Michele Fullin e Gianluca Amadori, Il Gazzettino: indagine Chalet, documenti dei pm nascosti da Baita a Roma

Michele Fullin e Gianluca Amadori, Il Gazzettino: indagine Chalet, documenti dei pm nascosti da Baita a Roma

 Il Gazzettino

 Fondi neri Mantovani, trovato a Roma
l’archivio dei pm “schedati” da Baita

Le copie di documenti riservati sono la prova della presenza
di talpe negli uffici della procura. Nicola Buson resta detenuto

Michele Fullin e Gianluca Amadori

 VENEZIA – Schedature di magistrati e copie di documenti provenienti da uffici giudiziari, apparentemente senza giustificazione. La Guardia di finanza li ha rinvenuti nella sede di una società romana, perquisita nei giorni scorsi sulla base della confessione resa agli inquirenti dal ragioniere padovano Mirco Voltazza, il quale ha raccontato al pm Stefano Ancilotto di aver siglato un contratto di quasi un milione e 400mila euro con l’allora presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, per organizzare un servizio di “spionaggio” finalizzato ad evitare «aggressioni da parte delle forze dell’ordine e della magistratura».

La documentazione relativa al clamoroso sequestro è stata prodotta ieri mattina dal pm Ancilotto davanti al Tribunale del riesame di Venezia, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione presentata dal direttore amministrativo della Mantovani, il padovano Nicolò Buson, accusato di associazione per delinquere finalizzata a false fatture milionarie assieme a Baita, Claudia Minutillo (amministratrice di Adria Infrastrutture) e al presidente della Bmc Broker, William Alfonso Colombelli. Quelle carte, rinvenute dalle Fiamme Gialle, sono indicate come la prova dei tentativi di depistaggio messe in atto dalla Mantovani per cercare di uscire indenne dalla verifica fiscale iniziata nel 2010, e forse anche dell’esistenza di “talpe” in grado di avere accesso diretto ad atti giudiziari, e disposti a “girarli” agli 007 assoldati da Baita.

L’inchiesta, dunque, pare destinata ad uscire dai confini del Veneto con possibilità di nuovi sviluppi a breve. Intanto Buson rimane in custodia cautelare nel carcere di Treviso. Lo ha deciso il collegio rigettando il ricorso dell’avvocato Fulvia Fois per una modifica dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip Alberto Scaramuzza, e la concessione di una misura più tenue, come gli arresti domiciliari. L’udienza (alla quale non ha partecipato l’indagato, detenuto a Treviso) si è aperta con colpo di scena: il sostituto procuratore Stefano Ancilotto – che conduce l’inchiesta assieme al collega Stefano Buccini – ha presentato anche alcuni documenti che, secondo gli inquirenti, proverebbero il coinvolgimento di Buson non in forma marginale nella vicenda legata alla false fatturazioni per circa 8 milioni in capo al gruppo Mantovani. Tra questi, il verbale di una perquisizione domiciliare con il ritrovamento di materiale definito interessante da un punto di vista indiziario.

Il collegio presieduto dal giudice Angelo Risi si è convinto, evidentemente, che Buson non fosse un semplice “contabile”, ma abbia avuto un ruolo attivo nella produzione delle presunte false fatture utilizzate dalla Mantovani per realizzare fondi neri; nonché nelle attività di inquinamento probatorio con le quali il Gip ha motivato l’esigenza cautelare. Le motivazioni del provvedimento del Riesame, saranno disponibili lunedì o martedì. La difesa di Buson si è opposta alla produzione dei documenti presentati dal pubblico ministero per l’intempestività del deposito. In subordine, l’avvocato Fois ha chiesto l’inutilizzabilità degli atti, perché prodotti nel corso di udienze dedicate ad altri indagati. Si trattava per lo più di verbali di interrogatorio di Mirco Voltazza, il consulente che una settimana fa ha parlato a lungo (circa 6 ore) con il Pm nella sede del Nucleo regionale di polizia tributaria; verbali peraltro pieni di “omissis”. Per questo motivo il legale ha lamentato la lesione del diritto di difesa. Venendo al merito, l’avvocato Fois ha sostenuto che nell’ordinanza di custodia cautelare il pericolo di inquinamento delle prove è stato sollevato solo con riferimento alle attività dei coindagati, senza mai richiamare la figura di Buson. «Occorre rivalutare le esigenze cautelari – ha detto – e verificare la riconducibilità del pericolo alla condotta effettivamente posta in essere dall’indagato, non solo per una mera relazione che questi aveva con gli altri».

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