Luca Lazzari intervento in Consiglio

Luca Lazzari intervento in Consiglio

Negli interventi che mi hanno preceduto ho potuto ascoltare considerazioni sull’autonomia del potere della magistratura, sulla distinzione tra responsabilità afferenti l’ambito politico e responsabilità afferenti l’ambito professionale, sulla necessità di norme più adeguate circa le cause di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dagli incarichi, eccetera. Certo, sono tutte considerazioni di buon senso, con le quali non si può non essere d’accordo, ma che però toccano a mala pena la superficie della questione che ci troviamo ad affrontare.
Le dimissioni di Lonfernini e Marcucci non possono essere rubricate come una vicenda personale, come un semplice incidente di percorso. Le dimissioni di Lonfernini e Marcucci sono uno dei segni della grave malattia che ha colpito la politica e su cui chi siede in quest’aula ha il dovere di interrogarsi profondamente.
Tutto è da preferire al silenzio e alle frasi di rito. Tutto purché ci si dica ciò che si pensa, magari in modo goffo, imbarazzato, impacciato, non importa. Ciò che importa è che insieme ci si impegni in un esercizio collettivo di ricerca della verità. Non la verità assoluta ma la verità che riconcilia il Paese con se stesso. Perché senza riconciliazione non ci può essere fiducia, e senza fiducia ogni soluzione politica ha il senso dell’inganno e della prevaricazione.
La riconciliazione a maggior ragione è una via obbligata per una società piccola e confinata come quella sammarinese dove le vite di tutti si intrecciano le une con le altre. Posso farvi degli esempi personali: il mio più caro amico d’infanzia è il fidanzato della sorella di Giovanni Lonfernini; Fiorenzo Stolfi era sposato con la cugina del mio povero babbo, da bambino ci giocavo a pallone.
Attenzione però: riconciliazione non significa perdono incondizionato. Il primo passo per la riconciliazione è il riconoscimento dell’errore: “ho sbagliato, ho commesso questo errore e mi dispiace”. Dopodiché si deve tentare di correggere l’errore in ogni modo possibile (per esempio, se uno ha rubato, quel che ha rubato lo deve restituire). Probabilmente è uno scenario inverosimile, me ne rendo conto, però non è uno scenario fuori dalla storia: nel Sud Africa di Nelson Mandela, dopo la fine dell’apartheid, la guerra civile venne evitata con l’istituzione di un tribunale straordinario chiamato proprio “Commissione per la verità e la riconciliazione”.
Nella riconciliazione diventa anche più facile comprendere le ragioni dell’altro. Un esempio, Giovanni Lonfernini: a soli 26 anni è stato nominato segretario politico del primo partito sammarinese. Era il 2002, il vento dell’affarismo soffiava fortissimo e il finanziamento illecito ai partiti era la prassi. Certo, avrebbe potuto dimettersi, denunciare: e queste sono condizioni soggettive che hanno a che fare con la sua responsabilità personale e col suo errore. Ma poi ci sono le condizioni oggettive, cioè l’egemonia assoluta di un modello che formava le coscienze.
Quel che personalmente mi aspettavo da Lonfernini e Marcucci, prima ancora delle dimissioni, era che aiutassero l’avvio di questo esercizio collettivo di ricerca della verità, come antidoto al potentissimo veleno della corruzione, che ha distrutto il senso di appartenenza a una comunità e che ha reso ogni sammarinese orfano del proprio Paese.
Una nota particolare riguarda il consigliere Marco Gatti il quale ha approfittato del comma per parlare della propria situazione poiché in queste settimane è anche il suo nome a circolare sui giornali per presunti coinvolgimenti in inchieste giudiziarie. Mazzini a parte, sembra che il consigliere Gatti in qualità di amministratore di una società chiamata E-Vox si sia prestato e emettere fatture false per svariate decine di milioni di euro all’interno di un complesso ed esteso sistema di frode a cui avrebbero partecipato anche esponenti del Clan Di Lauro.
Mi rivolgo al consigliere Gatti: siamo tutti e due domagnanesi; eravamo vicini di casa; siamo cresciuti tra il circolo di Don Elviro e il confine di Dogana. Che cosa c’entriamo noi con il Clan di Lauro?
Un’intera classe politica ha passato il segno per spavalderia, brama di denaro e imprudenza. Una delle conseguenze più gravi è l’esautoramento del Consiglio delle sue funzioni di indirizzo politico e di controllo. Sopra la sua testa camminano le logge spurie, i truffatori, i gruppi criminali e speculativi: una vera e propria aggressione silente (e quindi pericolosissima) all’autonomia della Repubblica. Alla politica migliore, di palazzo di movimento o estemporanea che sia, il compito di sventarla.

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