Roberto Ciavatta, consigliere del Movimento Rete, è finito nel tritacarne della polemica politica in questo fine 2018, in quanto ‘dipendente pubblico rinviato a giudizio’ (per atti non attinenti al suo lavoro).
Per i dipendenti pubblici valgono le “norme di disciplina” fissate dalla legge n.106 del 2009. All’art. 3: “La legge determina i casi in cui si applica la sospensione cautelare obbligatoria del dipendente sottoposto a procedimento penale”. All’art. 13: si proceda al licenziamento del dipendente che “per un misfatto abbia riportato condanna definitiva ad una pena restrittiva della libertà personale o di interdizione dai pubblici uffici non inferiore ad un anno”.
Ebbene, nell’ultima finanziaria, Partito Socialista e Partito dei Socialisti e dei Democratici hanno presentato in Consiglio Grande e Generale due emendamenti per modificare i passi della legge di cui sopra (e altri) a favore dei dipendenti pubblici sia per quanto riguarda la sospensione che il licenziamento.
La maggioranza di governo ha bocciato gli emendamenti, accusando Ps e Psd di aver tentato di far varare al Consiglio Grande e Generale un provvedimento specifico “ad personam”, insomma “salva Roberto Ciavatta”.
Ps e Psd hanno precisato che “nel caso gli emendamenti fossero stati approvati avrebbero avuto incidenza su provvedimenti futuri e non certamente retro-attivi come la maggioranza invece sostiene”.
La vicenda è decisamente marginale rispetto ai veri problemi che attanagliano il Paese. Qui ci si limita solo ad osservare che la irretroattività non vale per l’imputato, il quale- se non andiamo errati – ha il diritto di scegliere la norma a lui più favorevole.