L’ALTRA EMIGRAZIONE

L’ALTRA EMIGRAZIONE

L’ALTRA
EMIGRAZIONE

 

Convegno
sull’emigrazione sammarinese, San Marino, 20 marzo 1998

 

Girovagando fra i fatti
della storia mi capita talvolta di incontrare  sammarinesi che si procurano i
mezzi per  vivere  fuori dal proprio paese. Specie negli ambienti del Settecento
che, da qualche tempo,  frequento con una qualche  assiduità.

Ad
esempio,  a Roma, nell’inverno 1739-40, mi sono imbattuto in un gruppo di questi
sammarinesi piuttosto consistente,  150. Erano lì – parole loro –  per li
lavori di campagna nelle Vigne
. Vi erano andati – sono ancora parole loro –
secondo loro costume. Quindi emigrati stagionali.

Il
prof. Allegretti riferisce che, in quel periodo,  a Pennabilli,  era interessato
alla emigrazione stagionale il 5% della popolazione. I 150 sammarinesi di Roma
già da soli  quasi costituiscono il  5% della popolazione della Repubblica. E’
probabile che qualche  rivolo prendesse un’altra direzione magari per lavori
diversi  da quello della vanga. Sicuramente c’era anche allora, anche in
quell’anno, anche in quell’inverno, come  da secoli, un gruppetto di 
sammarinesi   usi  a guadagnarsi il pane,  fuori dal proprio paese,  col lavoro
della penna.


sammarinesi  che si guadagnano da vivere con la penna fuori dal proprio paese
sono in genere esperti di  diritto,  professionisti  al servizio di un qualche
potente o  con un incarico presso  un    ufficio  pubblico dello  Stato della
Chiesa. A volte essi arrivano anche nel  granducato di Toscana. E si spingono 
perfino nelle Repubbliche di Lucca e di  Genova. Come la emigrazione degli umili
anche questa dei professionisti non è certo un fenomeno soltanto sammarinese.
Continuando a far riferimento a Pennabilli si può citare ad esempio Anton Maria
Zucchi Travagli, un itinerante, anch’egli  del  Settecento,  uso a muoversi
soprattutto nell’ambito  dell’ex ducato d’Urbino.

Come per gli emigranti
della vanga anche per quelli della penna la vita non facile. Gli impieghi  in
genere durano  poco, per cui quei professionisti sono costretti a spostarsi in
continuazione. Però quel loro  girovagare  non è similabile  a quello  del
nomade per il quale,  si pensa, un luogo vale l’altro. Essi si mantengono 
permanentemente  in contatto col  Titano che, fra l’altro,   in quella 
ricerca   continua  e parossistica di posti e di favori,  costituisce il luogo
fisico  della loro ‘agenzia  di collocamento’. Il fatto poi che ogni incarico, 
per quanto  prestigioso,  sia  sempre breve e precario,  induce a un certo 
distacco dai luoghi e dalle persone e, per converso,  accresce l’attaccamento
per il proprio luogo d’origine, il Titano. Il confronto, infatti, fra gli altri
luoghi e il Titano,    esalta la differenza a vantaggio di quest’ultimo. Dice,
nel Cinquecento,   Giuliano Corbelli: Se da tutti si deve per istinto
naturale amare la patria … maggiormente …  si deve fare da quelli che son
nati in patria libera …, commo siamo noi che, oltra tutti gli altri et con
meraviglia di ciascuno, ottenemo quel dolce tittolo di Republica
. Una
riprova della continuazione di questo modo di pensare l’abbiamo   nel Settecento
in  Gian Benedetto Belluzzi, anch’egli un professionista itinerante. Benché
questi fosse stato Luogotenente Civile dell’Alberoni nella Legazione di Romagna
per ben tre anni e addirittura fino a qualche mese prima dell’invasione
alberoniana,  non esiterà ad assumere da Bologna la guida della resistenza dei
sammarinesi contro l’Alberoni come se con l’Alberoni non  avesse mai avuto nulla
da spartire.

