Matascia Ronchetti, l’Espresso. San Marino ‘sogna’ Lussemburgo

Matascia Ronchetti, l’Espresso. San Marino ‘sogna’ Lussemburgo

l’Espresso

Sognando Lussemburgo

Il Fondo monetario chiede nuove
tasse. Le banche chiudono. I capitali fuggono. E allora il Titano pensa a
cambiare…

Natascia Ronchetti

Un mondo alla rovescia. Sul Titano si è tutto capovolto. Prima piovevano capitali dall’estero. Adesso se ne vanno oltre confine, nei caveau italiani e svizzeri anche i depositi sammarinesi.
Anni fa erano gli italiani a tentare di agguantare un certificato di residenza nella piccola repubblica. Ora sono i giovani sammarinesi ad agognare la cittadinanza del Bel Paese: quando cercano lavoro all’estero, essendo extracomunitari rischiano grosso, come è accaduto di recente a un ragazzo che cercava occupazione in Gran Bretagna e, dopo una notte in cella, è stato rispedito a casa.
Governo e istituti di credito si arrovellano su come uscire dalla più grave crisi finanziaria ed economica dell’ultimo mezzo secolo. La soluzione? Ricalcare le orme del Lussemburgo. Vale a dire fisco leggero, burocrazia snella, servizi rapidi ed efficienti.  Soprattutto autorevolezza internazionale. Alla Banca centrale di San Marino lo ripetono come una mantra che il Titano ora deve diventare una piazza finanziaria simile al Granducato, Un progetto che richiede di rivoltare come un calzino il sistema bancario, ormai in ginocchio. Già perché fino a pochi fa qui gli istituti di credito si limitavano ad aprire sportelli e a dare il benvenuto ai clienti stranieri con un segreto blindato. Oggi fanno i conti con il crollo della raccolta, scesa a poco più di 7 miliardi da 14 che era. E passi lo scudo fiscale, che li ha drenati nei depositi italiani. L’emorragia sembrava finita lì. Invece hanno cominciato a prendere il volto anche i capitali sammarinesi. Qualcosa come 700 milioni, secondo le prime stime. Tutti in fuga dalle banche, che in tre anni insieme a quasi 500 milioni di patrimonio, hanno perso solidità e affidabilità.
Se n’era accorta già l’Unicredit dell’aria che tirava. Tanto da ritirarsi dalla Banca Agricola, cedendone il controllo, a una cordata di azionisti guadata da un imprenditore locale. Così la Cassa di Risparmio di Rimini, uscita da Credito Industriale. Tre commissariamenti da parte di Banca Centrale hanno fatto il resto. Il Credito sammarinese è finito in amministrazione coatta, con una perdita di 40 milioni pagata dallo Stato. A sua volta la banca commerciale è stata costretta a disporre il blocco dei pagamenti. Quanto bastava a scatenare il panico.

Da dodici che erano gli istituti di credito, tra chiusure e accorpamenti, fra un po’ saranno sette.
Renato Clarizia, presidente di Banca Centrale, tenta nonostante tutto di iniettare un po’ di fiducia. “Il ridimensionamento del sistema è in parte fisiologico”, dice, “Ora però serve una maggiore professionalizzazione: quello che immaginiamo è una piazza capace di attrarre investimenti stranieri con servizi finanziari efficienti e con una estrema semplificazione amministrativa, nei limiti della trasparenza e delle normative internazionali. Il modello è il Lussemburgo, una piccola realtà dove si possono fare velocemente grandi cose”.
Ma il fatto è che tanta trasparenza ha bisogno di una sponda politica. E come fa notare Tonino Carattoni, membro della Segreteria del Psd, il Partito Democratico sammarinese, “il Granducato ha un pezzo da novanta come Jean Claude Juncker, il presidente dell’Eurogruppo. Anche noi avremmo bisogno di un peso massimo da spendere in Europa, invece abbiamo solo pesi medi”.

L’ultima mazzata è arrivata dal Fondo Monetario Internazionale. In missione sul Titano ha passato al setaccio banche e bilancio dello Stato. Per concludere che nel 2012 ci sarà una perdita di due punti percentuali di Pil e che il debito pubblico (200 milioni) potrebbe salire a 300 se lo Stato non continuerà a sforbicciare la spesa, già tagliata del 17 percento, ed aumentare le tasse. “Vi è stata ampia condivisione – ha scritto nella sua relazione l’Fmi – che costruire un modello di sviluppo sostenibile in linea con il nuovo assetto mondiale, e non più basato su segreto bancario e paradiso fiscale, è una sfida fondamentale a lungo termine”.
L’era di un fisco al minimo è del resto già finita. Il Governo quest’anno ha introdotto una patrimoniale sui beni immobili che dovrebbe assicurare circa 20 milioni, tanto per tamponare le falle di banche e società finanziarie, che fino al 2008 assicuravano, solo con imposte dirette, 110 miliioni, oggi scesi a 85. Poi tutti si chiedono come fermare l’esodo dei capitali sammarinesi.
Il Segretario di Stato alle Finanze Pasquale Valentini,un’idea ce l’ha: uno scudo fiscale sullo stampo di quello italiano, con una detassazione per i cittadini e una detrazione di imposte per le imprese. “Vogliamo far emergere il sommerso”, spiega.
Che è come tentare di centrare una formica con un missile, perché a spingere il danaro oltre i confini sono i timori di solidità delle banche. “Ne risentono anche le entrate che sono diminuite del 30  per cento”, ammette Valentini, “e in queste condizioni è difficile sostenere il nostro welfare. Il Fondo Monetario ci dice di aumentare le imposte, noi però dobbiamo trovare una soluzione per mantenere la competitività grazie a una fiscalità comunque leggera”.

Nel frattempo la disoccupazione galoppa sul 6,5 per cento, numeri mai visti da queste parti, con oltre 1.200 persone in cerca di un lavoro, 800 delle quali espulse dal mercato finanziario. Tanto che adesso il sogno è il passaporto tricolore.

“I neo laureati cercano lavoro all’estero”, dice Maria Roda Di Nubila, responsabile dello sportello Infromagiovani, “e vanno a caccia di nonni o bisnonni italiani per ottenere la cittadinanza italiana. perché le vie d’uscita sono poche. Non possiamo beneficiare di programmi comunitari. E qui non ci sono più opportunità”.
Così tutti vorrebbero entrare nella Ue. “Siamo vittime del sistema precedente, quando tutto era basato sulla ricerca del soldo facile anche se di dubbia provenienza, osserva sconsolato Matteo Ciacci, 21 anni, studente di giurisprudenza a Urbino; “oggi che le risorse non ci sono più, siamo noi a pagare il prezzo più alto”.

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