Norme in materia di procreazione cosciente e responsabile

Norme in materia di procreazione cosciente e responsabile

E’ convinzione dei proponenti questo progetto di legge di iniziativa popolare che la maternità dovrebbe sempre originarsi da una libera scelta della donna. Scelta che sarebbe più  “facile”, qualora il concepimento non avvenisse per sbaglio, ma tra persone mature, capaci di un progetto genitoriale e di condivisione della cura per la prole e qualora non comportasse penalizzazioni economiche e lavorative per la madre.

Di fronte ad una gravidanza indesiderata lo stato sammarinese ha finora previsto un’unica risposta, punitiva, nei confronti della donna. L’interruzione volontaria della gravidanza è ancora reato penale.

Anche paragonata ad altre legislazioni fortemente restrittive nei confronti dell’aborto, la normativa sammarinese appare particolarmente odiosa, prevedendo il carcere – da 5 a 7 anni- per la donna che decidesse di abortire, anche se il concepimento fosse l’esito di uno stupro. Aggiungendo violenza alla violenza. Non viene considerata la condizione della madre, ignorate le variabili legate alla sua età, alla salute psico-fisica, al disagio sociale o all’indigenza.

Unica, ipocrita, diminuzione degli anni di prigionia è quella prevista nel caso in cui l’aborto venga  fatto per motivi d’onore, per “buona fama” della donna non sposata.

Che il settore femminile delle nostre carceri di fatto non sia abitato da donne colpevoli del reato di interruzione volontaria della gravidanza è solo dovuto alla esiguità dei nostri confini, alla mancanza di denunce ed alla ragionevole volontà della Magistratura di non predisporre indagini al proposito, ma nulla toglie alla illiberalità della legge.

Una legge che non lascia la donna libera di disporre del proprio corpo, ma neppure conosce le eccezioni di situazioni limite in cui vi siano giovanissime, violenza, malattia fisica o mentale,  disagio. Auspichiamo che, se anche non dovesse essere accolta dal Legislatore questa proposta di legge, almeno vi sia l’intenzione di modificare nel senso della pietà umana l’attuale normativa.

Se non si vuole negare alle donne il diritto personale –inalienabile- a disporre del proprio corpo, al decidere autonomamente su una questione fondamentale della propria esistenza, l’aborto costituisce un evento spiacevole – da prevenire il più possibile nell’interesse stesso della donna- ma dovrebbe essere comunque una opzione lecita.

La colpevolizzazione femminile nella attuale normativa si cala in un contesto socio-sanitario-educativo non ancora in grado di promuovere capillarmente una sessualità non degradante e rispettosa dell’altro e neppure concepimenti indesiderati.

Occorre, per tutti, uomini e donne, un’informazione esaustiva ed un accesso facilitato ai metodi contraccettivi, affinchè i figli non “arrivino”, ma siano ricercati all’interno di un contesto accogliente.

Negli ultimi anni in questo ambito sono stati fatti dei passi avanti, come l’istituzione del Centro Salute Donna che si occupa in generale della salute sessuale e riproduttiva della donna, o la sperimentazione di progetti sull’affettività e l’educazione sessuale nelle scuole. Ma bisognerebbe, così come prevede questa proposta di legge, andare più decisamente in questa direzione, investendo in consultori o servizi similari, rendendo più economica e fruibile la contraccezione e prevedendo l’istituzionalizzazione nelle scuole di ogni ordine e grado dei progetti di educazione all’affettività e sessuale.

Se l’aborto non deve essere –giustamente e a tutela della stessa salute della donna- strumento di controllo delle nascite, occorre però che vi sia una diffusa conoscenza delle pratiche che permettono questo controllo ed un facile accesso alle stesse.

In Europa, con limitatissime eccezioni, è riconosciuto il diritto della donna ad una maternità consapevole, e vi sono più raccomandazioni della UE affinché l’aborto sia legale e sicuro.

Le diverse legislazioni che riconoscono il diritto all’autodeterminazione femminile si differenziano principalmente per i limiti temporali per i quali per abortire è sufficiente la sola deliberazione materna e quando invece iniziano ad occorrere certificazioni medico/psicologiche che attestano che il proseguimento della gravidanza nuocerebbe alla salute psico-fisica della madre. Il diritto della donna a potere disporre del proprio corpo viene contemperato da limiti oggettivi volti alla tutela del feto man mano che questo prosegue il suo processo di sviluppo e diminuisce la sua dipendenza dal corpo della madre.