Anche i professionisti
sammarinesi emigranti che si fermano in un posto mantengono stretti vincoli con
la patria. Ne abbiamo un esempio in un altro  Belluzzi, Alessandro, sistematosi
nella seconda metà del Seicento  in modo permanente presso i  Medici, in 
Toscana. Quando,  agli inizi del Settecento, diventa papa Clemente XI, un Albani
di Urbino, un quasi sammarinese, il piano delle richieste speciali che,
nell’occasione, la Repubblica avanza, è messo   a punto col concorso suo. Ed è
proprio il Belluzzi a proporre  di chiedere al papa l’autorizzazione a far
pagare  le collette agli ecclesiastici: tutte le collette,  per l’intiero
come pagano li Secolari
. Proposta decisamente d’avanguardia, suggerita non
solo da una volontà  di equità fiscale.    In un territorio angusto come il
nostro a poco a poco gli ecclesiastici che sempre acquistano per più versi e mai
lasciano l’acquistato, col tempo possono diventare Patroni della maggior parte
del Territorio
.

E’  lo stesso Alessandro
Belluzzi  a  tracciare   la rotta che la Repubblica seguirà per tutta la prima
metà del Settecento per scampare alla tempesta che agiterà la penisola italiana,
campo di battaglia delle guerre di successione e,  in particolare, per non 
rimanere   stritolata   fra papato ed impero ritornati a scontrarsi come nel
Medioevo, in Italia ed in particolare nello Stato della Chiesa.

Visti dall’interno dello
Stato della Chiesa papa e imperatore, nella prima metà del Settecento,  sono
tornati a contendersi  i vari luoghi con la logica del medioevo, epoca nella
quale  ogni luogo non poteva che  essere, necessariamente,   o  dell’uno o 
dell’altro. Molti feudi,  di dubbia  o di duplice investitura, cercano di
salvarsi dalla stretta  facendo lo slalom  fra l’uno e l’altro. San Marino
invece risfodera l’antico convincimento – che la libertà del Titano trae origine
dal Santo –  dandogli però una  espressione nuova, cioè formulandolo in
termini   adeguati ai tempi.   Nel 1717, a Venezia,   in un libro di grandissima
diffusione, l’Italia Sacra viene pubblicato  il testamento del Santo,  
Filii, relinquo vos liberos utroque homine. Come dire all’universo mondo
e,  in particolare, al papa e all’imperatore, che il luogo Titano non è né
dell’uno né dell’altro.

La
Repubblica  si mantiene   a prudente  distanza e dal papa e dall’imperatore. E
ciò non solo nei periodi di normalità. Anche durante la drammatica vicenda
alberoniana, quando, nell’ottobre del 1739,  fu invasa  dai soldati del papa,
non abbandonò la linea politica della equidistanza. Insomma non corse a chiedere
aiuto all’imperatore.  Ai sammarinesi per liberarsi dai soldati del papa sarebbe
bastato fare un cenno  ai soldati dell’imperatore che erano di stanza a Carpegna
invasa, appunto dall’imperatore, l’anno prima.  Ma ciò non avvenne. Con
meraviglia di molti. Il dotto riminese Jano Planco   non esitò, nell’occasione, 
a definire i dirigenti sammarinesi   teste di cedro per questo loro –
stupido –  comportamento. 

L’abate Marino Zampini,
invece, un sammarinese emigrato a Roma, insistette coi propri concittadini, e
tornò a insistere  fino ad averla di vinta, perché resistessero, non cedessero a
quella facile lusinga: non si compromettessero con l’impero. E ricordò a loro
nell’occasione proprio il testamento del Santo così come era stato riassunto
nell’Italia Sacra. E garantì che ci si poteva liberare da quella
occupazione giocando sulle  divisioni della curia romana.

Ma
questo è noto.

Meno noto invece
l’apporto dell’emigrante  Zampini nella vicenda del 1749, quando l’impero torna
ad invadere Carpegna da dove si era ritirato nel 1741. Anzi l’intera  vicenda è
stata pressoché ignorata  dalla storiografia sammarinese.

L’11 giugno del 1749  
l’impero invade nuovamente Carpegna. Le mire dell’imperatore, non si
fermeranno nei sassi della Carpegna e di Scavolino
, fa sapere,
allarmatissimo,  il papa alle corti europee. Cui  lo stesso  papa fa pure sapere
che è già partita una rivendicazione imperiale  su alcuni luoghi  della
Repubblica di San Marino:   i castelli ex malatestiani di  Serravalle,
Fiorentino e Montegiardino. Lo Zampini valuta la informazione errata in quanto
ai nomi dei luoghi (circa i quali l’impero non potrebbe accampare alcun pretesto
giuridico), e fa l’ipotesi che, in effetti,   nelle mire dell’imperatore ci
siano non i castelli ex malatestiani  ma   Casole, Penna Rossa e Fiorentino,  
sulla base del diploma di investitura concesso da Ottone I ai Carpegna nel 962.
Anche se quel diploma è notoriamente falso, dice lo Zampini, insomma 
Apocrifo, … una Cartaccia fatta da un Impostore”, non ci si può illudere che
gli imperiali non lo vogliano applicare, potendo affiancargli un altro diploma, 
“il Diploma della forza
.

