Patrizia Cupo di Corriere Romagna San Marino: intervista al giudice Lamberto Emiliani

Patrizia Cupo di Corriere Romagna San Marino: intervista al giudice Lamberto Emiliani

Corriere Romagna San Marino

La Repubblica vista dalla toga

Ha ricevuto intimidazioni anche pesanti ma non si è mai tirato indietro.
«Servono forme nuove di responsabilità del giudice. La mafia c’era e c’è
ancora»

«Sarò sempre commissario della legge»

Il giudice Emiliani: «Il rapporto politica – affari ha creato un sistema di
legalità ridotta»

Patrizia Cupo

 

«San Marino è cambiata negli anni ’70 con l’addio di una certa
classe di politici»

Titano indossa la toga da quasi 50 anni. Ha scritto la giurisprudenza
sammarinese spulciandola nelle sentenze dell’epoca e traducendola in
letteratura da amanuense. I suoi studi sono tra quelli valsi a chiedere e a
ottenere dall’Inghilterra il risarcimento dei danni prodotti con i
bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ha vissuto tutti i momenti storici
e politici più importanti del Paese, dal Dopoguerra alla stretta fiscale dell’Italia,
dalla povertà alla ricchezza, dal giudizio del Titano come paradiso fiscale
fino alla crisi economica. Il tutto, vivendo da sammarinese in una terra non
sua e che, la cittadinanza, gliel’ha concessa solo dopo 67 anni. Dei mutamenti
sammarinesi e della parabola politica del Titano, il giudice di terza istanza
Lamberto Emiliani, 78 anni il marzo scorso e per sei anni magistrato dirigente del
tribunale unico del paese, dal ’97 al 2003, ha un giudizio tutto suo,
disarmante e duro. Eppure rivolto al futuro: «Questo Paese è cambiato quando la
vecchia e sana politica ha lasciato il passo al connubio tra politica e affari,
non ancora del tutto superato ». Emiliani è nato a Dovadola, nel Forlivese, nel
’35: arrivò a San Marino nel ’46 quando suo padre vinse il concorso da primario
chirurgo per l’ospedale di Stato. E’ diventato cittadino sammarinese nel 2013, con
l’ultima legge sulla naturalizzazione.

Come e quando divenne magistrato? «Lavorai con il commissario della legge
Giacomo Ramoino alla giurisprudenza sammarinese: il lavoro era quello di
raccogliere e massimare la giurisprudenza civile e penale del paese studiando i
singoli fascicoli dal 1936 al 1956: scrissi tutto a mano e poi a macchina, con la Olivetti Lettera
22. Un’esperienza bellissima il cui prodotto venne pubblicato negli anni a
venire. Poi, per la tesi di laurea, chiesi a l l’allora segretario di stato per
gli affari esteri Federico Bigi di poter esaminare i documenti della vertenza
pendente da anni tra San Marino e la Gran Bretagna per il risarcimento dei danni di guerra:
mi fece fare una relazione che usò poi nella controversia. San Marino ottenne
un risarcimento di migliaia di sterline. Divenni prima uditore nel ’65, poi
commissario della legge aggiunto nel ’72, infine commissario della legge con
rinnovo triennale. Nel ’97 dirigente del tribunale».

La sua vita a San Marino, da non cittadino, come fu? «E’ stata bellissima, sia con la mia
famiglia di origine sia con quella formata insieme a mia moglie e ai nostri
figli. Come mio padre, provo un grande amore per questo Paese, al quale ho dato
tutto quello che potevo ma dal quale ho ricevuto molto di più».

