L’oro dei diseredati, di Rosanna Ridolfi

L’oro dei diseredati, di Rosanna Ridolfi

L’anno appena trascorso ci ha raccontato storie terribili, di crimini dell’uomo contro i suoi simili più indifesi, di abusi e di violenze, di centinaia di donne uccise, di assurde morti sul lavoro, di massacri e guerre che non cessano.

Fra le tante a me è rimasta particolarmente impressa la storia di un migrante ghanese di nome Frederick.

Sono consapevole di quanto la questione della migrazione sia complessa, ma credo ci siano due punti da cui non si possa prescindere: da un lato il rispetto per le sofferenze di esseri umani che, per un assurdo ossimoro, sono costretti a mettere rischio le loro esistenze per sopravvivere; dall’altro il diritto che tanti giovani africani hanno di viaggiare, esplorare posti nuovi, sognare un futuro, esattamente come i loro coetanei europei. 

Forse conoscere le storie e i paesi da cui i migranti provengono ci aiuterebbe ad avere dell’Africa (che nella mente dei più ha assunto semplicemente il cliché di continente povero e sottosviluppato) un’immagine diversa e più corrispondente al vero.

Di Frederick, sono venuta a conoscenza il 21 giugno 2023; la sua è la storia consueta di un “migrante economico” che aveva lasciato la sua terra coltivando la speranza di una nuova vita in Europa. Giunto in Italia aveva in un primo tempo trovato accoglienza, aveva studiato la lingua, conseguito la licenza di terza media di cui andava orgoglioso, ma poi non aveva trovato lavoro e si era perso. Finendo ai margini. Fino a che due ragazzini, armati di cellulare per “immortalare” le proprie “imprese”, hanno deciso di porre fine al suo tempo sulla terra, facendogli volar via l’anima a forza di pugni e calci alla testa. Sembra che gli aguzzini contro cui la Procura di Napoli ha a suo tempo emesso il fermo con l’accusa del reato di omicidio volontario aggravato da “futili motivi e dalla crudeltà”, avessero appena 16 anni… 

 

Frederick, aveva quarantatré anni, tante speranze deluse e non faceva male a nessuno. Viveva in strada davanti ad un supermercato; lo conoscevano tutti e tutti gli offrivano qualche euro o qualcosa da mangiare.

Veniva dal Ghana, un paese situato sulla costa occidentale dell’Africa; i libri di geografia descrivono un territorio con pochi rilievi, verdi colline a ovest e al centro una vasta area ricca di corsi d’acqua e di laghi; il fiume Volta, il più grande e gonfio d’acqua, collega il lago che porta lo stesso nome con il Golfo di Guinea. Al nord si trovano ancora tratti di savana, in gran parte trasformata in zona agricola, dove sopravvivono elefanti, antilopi e leopardi. A sud est lagune e lembi di foreste tropicali che profumano di cedro. Sulla costa l’area urbanizzata e turistica, con capitale Accra.

I primi a giungere in questo lembo di terra furono i portoghesi e la chiamarono “Costa d’oro”, per la ricchezza del prezioso minerale nel sottosuolo. Dalla seconda metà del Seicento, insieme ad olandesi, inglesi e francesi, diedero l’avvio anche al brutale e vergognoso commercio degli schiavi, che durò quasi trecento anni: sono stati forse 12 milioni gli abitanti, soprattutto delle coste occidentali dell’Africa, deportati in ogni angolo del mondo, attraverso il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. La fortezza di Cape Coast Castle in Ghana, dove venivano ammassati come bestiame centinaia di esseri umani prima dell’imbarco per le “mete commerciali”, è ancora in piedi ed è diventata un museo, a testimonianza e monito.

 

Dalla seconda metà dell’Ottocento le principali potenze europee, considerando l’Africa una “res nullius” ovvero un territorio di nessuno, si autolegittimarono alla colonizzazione: squadra e righello alla mano disegnarono geometricamente nuove entità, smantellarono ogni dimensione istituzionale e politica preesistente, separando popoli, etnie, famiglie: i confini coloniali divennero di fatto barriere culturali e commerciali a uso e consumo degli europei. 