Di
fronte a prospettive così fosche la Santa Sede reagisce colle armi del diritto
(non potendo, nel Settecento,  opporsi con la forza). Subissa le principali
corti europee di relazioni storico giuridiche a sostegno dei suoi diritti.
Inviata una relazione,  ne mette in cantiere subito un’altra più vasta, più
approfondita, più ricca di documenti, come se bastasse un nuovo ragionamento
brillantemente espresso da qualche erudito o una polverosa pergamena rinvenuta
in chissà quale sperduto archivio per far sì che Vienna ritorni sulle sue
decisioni, accantoni quel programma di espansione. In giro per gli archivi a
cercare documenti, già in luglio,  il papa spedisce lo studioso Giuseppe
Garampi. Il quale intraprende un lungo  tour per gli archivi:  Terni,
Loreto,  Senigallia, Pesaro, Rimini (cui fan capo Ravenna e  Romagna in genere),
Pennabilli, Urbino, Urbania, Gubbio, Città di Castello, Pennabilli, Rimini,
Pesaro, ecc.

Quattro mesi di duro
lavoro (l’impegno del Garampi a livello personale è massimo: c’è la prospettiva
della nomina a prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano). Lo scopo della ricerca
è  segreto. Nemmeno  il Presidente della Legazione di Urbino ne viene informato.

Secondo lo Zampini,
anche San Marino deve seguire l’esempio del papa: farsi sentire con proteste,
e con altri Atti, perché non venghino pregiudicati i diritti incontrastabili
della Rep.ca sopra gli accennati Castelli, ed infine per far udire a Roma, che
dal canto nostro si è fatto tutto quello, che si è potuto
. Insomma che non
si è complici dell’imperatore. Anzi, in questa occasione, bisogna allearsi col
papa contro l’imperatore. Ed il papa è d’accordo: quest’affare non interessa
meno noi, che la S. Sede
dice ai suoi concittadini.

La
Santa Sede ha ingaggiato Garampi. San Marino chiama  l’amico e maestro del
Garampi, Annibale degli Abbati Olivieri, il quale si dimostrerà un ricercatore
eccezionale appena mette mano nell’archivio sammarinese, visto il documento con
cui può cominciare la lista: il Placito Feretrano. L’Olivieri arriva sul Titano
subito dopo ferragosto. Il Garampi, che in quei giorni era a Pennabilli, pure
lui corre sul  Titano. Quasi certamente il Garampi è a San Marino anche quel
lunedì 25, quando l’Olivieri principia l’Indice dei documenti
sammarinesi. L’attribuzione di data al Placito Feretrano, 885, sarà frutto
della   collaborazione Olivieri-Garampi. Ed,  annuente il  Garampi,  il Placito
verrà  pubblicato dall’Olivieri  già nello stesso 1749. Verrà  pubblicato fra i
documenti dell’appendice di un suo libro. Ma non viene pubblicato il libro con
la sua appendice. Solo  l’appendice. Il libro, completo, vedrà la luce 
soltanto  quattordici anno dopo.

Il  Placito  rintuzza le
pretese dell’impero sui luoghi della Repubblica, che secondo lo Zampini, sono 
più  a rischio. Infatti di lì risulta che  fra  i beni di cui  viene
riconosciuto a Stefano Prete e Abate del Monastero di S. Marino, cioè
alla comunità sammarinese,  il legittimo possesso, ci sono  le località di 
Casole (fundo Casole) e Fiorentino (Fundo Florentini Maiore et
Minore
). E ciò già dall’885 cioè assai prima che venisse rilasciato il
diploma di investitura ai Carpegna, datato 962. Ed  è  un possesso classificato
– già nell’885 –   ab immemorabili:  namfra quadraginta, nec namfra
quinquaginta, neque namfra centos annos
. Ed è  un  possesso legittimo, in
quanto Stefano afferma: abeo et teneo ipse suprascripte res ad iure sancti
Marini confessoris domini nostri Jesu Christi
. Da sottolineare quell’ad
iure
che  fa del  Placito un documento perfettamente allineato con la
tradizionale posizione  politica della Repubblica  resa manifesta  da Matteo
Valli  nel 1633 ed, in particolare,  con il testamento del Santo edito nel 1717,
come ha messo in evidenza, recentemente,  il prof. Francesco Balsimelli.