La cittadinanza arrivata così tardi, non le pare una nota
stonata?
«Non mi sono
mai sentito un estraneo, nessuno mi ha mai trattato da estraneo. Mi sono sempre
sentito un sammarinese senza cittadinanza, con qualche diritto in meno e qualche
obbligo in più: soprattutto l’obbligo di rimanere estraneo alla politica. L’ho
fatto, non mi sono mai occupato di politica, ma questo è stato un valore
aggiunto nel mio lavoro di magistrato. Ho sempre sentito e ancora sento l’orgoglio
di essere commissario della legge, ma con l’umiltà che è necessaria per fare
bene il commissario della legge. Continuerò a sentirmi commissario della legge finché
campo. Mi considero un uomo mite, modesto. Ma anche ostinato e duro nel
difendere i miei valori e il mio ruolo di giudice. A volte, forse, lo sono stato
anche troppo».

 Mi vuol dire che, in tanti
anni da magistrato, non ha mai subìto pressioni politiche?
«Pressioni mai,
ma sconfitte dettate dalla politica sì. Ricordo ad esempio un’indagine che
condussi, in maniera generalizzata sugli abusi edilizi. Erano i primi anni
Ottanta. La Reggenza
volle vedermi: spiegai che tipo di lavoro stessi conducendo e mi invitarono a
proseguire nelle indagini. Ne fui contento: e poi però, poco dopo, il Consiglio
approvò il condono edilizio… » (sorride con amarezza).

Un tema caldo, quello dell’edilizia a San Marino e delle
protezioni al settore. Ne aveva trovati di abusi?
«Come no?! Mi ricordo bene di un
progetto, a Rovereta, per la nascita di una serra. Pensai: sarà bene andare a
vedere questa serra. Ci avevano costruito un bel capannone industriale ».

Subì mai minacce? «Ma no… Beh forse qualche cosina – sminuisce -. Come quella
lettera con i proiettili dentro. Era il periodo in cui stavo indagando sulle
maxi inchieste collegate alle frodi del l’Iva, alle truffe carosello. In una di
quelle sentenze istruttorie, scrissi chiaramente delle infiltrazioni di
malavita siciliana e pugliese a San Marino. Arrestammo anche una persona, un
vero mafioso, che poi consegnammo all’Italia dov’era ricercato. L’ultima
sentenza in cui parlai a chiare lettere di “infiltrazioni malavitose” era del ’93
ma altre ce n’erano state prima».

E ci sono, le infiltrazioni? «C’erano e ci sono: altro non si tratta se non di
connivenza tra la mafia dell’Italia meridionale e il malaffare sammarinese, che
comprende professionisti, imprenditori, politici ».

Com’è cambiata San Marino dal ’46 ad oggi? «Il cambiamento grosso è avvenuto quando
certa classe politica è scomparsa, all’incirca negli anni Settanta. Quando fu
superata e messa da parte, le subentrò una classe politica che ha cominciato a frequentare
quella brutta cosa che è il connubio tra politica e affari. Un periodo storico
che a mio avviso non è stato del tutto superato e che ha invece vissuto il suo
apice con le 12 banche, le 70 finanziarie, le migliaia di società commerciali. Il
legame politica- affari è la perdita del senso di legalità, che ha portato il
Titano a vivere in un sistema di legalità ridotta».

Cosa pensa oggi del tribunale che dieci anni fa fu “suo”? «La macchina non è male, può funzionare
e anche bene: ha solo bisogno di una revisione anche approfondita. Non basta
oliare qualche ingranaggio. Il problema è questo: la società sammarinese ha sempre
affidato ai giudici, e in modo del tutto particolare al commissario della legge,
un ruolo di garanzia: garanzia di legalità, di equità, di rispetto delle
tradizioni nel progresso dell’o rd in am en to giuridico e morale della Repubblica.
Questo ruolo di garanzia si basa tanto sulla idoneità del giudice rispetto all’ufficio
assegnatogli, quanto sulla sua personale responsabilità per il fatto e il non
fatto nello svolgimento delle sue funzioni. Oggi è necessario introdurre forme nuove
di responsabilità del giudice e predisporre la verifica costante della sua
idoneità e del suo modo di essere giudice. Nessuno in questo Paese può pensare
di essere giudice senza obbligo di rendere conto».
 

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