Ad impedire il riconoscimento all’autodeterminazione della donna nel nostro paese è, crediamo, una arretratezza culturale di matrice patriarcale che a lungo ha identificato la donna con il ruolo privato di moglie e madre, considerandola non nella sua individualità, ma come “strumento” per disegni altrui famigliari o nazionali (la cura e perpetuazione della famiglia e della stirpe). Storicamente questo ha comportato per le cittadine sammarinesi una lunga esclusione dalla rappresentanza politica, la limitazione all’accesso a  ruoli e funzioni pubbliche e, tanto venivano identificate con il solo ambito domestico che se sposavano un forense cambiavano nome e cittadinanza, perdendo quella sammarinese. Si tratta di un retaggio patriarcale, di una volontà esterna di controllo sui destini,  sulla sessualità e sulle funzioni riproduttive femminili che  tanta sofferenza ed umiliazioni ha già recato alle sammarinesi.

La nostra legislazione non distingue neppure tra i diversi momenti della gravidanza, considerando allo stesso modo l’ovulo fecondato, l’embrione ed il feto. Come se la presenza o meno, ad esempio, di un sistema nervoso attivato fosse irrilevante.

Per la concezione cattolica, che ha ispirato le più rigide legislazioni antiabortiste di San Marino, Malta e del Vaticano (legislazioni per cui l’aborto non è consentito neppure se la gravidanza arreca gravi danni alla salute fisica o psichica della donna) vi è un’anima immortale ed eterna fin dall’ovulo fecondato, anzi, esiste da ancora prima in attesa di entrarvi. Occorre quindi che la natura (espressione della volontà divina) faccia il suo corso senza impedimenti. Posizione che, nella sua coerenza, vieta anche  la contraccezione  ovvero l’interruzione del processo naturale che porta alla venuta al mondo di una persona e della sua anima eterna ed immortale.

Sgomberiamo il terreno da questioni metafisiche quali l’anima eterna che usa lo strumento donna per entrare nello strumento corpo del nascituro; uno Stato non integralista/teocratico non potrà legiferare su queste basi.

In uno stato laico il legislatore non dovrebbe farsi portatore acritico di concezioni di matrice religiosa, che attengono alla sfera privata del singolo credente e non alla sfera pubblica della cittadinanza.

Razionalmente -a meno di sposare una concezione di estremo materialismo che misconosce completamente il ruolo della biologia, della cultura, dell’affettività, delle relazioni nella costruzione dell’essere umano  e che riduce la complessità umana al nostro corredo genetico, contenuto appunto nell’ovulo fecondato- non è univocamente accettabile considerare l’ovulo fecondato o  l’embrione già un individuo soggetto di diritto.

Il soggetto di diritto è la madre, che desidera il nascituro, che lo considera “figlio” prima ancora di sentirlo nel ventre e che diviene parte lesa qualora le si procurasse un aborto contro la sua volontà.

La prima relazione del corpo femminile con l’embrione è biologica e si instaura automaticamente,  spetta a lei  – alla donna- ammantare tale status biologico di altri valori e significati. Man mano che procede il processo di crescita, poi cresce anche la complessità organica ed  il valore collettivo che viene dato al feto ed arrivano i limiti alla deliberazione materna, ma rendere reato penale l’aborto fin dal concepimento è  una scelta confessionale, giustificabile nella teocrazia vaticana, non in uno Stato che si definisce laico.

Per la gradualità dei processi biologici, in cui non vi è solo cambiamento quantitativo ma evoluzione qualitativa, vi è senza dubbio una radicale e sostanziale differenza tra lo stato iniziale e quello finale del processo.  Sembra lapalissiano ribadirlo ma l’ovuolo fecondato e l’embrione ed il feto del primo trimestre ed il neonato non sono qualitativamente la stessa cosa, ma questo è già riconosciuto di fatto dal momento in cui alla donna è consentito svolgere le consuete mansioni lavorative nei primi mesi di gravidanza, quelli in cui  si verificano maggiormente gli aborti spontanei, e l’anagrafe non li classifica come “decessi”.

Prima di costringere una donna a mettere a disposizione il proprio corpo contro la propria volontà per rendere possibile lo sviluppo del nascituro, il legislatore dovrebbe porsi anche la questione di quanto ciascuno possa essere obbligato continuativamente ed in modo invasivo a salvare qualcun altro.

Con una forzatura – che aiuterà anche i maschi (la componente a tutt’oggi di gran lunga maggioritaria nei nostri organismi legislativi) a capire qualcosa che non può accadergli – si può dire che rendere la maternità obbligatoria sarebbe come obbligare ciascuno a donare continuamente il proprio sangue a chi necessita per vivere di trasfusioni: la donazione di parte di sé è sicuramente meritoria, ma non è certo sottoposta a costrizione, si tratta di un atto volontario, come sempre volontaria dovrebbe essere la maternità, cioè la messa a disposizione del proprio corpo per permettere la vita del nascituro.