 

Verso la fine del XIX secolo il territorio della Costa d’oro entrò sotto il diretto controllo dei britannici che, per soddisfare le esigenze dell’economia industriale dei nuovi mercati europei, iniziarono anche lo sfruttamento di altre risorse naturali del territorio: cacao, avorio, legname, gomma, arachidi, olio di palma… 

 

Gran parte del continente africano continuò a lungo a subire saccheggi di risorse e di uomini. Il processo di decolonizzazione cominciò solo negli anni quaranta del Novecento e la Costa d’oro raggiunse l’indipendenza nel 1957, assumendo il nome attuale di Ghana.

Le straordinarie risorse presenti nel suo territorio – petrolio, gas naturale, oro, diamanti, argento, ferro, manganese, bauxite, litio (minerale utile per l’alimentazione di batterie, di grande interesse in questo momento; si pensi alle auto elettriche, ai sistemi fotovoltaici …) – hanno attratto investitori da tutto il mondo e il paese sembrava destinato a divenire uno dei più stabili, progrediti e ricchi d’Africa. Oggi è in corso una gravissima crisi economica, tanto che il Ghana ha dovuto indebitarsi pesantemente col Fondo monetario internazionale. 

Cosa non ha funzionato? 

Non solo il Ghana, ma tutto il territorio africano, pur tanto ricco di risorse naturali e del sottosuolo, è sempre più povero. Perché? Sicuramente investimenti sbagliati dei governi che si sono succeduti, inflazione, le crisi monetarie internazionali, la recente pandemia … e lo sfruttamento incondizionato del territorio da parte delle multinazionali straniere, che non mirano certo al progresso del paese in cui operano.

Attratte dai governi con agevolazioni di ogni tipo con la speranza di ricevere in cambio proventi e infrastrutture, nella maggior parte dei casi queste compagnie attuano uno sfruttamento illimitato delle risorse che genera loro profitti enormi che però finiscono all’estero; ciò causa l’impoverimento delle economie locali: sono soldi sottratti a scuola, sanità, alla crescita del continente; e se guardiamo cosa invece viene importato in Africa dall’Occidente, raramente si tratta di moderni mezzi agricoli, tecnologie avanzate o tecniche innovative nel campo dell’energia verde: sono soprattutto armi. 

(Ma chi sono allora davvero gli “invasori”?) 

Inoltre anche in Ghana è in atto una sistematica distruzione ambientale.

Il segmento di costa che dà sul Golfo di Guinea, un tempo popolato di villaggi di piccoli pescatori che con le loro variopinte imbarcazioni tradizionali trovavano sostentamento in un mare ricchissimo di pesci, oggi è in mano a molte società straniere; queste, celandosi dietro aziende locali di facciata per eludere la legge, praticano una pesca predatoria utilizzando le reti a strascico e stanno distruggendo la fauna marina e la vita dei pescatori locali.

Nella parte meridionale del paese è stata vandalizzata anche una preziosa zona umida: la Laguna di Songor, popolata di mangrovie e uccelli marini rari; qui fino a non molto tempo fa erano le popolazioni locali che in modo artigianale e senza abusi ambientali si occupavano dell’estrazione del sale; oggi anche questo luogo è in mano a grandi aziende straniere che applicano uno sfruttamento industriale per mezzo di pompe elettriche con effetti devastanti per il territorio.

A sud est c’è la foresta di Atewa che ospita una biodiversità straordinaria ed unica; è stata dichiarata zona protetta da tempo ma con la scoperta dell’oro anche nel suo sottosuolo, sono state aperte numerose miniere, che distruggono flora e fauna e avvelenano i corsi d’acqua con gli agenti chimici utilizzati per l’estrazione.

Athewa è anche ricchissima di bauxite e ciò ha spinto il governo ghanese a stipulare un accordo miliardario con la Cina per la sua estrazione e lavorazione, con la promessa di avere in cambio infrastrutture. Gli ambientalisti, anche locali, protestano per cercare di impedire l’ennesimo scempio di tesori ambientali, ma con scarsi risultati.

