La “Sammarinesità” di Luigi Lonfernini

La “Sammarinesità” di Luigi Lonfernini

Era un termine che, anni addietro, andava di moda; era un valore assoluto.

Fu riscoperto, in particolare, nel periodo in cui San Marino, uscito dalla seconda guerra mondiale, cercava faticosamente di trovare una sua strada per darsi un sistema economico che tentasse di contenere l’emorragia di concittadini (anni 50/60) che, per superare le difficoltà economiche interne, tentavano una nuova vita lavorativa con l’emigrazione.

Con il rafforzamento della nostra economia (anni 60/70) c’è stata una vera e propria attenzione, da parte dei Comuni limitrofi, nel tentativo di trovare uno sbocco lavorativo ai propri residenti: centinaia di lavoratori esterni hanno trovato una soddisfazione lavorativa all’interno di aziende sammarinesi ed in particolare nell’edilizia.

Con il lavoro all’interno è aumentata la pressione per trasformare “il permesso di lavoro” con la residenza, con la possibilità, poi, di acquisire la cittadinanza.

Il Consiglio Grande e Generale di allora, consapevolmente, ha resistito alle pressioni e, solo successivamente, sono intervenute azioni legislative per agevolare, anche se in maniera contenuta, la concessione della cittadinanza.

San Marino, nel tempo, in riferimento alla cittadinanza, ha sempre privilegiato lo “ius sanguinis” e cioè è cittadino sammarinese colui che nasce da cittadino.

Questo principio, tra l’altro, è rimasto anche a livello istituzionale.

Ancora oggi non possono essere eletti alla suprema Magistratura i cittadini non originari e cioè coloro che non discendono direttamente, per il diritto dello “ius sanguinis”, da cittadino originario.

Oggi, forse, mantenere una disposizione di questo tipo può essere considerata anacronistica, ma, nel tempo, aveva una sua ragione.

Si riteneva che i cittadini naturalizzati, che provenivano dalle Regioni limitrofe, inserite, in particolare nello Stato Pontificio, oppure in territori dominati da Signori, Principi, Vescovi ecc., restassero, in qualche modo, legati al territorio di provenienza, per cui, assumendo la Magistratura più alta, potevano essere condizionati nella loro attività politica.

Oggi esiste una eguale “spinta” da parte dei numerosi frontalieri per inserirsi a pieno titolo nel nostro tessuto politico – socio – economico.

In un grande Paese, certamente, il problema non si porrebbe, mentre in un piccolo Paese, a regime di Stato, come il nostro, potrebbe diventare se non devastante almeno pericoloso.

Non dimentichiamo che la nostra economia è stata e resterà fragile, per cui, l’aumento indiscriminato della popolazione su un territorio di 64 Km°, produrrebbe effetti negativi su tutto il nostro sistema socio – economico, senza considerare quello culturale legato alle tradizioni; tradizioni che, per ovvii motivi, si tramandano e si consolidano da generazione in generazione.

I Sammarinesi, se vogliono mantenere una loro identità, devono essere coscienti dei limiti che la natura ha imposto; limiti che i Sammarinesi, nel tempo, hanno saputo riconoscere e mantenere.

A coloro che vengono a lavorare nel nostro Paese, certamente, devono essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie che spettano a tutti i lavoratori; ma devono anche essere consapevoli che esiste anche un dovere istituzionale interno a cui devono tener conto: il Paese ha la necessità di mantenere un equilibrio che trova il suo fondamento non solo nelle istituzioni, ma anche nel rapporto tra territorio e popolazione.

Un’ultima considerazione: per mantenere una identità politico – culturale è necessario che ogni generazione sappia tramandare alle nuove quei valori che i Sammarinesi hanno custodito, nel tempo, gelosamente, affinché i giovani, nel mondo globalizzato, in cui cultura, economia si fondono, riescano a percepire che la nostra identità può essere valorizzata e riconosciuta qualora venga percepita come valore.

Luigi Lonfernini

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