titano accolto da un gran concorso di gente. Il 21 visita parochialem ecclesiam plebem nuncupatam S. Marini cuius in ea corpus dicitur servari.

Dunque pure Ragazzoni, visitatore apostolico, con quel dicitur legittima il convincimento dei sammarinesi sulla esistenza e collocazione delle reliquie del Santo, già fatto proprio dal vescovo della diocesi, Sormani, col suo fertur.

Sormani, Ragazzoni e le reliquie

Sormani e Ragazzoni non sono cercatori di reliquie. Come del resto non lo è il card. Borromeo che, dice un suo biografo, in quanto a reliquie e a narrazioni di avvenimenti straordinari, vuole vederci chiaro perché il popolo non sia tratto in inganno.

Sormani ad esempio nella visita che, in qualità di visitatore apostolico, esegue nella diocesi di Rimini nel 1571 non si sofferma in modo particolare sulle reliquie. Nemmeno su quelle della Cattedrale. E non accenna nemmeno alla credenza secondo cui sotto l’altare maggiore sono conservati i Corpi dei Santi Ioventino, Facondino, etc. Credenza che pure doveva essere diffusa nella comunità riminese se proprio in base ad essa, tre anni dopo, il vescovo Parisani esegue – e con successo – la ricognizione di detti Santi.

Ragazzoni, nella sua visita apostolica nel Montefeltro, non registra in tutta la restante parte della diocesi un solo caso di qualche rilievo in materia di reliquie. Dai verbali della visita si evince che esistono, sì, qua e là reliquie antiquissimae (Valle Sant’Anastasio, Sant’Agata, Monte Tassi, Monte Tiffi e la stessa Pieve di San Marino su un altare
secondario), di cui si ordina una collocazione più decorosa, ma in nessun caso si nomina il Santo cui quelle reliquie si riferiscono quasi che si voglia evitare di fornire un qualche elemento che possa essere utilizzato pro o contro la loro autenticità. Sino a sfiorare la reticenza, come ad esempio a San Leo. Si legge nella relazione: die XIII Augusti 1574 profectus est ad civitatem Sancti Leonis ubi cathedralis ecclesia est sub eiusdem sancti invocatione. Tutto qui. Nessun accenno, ad esempio, alle reliquie di San
Leone trafugate in epoca medioevale.

La relazione di Ragazzoni sulla diocesi del Montefeltro, tutta scritta in burocratese religioso, è giudicata scrupolosa ma fredda, senza abbandoni né divagazioni, senza un palpito di vita. Però il passo relativo a San Marino si distingue. Fa eccezione. A San Marino Ragazzoni esce dalle righe e si abbandona a considerazioni inconsuete: Sanctus hic fuisse dicitur ante mille trecentos annos a Dalmatia oriundus confessor anacoreta. Ed uscendo dal rigidissimo schema con cui quelle ispezioni vengono condotte, schema
osservato punto dopo punto con una meticolosità prossima alla mania, proprio in una materia delicata e centrale come quella della conservazione dell’Eucarestia, a San Marino Ragazzoni chiude un occhio: Societas SS. Sacramenti … a Sancta sede iam diu obtinuit posse se SS. Eucharistiam in capella quadam in qua – ecco altro punto – divus Marinus oppidi huius protector dicitur habitasse conservari non in ecclesia ipsa. Ed aggiunge, come per giustificare lo strappo alle regole: sed ea capella ipsi ecclesiae ita contigua est ut ea res nihil offendat. Insomma a San Marino il Santissimo può stare fuori della chiesa principale, la Casa di Dio, ‘ospite’ della ‘Casa’ del Santo. Ragazzoni sanziona quel che aveva registrato – e accettato – Sormani nella visita pastorale del 1568. La cappella in questione è quella dedicata a San Pietro, dove ‘da sempre’ ogni sei mesi si procede alla elezione dei due Capitani. La si ritiene costruita dallo stesso Santo. È già di per sé una reliquia. È il cuore della democrazia sammarinese.

Insomma il Titano è un luogo in cui la presenza del Santo si avverte essere molto solida. Ragazzoni e Sormani, uomini di fede e di cultura, non si sottraggano al dovere di registrare il fatto. In particolare fanno propria, registrandola nei loro verbali, la credenza che in Pieve si trovino le Sacre Spoglie del Santo Marino. La registrazione di tale credenza nei loro verbali, in quel contesto della storia religiosa, è un invito ad adoperarsi per cercarle, quelle reliquie. Cioè per eseguire una formale ricognizione. Esistono
insomma le condizioni perché, secondo le norme e lo spirito del Concilio, sia data una risposta positiva alla fede popolare, con l’intento di corroborarla, rafforzarla – perché no? – anche con una prova materiale, come può intendersi la ricognizione delle reliquie.