Al nord, la parte più povera e secca del paese, gli abitanti sono per lo più contadini semianalfabeti: esposti anch’essi agli effetti del riscaldamento del pianeta, spesso perdono il loro raccolto e così molti villaggi sono colpiti dalla carestia. L’educazione scolastica in Ghana è obbligatoria e gratuita dai 6 ai 15 anni, ma in questa zona le scuole sono difficili da raggiungere e le spese del materiale scolastico e dei trasporti, a carico di famiglie spesso indigenti, non possono essere affrontate; così molte volte i bambini vengono tolti dalla scuola e ceduti come manodopera a poco prezzo ai proprietari delle piantagioni. Scarseggiano gli ospedali e la mortalità infantile o per parto è ancora elevata.

L’unica alternativa per i giovani delle zone rurali è andare a cercare lavoro altrove, sperando di poter guadagnare abbastanza da poter aiutare poi anche la famiglia. 

 

La prima meta è di solito la grande Accra. Giunti qui si adattano ad ogni lavoro: molti fanno gli ambulanti o scaricano per tutto il giorno sacchi di fave di cacao al mercato; oppure insieme ad altri disperati finiscono ad Agbogbloshie. Quest’area, grande quanto16 campi da calcio messi insieme, era un tempo occupata dall’oasi verde della laguna di Korle: oggi è diventata la discarica più grande d’Africa, definita “e-waste ecosystem”. Arrivano qui illegalmente come “dispositivi di seconda mano” rifiuti elettronici e tecnologici di ogni genere: televisori, monitor, computer, tastiere, cellulari, vecchie stampanti, che provengono da Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Germania, Danimarca, Svezia, Italia e Francia, che invece di smaltirli e riciclarli nei loro territori, con le attrezzature adeguate, senza rischi per la salute e per l’ambiente, per risparmiare sui costi li riversano in Africa.

Quando pensiamo che le storie di migranti che arrivano da noi come clandestini non ci riguardino, dovremmo invece ricordare che spesso il nostro benessere è pagato a caro prezzo proprio da chi rifiutiamo: in questo caso specifico la nostra continua domanda di nuove apparecchiature si trasforma in tonnellate di dispositivi obsoleti che vengono smaltiti in Ghana. 

 

In questa spazzatura hi-tech vi sono parti ormai inutilizzabili che vengono bruciate: i residui della combustione come piombo e antimonio, pericolosamente inquinanti, vengono portati dai corsi d’acqua nel Golfo di Guinea insieme ad una grande quantità di plastica. 

Ma i dispositivi e i cavi contengono anche parti pregiate, come fibre di rame, argento e oro: così ogni giorno, alla ricerca di qualcosa che si possa ancora rivendere, questi poveretti, tra cui anche tanti bambini, inalando sostanze tossiche, spaccano con le mani e senza alcuna protezione i rifiuti elettronici dell’Occidente. 

 

Poi molti, in mancanza di altre prospettive, messo da parte del denaro, tentano di raggiungere l’Europa, prima attraverso il deserto e poi dalla Libia o dalla Tunisia…

Noi vediamo solo la parte finale del viaggio dei migranti, ma quanto dolore viene sopportato prima di giungere sulle nostre coste da questa gente?

 

Mi sono chiesta da quale area del Ghana provenisse Frederick. Certamente anche lui aveva affrontato il deserto. Era sopravvissuto a un lager libico. Era scampato alla traversata del Mediterraneo…  Se i ragazzini che hanno spezzato la sua vita avessero studiato un po’ di storia e di geografia dell’Africa, forse la conoscenza avrebbe impedito l’insorgere di quell’odio insensato che ha alimentato la loro furia. L’ignoranza genera sempre pregiudizio e il pregiudizio genera a sua volta intolleranza, odio, violenza …

 

Per le migliaia di vite distrutte dal sole cocente del deserto, inghiottite dalla furia del Mediterraneo, uccise dall’incuria di chi poteva salvarle o, come nel caso di Frederick, schiacciate dalla crudeltà e dall’ignoranza, un giorno verrà chiesta giustizia …

E in quel giorno cosa si dirà di noi, noi che restiamo immobili nella storia, passivi e indifferenti, assuefatti ormai ad ogni forma di barbarie? 

 

Rosanna Ridolfi

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