Da Verucchio un cipresso per gli “Ortiperlapace”

Da Verucchio un cipresso per gli “Ortiperlapace”

Lo spazio promosso del San Marino e Montefeltro Green Festival, si arricchisce della discendenza del Cipresso di San Francesco

Gli ORTIPERLAPACE avranno presto un nuovo ospite. Dopo il cachi di Nagasaki e recentemente il pino tibetano della scuola di Beslan, teatro della strage di 300 innocenti fra bambini e insegnanti, sono arrivati i semi del maestoso cipresso custodito nel chiostro del Convento di Santa Croce a Verucchio. Secondo la tradizione fu San Francesco d’Assisi a piantare quello che oggi è un colossale monumento vegetale alto 25 metri e con oltre 800 anni di storia.

La consegna ufficiale dei semi è avvenuta venerdì scorso per mano della sindaca di Verucchio Stefania Sabba al responsabile del progetto Gabriele Geminiani, già ideatore del San Marino e Montefeltro Green Festival. I semi saranno affidati ad Antonio Santini del Vivaio il Sorbo che ha già in custodia quelli del pino tibetano. Eravamo presenti alla cerimonia di consegna e abbiamo rivolto ai protagonisti alcune domande.

Geminiani cosa sono gli ORTIPERLAPACE e come nascono. 

“Gli ORTIPERLAPACE sono uno spazio destinato al raccoglimento e alla riflessione e nascono con lo scopo di promuovere la cultura della pace e della sostenibilità. Attualmente accolgono alcune piante dalle storie evocative fra cui il cachi discendente del cachi sopravvissuto all’atomica di Nagasaki. Sono quindi un luogo in cui le vittime delle più assurde atrocità, perpetrate per mano dell’uomo, sopravvivono e ci parlano attraverso gli alberi”.

Ci può anticipare su future acquisizioni?

“Abbiamo già stabilito contatti per poter prelevare semi e piante dal cimitero di Monte Sole a Marzabotto, così come di fare visita ai figli dello scrittore naturalista Mario Rigoni Stern. E a giugno del prossimo anno se tutto andrà bene, saremo a Gerusalemme sul Monte degli Ulivi, ma al momento resta solo un bel sogno”.

Sindaca Stefania Sabba, cosa pensa del progetto ORTIPERLAPACE e cosa può significare per il suo Comune entrare in questo “bosco che verrà” dal così alto valore simbolico?

“Si tratta sicuramente di un’iniziativa quanto mai attuale che parla di pace e di modelli in un momento storico purtroppo contrassegnato da guerre e crisi dei valori. Entrare in un circuito di questa entità, insieme al Kaki di Nagasaki, al Pino tibetano di Beslan e in prospettiva all’ulivo del Getsemani, non può che lusingarci e motivarci nel promuovere azioni e iniziative rivolte ai temi della pace e della giustizia sociale”.

In passato il Cipresso ha subito diverse traversie, fra cui incendi, bombardamenti e un fulmine. Qual è lo stato di salute attuale della pianta a detta degli esperti?

“Dopo essere stato preso di mira nel tempo dalle truppe napoleoniche, dall’incedere del tempo e da eventi atmosferici, ha subito più di un intervento di sostegno. L’ultimo, qualche decennio fa, concretizzatosi nei tiranti che attualmente lo “assistono”. E’ però in corso un progetto che si trova nella fase preparatoria e di studio per individuare soluzioni di sicurezza meno impattanti”.

Fra le varie novità che avete in cantiere, c’è anche far nascere a Verucchio un museo dedicato alle cose e nello specifico alle cose ritrovate. Può anticipare qualcosa?

“Quando Gabriele Geminiani ce l’ha proposto, siamo subito rimasti affascinati dal progetto. E anche le due motivazioni che lo accompagnano sono entrambe molto importanti. La prima di ordine ecologica: il rapporto tra l’uomo e le cose è fondamentale da diversi punti di vista, perché il problema ecologico non si affronta solo con una corretta raccolta differenziata dei rifiuti, ma agendo anche a monte: cioè acquistando meno e in maniera più oculata oggetti di buona fattura destinati a durare, in modo tale da arrivare a produrre meno rifiuti. La seconda motivazione è che questo museo che lavora sulla memoria delle cose rappresenta una sorta di archeologia del presente e si ricollega fortemente a quello che è il vero gioiello di Verucchio: il Museo Villanoviano, i cui i reperti appartengono a oltre 3000 anni fa. Ma sono sempre storie che narrano della vita della nostra comunità e che ci aiutano a dare un’anima e un nome ai nostri oggetti quotidiani, ad averne più cura”.

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