I ‘San Marino’ si moltiplicano

Allo stimolo diretto e forte di due uomini autorevoli per fede e scienza, come Sormani e Ragazzoni, perché i sammarinesi procedano nella ricerca delle Sacre Spoglie del Santo Marino, si aggiungono delle spinte provenienti dall’esterno.

Il card. Borromeo, a Milano, il 14 aprile 1581, in occasione di un sinodo diocesano, dato c’hauea presente tutto il suo clero … per eccitare il Popolo alla maggiore diuotione et veneratione verso i corpi Santi … celebrò la traslatione de i corpi de’ Santi Martiri Leone, e Marino … nella Collegiata di Santo Stefano in Brolio.

Della ricognizione eseguita a Milano, molto probabilmente il vescovo Sormani è informato. E, molto probabilmente, attraverso Sormani ne sono venuti a conoscenza i sammarinesi.

Certamente Sormani ed i sammarinesi sanno che a Pavia si venerano le spoglie di un Santo di nome Marino. A metterli sull’avviso sono stati gli abitanti di Arbe, i quali andavano cercando di procurarsi una qualche reliquia del Santo Marino loro concittadino. Nel caso che non abbiano modo di procurarsela sul Titano si rivolgeranno a Pavia?

Il Marino partito da Arbe è a Pavia, a Milano o sul Titano?

La ricognizione delle reliquie del Santo Marino

Il 3 maggio de anno MDLXXXVI ad horas tres noctis… pedem… altari rupi, ibique marmoream urnam inveni, racconta in prima persona Marino Bonetti, archipresbyter della pieve di San Marino. Egli si è accinto al grande passo cum tremore ac timore nonostante abbia pregato per iquot dies cum multis fratribus Cappucinis ad Deum pro hac re.

La ricognizione nella Pieve di San Marino si svolge, mutatis mutandis, con modalità simili a quella nella Cattedrale di Rimini del 1574.
Oltre alla preferenza per le ore notturne, sorprende la sostanziale coincidenza della motivazione. Quia in Terra pepetuae libertatis S. Marini Feretranae dioecesis de corpore Sancti ejusdem nominis dubitabatur, et propter talem suspicionem in dies magis ad dictum Sanctum devotio diminuebatur, licet in pede altaris maioris plebis ejusdem, Sancti praedicti corpus quiescere suspicaretur. Hinc ego Marinus Bonettus dictae plebis archipresbiter corpus praedictum exquirere constitui.

Bonetti non incomincia nemmeno la semplice esplorazione del luogo, prius maturo habito colloquio cum illustrissimo ac reverendissimo D. Jo. Francisco Sormano Mediolanensi…. Feretranae dioecesis antistite. E scende in chiesa non in un giorno qualsiasi, ma il ‘tre’ maggio, cioè dies Inventionis S. Crucis: la venerazione delle reliquie ebbe origine o comunque ricevette un impulso decisivo proprio dal ritrovamento della Santa Croce, smembrata poi in particelle diffuse e veneratissime in tutto il
mondo cristiano.

Ecco una cronaca dettagliata dell’avvenimento ricavata da un documento forse del Seicento. Essendo entrato in core al Sig.r Arciprete della nostra terra Sig.r Marino Bonetti et altri nostri cittadini di verificarsi se nel Piede dell’Altar Maggiore della Pieve (come si diceva) erano l’Ossa Benedette del glorioso Prottettor nostro S. Marino et ……. che si venisse à tal fatto prima il sudetto Sig.r Arciprete fece orationi et digiuni et fece farne à Monache Capuccini non dicendoli però a che fine ma solo che pregassero Iddio che inspirasse se si doveva fare un opra santa et pia, et raccomandatosi à Dio Benedetto et con il consenso di Mon Sig.r Vescovo di Montefeltro alli 2 di Maggio 1586 nel Pontificato di Sisto V° nella mezza notte, il Sudetto Arciprete con un padre fra Filiziano da Fuligni capucino Sacerdote et un frate Liandro laico da Frontino pure capucino qual era scarpelino con Ms Iacomo Belluzzi M. Paolo Antonio Honofrio fecero un buco in detto piede, et viddero la drento un Cassettino di Pietra Bianca, ma per quella sera non poddero scoprir altro, non volendo si sapesse raccomodorno il detto buco meglio si podde l(’)altra sera seguente, che fù alli 3 di Maggio 1586 et giorno del(l’) Inventione della Croce veramente giorno destinato à Dio et molto fortunato per poi la notte all’hora di prima ritornorno i sudetti et cavorno un quadro di pietra interno dal Piede del(l’) Altar et viddero che in quella Cassa di pietra bianca molto ben accomodata et dentorno ricinta di Piastre di ferro ripossavano le santissime Ossa del Beato et Santo Prottettor nostro

Versi ch’erano sopra quel Cassettino.