Alessandro Belluzzi,
dottore in diritto, e Marino Zampini, abate, sono due rappresentanti
significativi di quella intellighenzia che, a detta dell’Aebischer,  ha
realizzato il miracolo-San Marino. Due emigranti. Perché quella sammarinese è
sostanzialmente una intellighenzia fatta di emigranti. L’emigrazione degli
intellettuali infatti non costituisce  per San Marino un depauperamento della
classe dirigente come generalmente avviene  per altri luoghi, ma una
straordinaria opportunità, per quel singolare loro attaccamento alla patria, che
singolarmente  perdura nonostante che la patria  non provveda a loro
materialmente.  Così che la  intellighenzia sammarinese, procurandosi da  sola i
mezzi per il proprio  sostentamento, può esser sproporzionata rispetto alle 
dimensioni e alla economia del paese. Anche in numero. 

Già verso la metà del
Cinquecento, secondo Marino Enea Bonelli,  la Repubblica contava circa
quaranta cittadini fra Dottori e Notai
. Un numero rilevantissimo su una
popolazione di 3.500-4.000 abitanti. Ed ancor più rilevante se si considera che
quasi altrettanti sammarinesi percorrevano al contempo il corso degli studi per
la carriera ecclesiastica. In massima parte anche questi, come  i colleghi 
laici, sono costretti a procurarsi di che vivere al servizio di un potente od
occupando posti pubblici nello Stato della Chiesa, dove il religioso  sfora
abitualmente nel civile.

La
intellighenzia sammarinese ha una preparazione di altissimo livello, in quanto
si forma  nella  dura realtà dello Stato della Chiesa, dove i posti di lavoro
per i laici si contano col contagocce e dove gli ecclesiastici sono già in
sovrannumero. La si vede, questa preparazione,  nelle continue, estenuanti
trattative con Roma che cominciano all’inizio del Cinquecento con  Antonio
Orafo,  e che i sammarinesi, diversamente dalle altre comunità paragonabili per
dimensioni a quella del Titano,   sono in grado di condurre da soli, attraverso
appunto, i  propri, concittadini emigranti esperti di diritto o in carriera
nelle istituzioni ecclesiastiche.

A
Roma,  già  nel Cinquecento, quelli della Curia,  si rendono conto che ci vuole
coi sammarinesi  un contrattare attento come quando si negozia fra la
Sedia Apostolica e la Signoria di Venetia
. Constatano che la  determinazione
dei rappresentanti  sammarinesi nel curare gli interessi della Repubblica 
rasenta il fanatismo. Il fanatismo fa pensare a una motivazione religiosa. Per
cui arrivano a sospettare – siamo nella prima metà del  Cinquecento – che quei
montanari  non mirino solo alla autonomia politica,  ma anche a quella religiosa
e commo il Re d’Inghilterra impaciarsi del spirituale. Ai  tempi
dell’Alberoni, nel Settecento,  quei montanari, a Roma,  li considerano  
pressoché matti:  non sono per lo più capaci della raggione, e quelli, che
per avventura lo sarebbero, vengono dominati dalla passione
…..

Questi – fanatici –
sammarinesi, laici ed ecclesiastici, distribuiti, in numero così grande, in
posti di rilievo all’interno dello Stato della Chiesa e anche  oltre lo Stato
della Chiesa, assicurano al Titano una rete di informazione ed una classe
dirigente vasta e preparata che solo Stati di ben altre dimensioni possono
permettersi. Grazie ad essi, a questa intellighenzia che si procura da sé
all’esterno i mezzi per il proprio mantenimento,   si è ripetuto per secoli di
fronte alle varie evenienze della storia il miracolo della conservazione della 
libertà.

E’, quella sammarinese,
una  intellighenzia fatta di emigranti, per i quali la vita, come per ogni
emigrante, è tutt’altro che rose e fiori.  Per farsene un’idea  basta scorrere
il  curriculum di uno di questi,  il dottor  Gian Benedetto Belluzzi, un
professionista itinerante. Egli  – si noti –  non è, per così dire, un uomo del
popolo, arrivato per caso alla laurea, per cui è prevedibile  che debba pagare
lo scotto per aver voluto abbandonare la vanga. E’ un nobile. Appartiene ad una
delle famiglie più antiche della Repubblica, con rappresentanti sempre presenti
ai vertici del potere. Gian Benedetto Belluzzi, consigliere,  è stato più volte
Capitano. L’ultima volta  nel semestre precedente all’invasione
alberoniana.

In
quella drammatica circostanza sappiamo anche del contributo dato dai 150
emigrati a Roma durante l’inverno. Quell’inverno non è come gli altri inverni.
Quando sono partiti dal Titano, nell’autunno, dopo la semina, hanno lasciato un 
paese non come gli altri anni. A Palazzo non c’erano più i capitani a svolgere
come sempre le normali funzioni di governo. Ma  un riminese, un governatore
nominato dal card. Alberoni, arrivato su all’improvviso nella seconda metà di
ottobre. Al primo cenno di resistenza l’Alberoni aveva invaso il paese con
centinaia di soldati. C’era stato il saccheggio di alcune case. Fatti enormi,
mai accaduti in precedenza.

Il
papa,  a seguito delle reiterate proteste dei sammarinesi, poco prima di Natale,
ha scritto  ai capitani – quelli deposti dall’Alberoni – per avvertirli che
avrebbe mandato un suo delegato, mons. Enriquez,  a verificare  se i sammarinesi
preferivano – come affermava l’Alberoni –  essere governati da un forestiero
scelto dalle autorità pontificie oppure volevano tornare al governo lor solito,
cioè quello dei Capitani.

I
150 non potendosi colà trasferire ma volendo ugualmente dichiarare,
manifestare, e propalare il Desiderio che hanno di rimanere nel primiero stato
di libertà di Republica di S. Marino, quando così piaccia a Nostro Signore …
hanno determinato costituire come procuratore
, Girolamo Gozi. Sarà poi
Girolamo Gozi in virtù di quattro mandati di procura estesi per rogito del
Sig. Bernardino Rainaldi, Notaio dell’Eminentissimo e Colendissimo Sig.
Cardinale Vicario in Roma
a far presente al delegato pontificio come la
pensano i sammarinesi emigrati a Roma.

I
150, attorno a Capodanno 1739-40, si sono riuniti, alcuni  nella bottega ad
uso di Capellaro della Signora Agata … posta in campo di fiori
,  altri  in
casa del Sig. Giovanni Laurentini posta sulla strada detta del fico

***

Curriculum Gio:
Benedetto Belluzzi

*
Podestà, Gubbio, Luglio 1711- Dic. 1712;

*
Commissario, Monte Feltro, ottobre 1710 – 1711;

*
Commissario di Massa per un mese;

*Podestà, Pergola,
maggio – settembre 1710;

*
Podestà, Cagli, ottobre 1709 – maggio 1710;

*Podestà, S. Angelo in
Vado, 6 mesi;

*
Podestà, Urbania, per 6 mesi;

*
Commissario, Mondavio, per oltre un anno;

*
Podestà, Monte Cerignone, 1706;

*
Podestà, Senigallia, dicembre. 1712 – luglio 1715;

*
Uditore, Lucca, luglio 1715 – giugno 1718;

*
Uditore, Perugia, maggio 1722-aprile 1726;

*
Uditore, Genova, agosto 1727- 1730; Nel luglio 1730 nuovamente riposto nel
Bussolo della Ruota Civile di Genova;

*
Luogotenente Civile dell’Alberoni, Legato di Romagna, Ravenna, dal 1735 al 1738;

*
Dal 1738 Uditore a Bologna, dove si trova anche durante il periodo della
occupazione alberoniana.

****

Ad 13 Gen.
1740

Io
sottoscritto
Girolamo Gozi in
virtù  di quattro mandati di procura estesi per rogito del Sig.  Bernardino
Rainaldi, Notaio dell’Eminentissimo e Colendissimo Sig. Cardinale  Vicario in
Roma imploro dalla Clemenza del Sommo Pontefice, che siano restituiti al
primiero Stato di Libertà gl’infrascritti in numero di 150 = tutti della
Terra, e di diversi Castelli Dipendenti di S. Marino
= e questi sono:

 

Marco Antonio
Farnesi

Francesco 
Scambietti

Antonio  Maria
Guidi

Giuliano Lazzari

Andrea
Mengoni

Camillo
Muccioli

Pietro
Lazzarini

Bartolomeo
Paiani

Francesco 
Pasini

Giovanni
Pasini

Giorgio
Gianoni

Gregorio
Censotti

Francesco  Antonio
Nicolini

Pasquale
Painucci

Marino
Gianotti

Andrea
Gianotti

Marino Macina

Giacomo
Bernardi

Francesco
Bollini

Giovanni 
Biagioli

Domenico
Vaccarini

Giovanni  Mattia
Moratori

Marino
Paoloni

Antonio 
Ugolini

Bernabeo
Scambietti

Giuliano
Briccoli

Marino
Pirotta

Carlo Ugolini

Gaudenzo
Ugolini

Cristofaro
Berti

Domenico 
Briccoli

Biagio
Ugolini

Francesco
Nanni

Marino Rossi

Agostino
Capicchioni

Pier Battista 
Gianoni

Giovanni
Macina

Giovanni 
Lividini

Giuseppe
Sapori

Francesco Antonio
Malpeli

Francesco
Scarponi

Antonio di
Lodovico

Giuseppe Tini

Pier Antonio
Guidi

Carlo
Molaroni

Sebastiano
Mucioli

Giacomo
Cervellini

Francesco 
Arzilla

Francesco Antonio 
Carattoni

Domenico
Albani

Antonio
Chiaruzzi

 

 

 

Marino Martelli

Giovanni 
Forcellini

Silvestro
Raponi

Domenico  Antonio 
Babi

Giovanni  Maria
Mariotti

Pietro
Zaffarani

Pier Marino
Lazzari

Pietro Mattia
Gianotti

Pasquale
Sollari

Samaritano
Tini

Leone
Micheloni

Alessandro
Samartani

Pietro
Borgagni

Francesco
Moraccini

Cristoforo
Andreini

Antonio
Zonzini

Giuliano
Forcellini

Giuliano Della
Balda

Francesco 
Nardi

Giuliano di
Biagio

Silvestro di
Biagio

Giovanni 
Fratta

Girolamo
Casali

Antonio 
Nardi

Marino
Ugolini

Gaudenzo
Ugolini

Giovan  Battista 
Mengozzi

Marino Berti

Sebastiano
Berti

Agostino
Lucchini

Giovanni
Bandiera

Giovan  Battista
Renzi

Pier Domenico
Giorgini

Pasquino
Giorgini

Francesco 
Ugolini

Bernardino
Frangioni

MarinoAntonio
quond. 
Lorenzo

Domenico 
Calandra

Domenico
Bartoletti

Giorgio
Palmucci

Pasquale
Francioni

Simone
Micheloni

Giuseppe
Gianini

Cristofaro
Mazza

Domenico
Serra

Paolo Antonio
Gianoni

Bernardino
Tini

Biagio
Biagini

Matteo Mazza

Giovanni
Sarti

Andrea Tura

 

 

 

Giacomo
Valentini

Pasquale
Bollini

Tomaso
Pellegrini

Giovanni  Battista
Venturini

Marino Antonio
Fratta

Marino Berti

Michele
Sapori

Biagio
Forcellini

Mattia
Zonzini

Giovanni 
Borgagni

Antonio
Scarponi

Lorenzo
Casali

Pietro
Tabarini

Marc’Antonio
Lodovici

Domenico 
Rossini

Vincenzo
Rossini

Giovanni Paolo
Capicchioni

Marino
Marchini

Pietro
Zaffarani

Ubald’Antonio 
Ranieri

Giuseppe
Bollini

Vincenzo
Contucci

Marino
Moracci

Pietro Matteo
Casali

Marino
Terenzi

Agostino
Ravoni

Giovan Battista 
Bollini

Michele
Bollini

Antonio 
Nardi

Marino
Ugolini

Gaudenzo
Ugolini

Giovan  Battista 
Mengozzi

Marino Berti

Sebastiano
Berti

Michele
Bollini

Giuseppe
Vagnetti

Andrea Righi

Marino Morri

Matteo
Giulianelli

Marino
Muccioli

Battista
Bollini

Bartolomeo
Francioni

Andrea
Cecchetti

Ettore Tini

Pasquino
Scarponi

Giuliano
Broccoli

Mariano
Sensoli

Michele
Moratori

Sante Genari

Gregorio
Gianini

Giovanni
Tabarini

Marino Albani

Antonio 
Serra

Simone
Gianoni

Simone
Battistini

 

 

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