Con il reato penale di aborto volontario si ledono i diritti civili delle donne, si continua a negare loro la facoltà di disporre liberamente di sé medesime su questioni fondamentali della propria esistenza. Le si considera ancora  strumenti, oggetto di volontà altrui, famigliari o statali, umane o divine, dedite loro malgrado al supremo dovere di seguire il finalismo stabilito dalla natura.

Solo se l’aborto è lecito, allora la donna non è più legata primariamente alla finalità delle proprie funzioni riproduttive e può pretendere che le sue esigenze personali, il suo diritto all’autodeterminazione,  abbiano la precedenza sul cosiddetto “ordine naturale”.

Solo ammettendo la liceità dell’aborto, pur cercando di non arrivarci mai, si riconosce la maternità non come destino meramente naturale, ma come libera scelta della donna.

Se pure non si condivide l’idealità di questo progetto di legge, teso all’emancipazione femminile, speriamo che l’attuale legislazione antiabortista venga comunque abrogata perché fallimentare nel suo scopo di evitare gli aborti.

La conseguenza pratica dell’attuale legislazione, che rifiuta una qualsiasi regolamentazione non punitiva dell’aborto, è che le donne sammarinesi devono arrangiarsi e cercano oltre confine una risposta alle loro difficoltà. Si crea una disparità fra persone con differenti risorse non solo economiche ma anche culturali ed organizzative che penalizza i soggetti più deboli.

Continuare a considerare l’aborto reato penale non serve ad impedirlo, quanto piuttosto a renderlo invisibile e  pericoloso per chi si arrangia, con disperazione, in modo sbagliato.

Questa legge è volta a legalizzare e rendere sicuro l’aborto,  regolandone le modalità, allineandosi nella tempistica alle scelte legislative prevalenti in Europa, ma anche a rendere la maternità una scelta consapevole e più “facile” di quanto non sia ora.

A sostegno della depenalizzazione dell’aborto si è da tempo pronunciato anche il Parlamento Europeo, invitando tutti i Paesi membri a renderlo legale, sicuro ed accessibile a tutte.

La risoluzione del Parlamento Europeo del 2003 “sui diritti sessuali e riproduttivi” chiede a tutti gli Stati membri o aspiranti tali di “astenersi in qualunque caso dal perseguire le donne che si sono sottoposte ad aborto illegalmente” ed inoltre sollecita la fornitura di contraccettivi e servizi per la salute sessuale “a titolo gratuito o a un costo molto basso per i gruppi meno abbienti” . L’Europa sostiene e promuove una strategia per l’esercizio effettivo, libero e consapevole dei diritti riproduttivi all’interno di una legislazione che assicuri alla donna la tutela della propria salute ed in cui l’interruzione della gravidanza non sia l’ultimo sistema anticoncezionale. Per questo occorre vi sia legalizzazione dell’aborto, facile accesso agli anticoncezionali e politiche educative che non affrontino la sessualità come fosse semplice biologia, ma promuovano il rispetto di sé e dell’altro. I dati raccolti finora in Europa avallano questa tesi: una legislazione permissiva sull’aborto associata ad una grande disponibilità di anticoncezionali ed a servizi di pianificazione familiare di alta qualità producono meno interruzioni volontarie di gravidanza.

Nel rifiuto di ogni legislazione punitiva nei confronti della donna che decida di abortire, questa proposta di legge riprende in parte la legislazione italiana. Ugualmente rifiuta l’aborto quale mezzo contraccettivo, prevede l’impegno statale nel rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla scelta della maternità, ed anche pone il termine dei 90 giorni per precedere all’interruzione volontaria della gravidanza. Tale termine è sembrato una mediazione opportuna tra il diritto di scelta della donna ed il valore sociale attribuito al feto.

Questa proposta di legge vuole inoltre sancire, come avviene nelle leggi liberali europee, il diritto della donna a decidere, entro limiti oggettivi, autonomamente sulla sua gravidanza senza che altre figure  “certifichino” le motivazioni della sua scelta o abbiano l’ultima parola in proposito.

Questa proposta di legge non si limita a rendere sicura e legale l’interruzione volontaria della gravidanza, ma ritiene che il modo migliore per impedire gli aborti sia la promozione di una sessualità rispettosa di sé stessi  e degli altri, nonché di una maternità sempre più consapevole e non penalizzante sul piano economico e sociale.

Art 1

Viene riconosciuto alla donna il diritto alla maternità consapevole. E’ l’articolo fondamentale della legge, che considera preminente l’autodeterminazione della donna.