Ossa ab Antiquis nobis reperta Marini

Sancta manent membra nobis cunctis
recolenda.     

Come rinviene l’urna, Bonetti si ferma. Informa immediatamente il vescovo. Il vescovo accorre e, come dice lo stesso Bonetti, urna coram dicto antistite et populo praedictae Terrae aperta, clare vidimus omnes, ibi omnia ossa corporis Sancti.

La procedura seguita sul Titano ricalca quella usualmente praticata a Milano dal card. Borromeo.

Il card. Borromeo, in genere, procede così: indirizza, sollecita o addirittura ordina la esplorazione di un luogo, in cui si presume che si trovino delle reliquie, per poi accorrervi all’annuncio del ritrovamento, assieme alla gente richiamata dalla notizia di cui è stata favorita la diffusione. Dopo di che si prepara una festa per la traslazione solenne. Così che la ricognizione è trasformata in un momento di devozione, in un richiamo forte alla fede.

 

3 settembre 1586, festa grande

Le reliquie del Santo Marino, provvisoriamente, furrono …riposte nella … Sagristia, in attesa di una ricollocazione definitiva. Ma prima ebbero luogo adeguati e solenni festeggiamenti.

A deliberare tali festeggiamenti è l’autorità civile: il Consiglio, come si legge nel verbale della seduta del 10 agosto. Congregato e cohadunato il mag.co et general Consiglio della Terra di S. Marino nel palazzo del Comune per il suono della Campana e voce de Piazzari et servata ognaltra solennità da oservarsi nel qual Consiglio fu proposto da detti SS.ri Cap.ni tutte le infrascritte cose e bisogni e prima che essendosi come creder si deve per aiuto et voler divino, retrovate quelle Benedette et S.te Ossa del Glorioso
protettor n.ro S. Marino come ognhuomo sa seria pur debbito generalmente di tutti farne qualche segno di alegrezza et demostratione in questa prossima festa, et honorare quelle benedette ossa quanto seria mai possibile per debito nostro, et di piu pensare che per lavenire seria debbito di tutto questo pubblico cercare via e modo di tenere queste S.te ossa con quella maggiore veneratione et decoro che sia possibile che è stato quello che ha dato origine, principio, nome e fama a questa terra n.ra et di piu con li suoi prieghi apresso il grande Iddio, lha sempre diffesa et protetta da ogni potentia humana mantenendola nella sua antichissima libertà ….

…. Sopra la prima proposta fu concluso e risoluto et da tutti detti SS.ri Consiglieri tutti unitamente rengraziato il Signor Iddio che si siamo certificati (?) che quelle ossa benedette del Glorioso Protettore n.ro San Marino siano in quel piede de laltar maggiore nella sua Pieve, ordinorno e, decretorno che sa facci tutto il possibile per honorare ognanno questa sua s.ta festa, et poi accomodare quelle benedette ossa in quel piede dellaltare dove bene se retrovano ò, un altro luogo come parera meglio a linfrascritti Homini et così furono cavati a sorte sei homini li quali secondo hordine elessero li infrascritti cio è Ms Iacomo Belluzzi / Ms Giovanni Batista del Cap.no Giovanni Andrea

Ms .Paulantonio Honofrio / Ms Giovanni Antonio Lunardello et Ms Piero Matteo Belluzzi  / Ms Giuliano Corbelli dando detti SS.ri Consiglieri a detti huomini eletti tutta
quella autorità che ha listesso Conseglio di pensare fare tutto quello che lhoro parera bisogno per honorare quelle ossa benedette et di spendere il denaro che ha in mano ser Ottaviano Ghotio depositario et in somma far tutto quello che ad essi parerà che tutto serà ben fatto, pregando detti huomeni a non sparagnare ne a fatica ne a spesa per fare nostro debito
.

La nomina di uno specifico comitato per i festeggiamenti del prossimo 3 settembre sottolinea il rilievo che si intende dare all’avvenimento.
Due dei sei consiglieri eletti avevano accompagnato Bonetti nella esplorazione notturna della Pieve, in maggio.

In die postea III proximioris septembris, in qua Sancti solemnia agi solent cum magno vicinorum concursu, i festeggiamenti, in quel 1586, sono veramente eccezionali. Nonostante il maltempo. Ed al centro ovviamente, le reliquie del Santo: praedictae ossa … antistes [Sormani] et alii digniores cleri per totam Terram cum hymmnis, canticis
et instrumentis musicis devote asportavere
.

È la festa di accoglienza dei sudditi a un Principe che prende possesso del suo Stato.

Da una cronaca del Settecento si apprendono altri particolari:
Il sagro Capo fù portato da Mons.r Vesc.o dentro un Tabernacolo; e le S. Ossa furrono colocate in Cassa di Cipresso posta sopra una Barretta, che portavano quattro Sacerdoti frà quali uno era Cappuccino della famiglia di M.te Fiore da Arbi patria del Santo. Poi le reliquie sono riposte nella Sagristia della Pieve.

 

Collocazione definitiva delle reliquie

Mentre dunque si tenevano in sagristia le Sante Reliquie per l’effetto che ora si dirà – continua la cronaca del Settecento –,havevano li Signori del Magistrato Paulo Antonio Onofrij e Gio: Battista Belluzzi fatto fare à un Gentiluomo in Pesaro un dissegno per la nuova Ancona; al cui effetto chiamato un tal Mastro Rugiero scultore da S. Ippolito, e presentatagli la Carta del Dissegno, benché gli piacesse, si esibì di farne un altro, quale veduto dà SS.ri del Magistrato, e Deputati del Consiglio Giuliano Corbelli, Pier Matteo Belluzzi, Gio: Ant.o Lunardelli, Pietro Paulo Corbelli, Ottaviano Gozij, E Giacomo Belluzzi fù rissoluto di fare l’Ancona secondo quello, e si accordò al prezzo di lire 700. dandosi principio al lavoro l’Anno secondo del Pontificato di Sisto V, e di nostra salute 1587.

Occorrendo per tanto di fare più indietro il Piede dell’Altare verso il Muro, per posarvi sopra l’Ancona, e convenendo di rimuovere la Pietra della Sagra Mensa fù trovato sotto quella un Cassettino di Marmo bianco, entro cui ve n’era un altro di Piombo con le lettere S. Marinus, e vi si racchiudevano alcuni ossetti andati in polvere per l’antichità, ed alcuni altri pezzetti à quali pareva fosse attaccata la Carne, come pure una crocetta di Bronzo coll’effigie, scolpita à bolino, del Salvatore da una parte, e di S.
Marino vestito da Eremita dall’altra; quali cose così, come stavano, furrono dal sudetto S.e Arciprete riposte unitamente vicino al Santo nella detta Sagristia.
Costrutto intanto l’Altare li 8 Agosto 1587, e ripostovi dentro il Cassettino di Marmo si cominciò nell’istesso giorno à piantare il piedestallo della nuova Ancona, e li 13 detto si ripose l’Urna nella Cavità, che ancor oggi si trova dietro al sagro Capo del Santo, essendovi scritte collo scalpello da due faccie della medesima la seguente memoria

Clusa ab antiquis a nobis aperta Marini.

Sancta manent Membra hic nobi<s> cunctis
recolenda
.

E di ciò ne fece Rogito sotto l’istesso dì 13 il Sig:re Ottaviano Gozij.

Alzata finalmente da Mastro Rugiero tutta l’Ancona li 18 Agosto, et Anno sud.o, e ben considerata da Sig.ri Deputati del Consiglio conclusero concordemente che l’opra non era conveniente al Santo, né à seconda del divoto loro genio, e pietà; Onde risolsero di disfarsene, e la diedero alla compagnia del Nome di Dio di S. Francesco, ordinando la cava di nove pietre nel fiume di Fossombrone per mano dell’istesso Mastro Rugiero, e d’ un cert’altro Mastro Annibale pure da S. Ippolito per l’Anno 1589, Quali fecero un opera di gusto assai migliore, e più stimabile, come si vede in oggi, in mezzo à cui stà collocato il simulacro del Santo che sostiene la Sua Republica in braccio, dal quale sia eternamente difesa, protetta, e benedetta.

 

Il Santo nel contesto politico e religioso

La Repubblica di San Marino è in una situazione che non ha eguali nello Stato della Chiesa. E’ certamente una terra mediate subiecta in quanto non è governata direttamente dal papa ed anzi gode di un altissimo livello di autonomia, ma non sulla base di un documento paragonabile, in quanto ad efficacia giuridica, ad un diploma di investitura emesso in un dato anno da un dato papa o imperatore a favore di un dato personaggio, come è nel caso dei feudi.

Fra l’altro, non essere feudo, cioè non avere un principe, in quel periodo della storia, per un luogo, comincia ad essere eccezionale non solo all’interno dello Stato della Chiesa, ma nella intera penisola italiana e in tutta Europa, per la avanzante prevalenza dell’assolutismo. Così che il caso sammarinese si pone addirittura fuori dalla cultura politica e giuridica dell’epoca, e quindi fuori – questo è il punto – dagli schemi dei temibili legulei delle congregazioni romane.

Dopo il 1586 il Santo Marino assume via via più marcatamente i connotati del signore del luogo. Del padrone del luogo, come si usava allora dire. Quando vengono promulgati nuovi Statuti, nell’anno 1600, sul frontespizio, al posto del signore del luogo o dell’autorità pontificia che li ha ‘confermati’, in quelli sammarinesi c’è l’effigie del Santo Marino che sorregge con entrambe le mani la sua Terra.

Nel 1602 le Ossa della Testa del Santo vengono riposte in un semibusto d’argento: un dono della Repubblica al Santo Marino, Autore e Protettore della libertà di cui gode.

Nel 1629 si procede all’incoronazione formale del semibusto a Principe. Il cerimoniale prevede che, posta dal vescovo la corona in capo al Santo e coronato, tutti si prosternino ginocchioni, e si dia nelle trombe, tamburi, campane, e si spari da ogni paese e gridi, et acclami da ogn’uno Viva il nostro S. Marino, Viva il Padrone S. Marino, Viva il Prencipe S. Marino.
Perché tanto clamore? L’eco della incoronazione deve arrivare fino a Roma.

 

Il duca d’Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, va spegnendosi. Senza figli. I luoghi del ducato stanno già passando, uno dopo l’altro, sotto il dominio diretto della Santa Sede. I sammarinesi, da secoli alleati di Urbino, in quel frangente, hanno un assoluto bisogno di distinguersi, cioè di prendere le distanze dalla famiglia principesca di Urbino. Fanno sapere che il Titano era territorio di altro Principe: il Santo Marino.

L’elevazione del Santo a principe risolve la anomalia, insomma ne fa, per così dire, un ‘feudo’. Un feudo il cui principe è però un Santo. Essendo principe un Santo, la legittimità va cercata non fra i diplomi di investitura ma piuttosto nei documenti che riportano la Vita e gli Atti e, dopo la introduzione delle nuove norme a partire da Sisto V, fra le canonizzazioni.
Quanto alla durata non c’è più problema: salta la condizione consueta della discendenza: un Santo è Santo per sempre, perciò pure il suo Principato è senza fine, cioè perpetuo. Così che ora l’antico appellativo terra perpetuae libertatis ha, per così dire, un fondamento nuovo, sui generis.

 L’apporto alla storia della Repubblica di San Marino di Sormani non si limita dunque all’attribuzione dell’appellativo Terra libertatis sia pure nel duplice significato di rispetto, cioè non interferenza politica, e di condivisione dell’aspirazione alla piena autonomia. Egli aiuta concretamente la comunità sammarinese a rafforzare la legittimità della sua libertà basata sul Santo, dando alla figura del Santo la solidità, sotto l’aspetto religioso, che i nuovi tempi, quelli post Concilio di Trento, richiedono. Il Santo torna presente anche fisicamente, con la ricognizione delle reliquie, fra i suoi sudditi, che lo proclamano appunto loro Signore e lo incoronano, anche formalmente, loro Principe. Di qui viene alla comunità la forza per superare le difficoltà della storia. Quando i sammarinesi edificano un nuovo Palazzo Pubblico, al Santo riservano il posto d’onore nella Sala del Consiglio, sopra il trono dei Capitani Reggenti, a sottolineare che questi non sono che i suoi ministri. I Santo di lì vigila perché puntualmente ogni sei mesi ci sia il passaggio del potere dai Vecchi Capitani ai Nuovi col trasferimento delle chiavi del semibusto d’argento che custodisce le sue reliquie, restituite alla venerazione pubblica dei suoi sudditi ed eredi nel 1586 grazie a Mons. Giovanni Francesco Sormani.

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy