Intervista Portoghesi, sede Enta Cassa di Faetano

Intervista Portoghesi, sede Enta Cassa di Faetano

Il colpo d’occhio – sia da lontano, seguendo la strada che da San Marino Città porta a Faetano che dalla piazza del Castello – è davvero impressionante: una struttura imponente e bellissima, che sposa con delicatezza il paesaggio e che contiene, in nuce, elementi architettonici di assoluto valore. Dopo un lungo periodo di lavoro, ha aperto gli occhi ufficialmente il 17 maggio la nuova sede dell’Ente Cassa di Faetano, un progetto che porta la firma del professor Paolo Portoghesi, uno dei professionisti più rappresentativi del gotha dell’architettura italiana e internazionale.
Professor Paolo Portoghesi, un edificio viene costruito partendo dalle fondamenta. Quali sono le basi – sia progettuali che ideologiche – di questo nuovo lavoro?

“Dal punto di vista ideologico il programma era imperniato sulla necessità, da parte della fondazione, di costruire una nuova sede, utilizzando però questo edificio, che era una vecchia scuola elementare. In principio si era pensato a una sostituzione: demolire e ricostruire. Io ero perplesso di fronte a questa prospettiva perché secondo me questo edificio ha un suo pregio architettonico.
Un’opera costruita negli Anni Trenta, all’inizio degli Anni Trenta per la precisione, e che rispecchia le capacità di rinnovamento di questa società. La scuola elementare è stata frequentata da tutte le persone che hanno una certa età, quindi è un edificio caro ai cittadini. Distruggerlo e sostituirlo avrebbe significato una violenza ingiustificata. D’altro canto lasciarlo esattamente com’era sarebbe stato insignificante dal punto di vista architettonico e probabilmente poco funzionale per le esigenze dell’istituzione. Ho sposato in pieno l’idea di conservare e valorizzare questo edificio facendolo diventare qualcosa di nuovo rispetto a quello che era prima. (…) Quello che è certo è che l’opera è nata proprio dal luogo, dal tentativo di interpretare la bellezza del luogo”.
Dov’è diretta l’architettura oggi?
“In molte direzioni diverse. Da una parte che questa amnesia di tutto ciò che appartiene al passato e quindi la volontà di fare cose che non abbiano alcun rapporto con la storia. Dall’altro c’è un esigenza che sta diventando sempre più forte di pensare all’equilibrio della terra. Questa è in un certo senso una corrente opposta perché mentre la prima cerca di superare le regole la seconda si dà regole rigorose, il legame con il luogo, il salvataggio dei valori della terra. Io credo che finirà per prevalere questa seconda esigenza perché non è un’esigenza della corporazione degli architetti ma piuttosto di chi adopera l’architettura, dei cittadini in genere. (…)”.

Il professor Alberto Bassi, direttore del Corso di laurea in Disegno industriale della Repubblica di San Marino ha detto che il design si deve rivedere, deve capire di poter essere utilizzato anche nella vita. Esiste un problema analogo anche nell’architettura?

“In effetti questa disarmonia che viene indicata dagli architetti è un limite, a cui va data una risposta che riporti le cose più vicine alla vita. Nel design c’è il problema di consumare poco, di non sprecare, di fare le cose in armonia con la vocazione biologica. Mi sembra che oggi ci siano parecchi design che inseguono questa dimensione”.

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