Art 2

L’aborto non è uno strumento di pianificazione elle nascite, e questo articolo prevede l’impegno pubblico in tutta una serie di misure (consultori o strutture similari, educazione affettiva/sessuale nelle scuole, accesso facilitato ai metodi anticoncezionali) per prevenire le gravidanze indesiderate. L’ottica è quella di informare, educare al rispetto ed alla non violenza e responsabilizzare sia uomini che donne.

 Art 3

Nella consapevolezza che la scelta abortiva non è mai a cuor leggero per la donna, si intende  tutelare la maternità assieme alla madre, non contro di lei. Se la scelta della maternità sarà sempre più “neutra” dal punto di visto economico e lavorativo, non comporterà quindi né penalizzazioni economiche né lavorative, sarà una scelta sicuramente più facile.

Art. 4

E’ una sintesi tra la legge italiana ed altre europee. La tempistica dei 90 giorni è di ispirazione italiana ( in altre normative si da facoltà di abortire senza limitazioni anche per il secondo trimestre); la decisone sull’aborto che spetta interamente ed unicamente della madre, anche giovanissima,  è di ispirazione europea. Superato il novantesimo giorno di gravidanza una sua interruzione si giustificherà solo se arrecherà grave danno fisico o psichico alla madre.

Art 5

L’interruzione volontaria della gravidanza potrà avvenire, gratuitamente, per residenti e cittadine sammarinesi, sia in  strutture sanitarie pubbliche che private. In ogni caso va rispettata la privacy della richiedente. Qualora l’aborto volontario non avvenga nella struttura medico-sanitaria pubblica sammarinese la richiedente ottiene il rimborso delle spese sostenute per una cifra pari al costo della prestazione nella struttura pubblica sammarinese.

Art. 6

Nel rispetto delle diverse concezioni etiche del personale medico-sanitario è consentita l’obiezione di coscienza sull’aborto volontario, ma resta preminente il diritto della donna ad accedervi. C’è una penalizzazione di 10 anni di sospensione della possibilità di esercitare in Repubblica se l’obiettore che esercita nella struttura pubblica (indipendentemente dalla tipologia contrattuale) pratica privatamente aborti volontari.

Art 7

Si abrogano tutti gli articoli del codice penale che prevedono che l’interruzione volontaria di gravidanza sia un reato per la donna e per il personale medico-sanitario che lo pratica.

PROGETTO DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

NORME IN MATERIA DI PROCREAZIONE COSCIENTE E RESPONSABILE

Art. 1

(Finalità)

Lo Stato riconosce alla donna il diritto alla procreazione cosciente e responsabile.

Art. 2

Lo Stato promuove e sviluppa i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie ad evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. In particolare:

a) istituisce consultori o strutture similari

b) promuove l’educazione affettiva/sessuale nelle scuole

c) facilita l’accesso ai metodi anticoncezionali

Art. 3

Lo Stato promuove ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. In particolare:

a) la informa sui diritti a lei spettanti, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;

b) la informa sulle modalità idonee a ottenere il rispetto della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;

c) contribuisce a far superare le cause economiche e sociali che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.

Art. 4

L’interruzione volontaria della gravidanza viene decisa dalla donna, anche se minorenne, entro i primi 90 giorni senza obbligo di fornire giustificazioni per la sua scelta.

In seguito ai 90 giorni potrà farne richiesta se la prosecuzione della gravidanza arrechi un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica. Tale richiesta verrà valutata dal personale medico-sanitario competente.

Art. 5

L’interruzione volontaria della gravidanza può avvenire in strutture sanitarie pubbliche o private.

Viene eseguita gratuitamente per donne residenti e sammarinesi nelle strutture sanitarie pubbliche nel rispetto della privacy della richiedente.

Se l’aborto avviene in strutture private nel territorio, o fuori territorio sia in strutture pubbliche che private, la richiedente potrà ottenere il rimborso nella misura del costo della prestazione resa nella struttura sanitaria pubblica sammarinese.

Art. 6

Il personale medico-sanitario può sollevare obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione, ma alla donna deve comunque essere garantito il servizio.

Il personale medico-sanitario, di qualsiasi natura sia il rapporto di lavoro, che all’interno della struttura pubblica sammarinese faccia obiezione di coscienza non potrà praticare aborti volontari nelle strutture private. Pena la sospensione dall’esercizio della professione in Repubblica per 10 anni.

(norme finali)

Art. 7

Vengono abrogati gli articoli del codice penale 153 e 154 che prevedono la punibilità per la donna che interrompa volontariamente la gravidanza e per il personale medico-sanitario che procuri materialmente la stessa.

Art. 8

La presente legge entra il vigore il quindicesimo giorno dalla sua pubblicazione.

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy